No al nucleare. Troppe scorie ed è fuori mercato

No al nucleare, troppo costoso, fuori mercato e con troppe scorie, esistono molte alternative valide a questa controversa fonte di energia. Ce ne parla Carlo Monguzzi, consigliere regionale Lombardia.

di Edoardo Grandi

Carlo Monguzzi è ingegnere chimico. Ha contribuito alla nascita dei Verdi e di Legambiente di cui è stato Presidente Regionale. Nel 1993 come Assessore Regionale all’Ambiente ha promosso la prima legge sulla raccolta differenziata dei rifiuti e il primo «Piano Aria» contro lo smog, continuando poi a battersi contro il traffico illecito dei rifiuti, contro l’abbattimento degli alberi, contro la caccia, contro la cementificazione del territorio e il consumo di suolo e per la totale trasparenza e onestà nella gestione della Cosa Pubblica.
Con altri autori ha scritto due libri: Illusione nucleare e Ambientalismo sostenibile.
Per l’attuale legislatura è stato eletto al comune di Milano nella lista Europa Verde Sala Sindaco, di cui è Capogruppo in Consiglio Comunale.

No all’impegno nucleare

Perché è contrario all’impiego del nucleare come fonte di energia?

«In generale costa troppo e non si sa dove mettere i rifiuti, e poi c’è un problema di sicurezza. Queste tre cose mi fanno dire: perché rischiare, quando ci sono valide alternative? Poi, l’uranio non si trova in piazza del Duomo, va acquistato all’estero, ad esempio in Paesi come il Canada o il Niger, che ovviamente hanno dei costi di estrazione».

Eppure, i fautori del nucleare sostengono che dopo il carbone (con gli enormi problemi ambientali che questo comporta) sia la fonte più economica.

«Faccio un esempio significativo. Nell’impianto nucleare di Flamanville, in Francia, attivo da tempo, è in costruzione un terzo reattore: i lavori sono iniziati nel 2007, il completamento continua a slittare per questioni tecniche e intanto i costi aumentano vertiginosamente. Con i criteri di sicurezza impiegati oggi, per fortuna molto più rigidi dopo i disastri di Chernobyl e Fukushima, i costi continuano a salire durante la fase di realizzazione, e non lo dico io, ma gli stessi costruttori. Insomma, è una fonte di energia fuori mercato».

Carlo Monguzzi (credit: https://europaverdemilano.it/)
Carlo Monguzzi (credit: https://europaverdemilano.it/)

Come risparmiare sull’energia

Sempre restando in tema di costi, cosa si può fare per risparmiare, indipendentemente dalla fonte energetica che si sceglie?

«La soluzione in questo senso si chiama efficienza energetica. Nelle città il primo passo consiste nella riqualificazione degli edifici, che vanno ben coibentati, dotati di tetto a pannelli fotovoltaici, doppi o tripli vetri e pompe di calore. Una grande città come Milano è costruita sull’acqua, che si trova a bassa profondità e alla temperatura di 15 gradi: una pompa di calore la può portare velocemente e facilmente a 40 – 45, per uso domestico e sanitario. Non è che diciamo semplicemente che dobbiamo risparmiare usando meno luce: tutt’altro, perché vogliamo case illuminate, ben riscaldate d’inverno e fresche d’estate, e questo si può fare con i metodi moderni. Poi, naturalmente, questo va realizzato con criterio e dove è possibile. Non mi metterei certo a ricoprire di pannelli solari le Dolomiti. E non è solo una questione di risparmio: la percentuale di energia mancante da quella prodotta da fonti rinnovabili può essere costituita dall’efficienza energetica, senza andare a scomodare il nucleare».

Può farci un altro esempio di vantaggi derivanti dall’efficienza energetica?

«Milano, l’estate scorsa, è stata colpita da più blackout elettrici. L’azienda responsabile, A2A, si è difesa sostenendo che mancano le centrali di prima distribuzione e con altre scuse. La verità è che a Milano ci sono 30.000 giunti per la corrente che sono vecchi, perciò quando c’è un maggior passaggio possono anche saltare: si tratta di cambiare e rinnovare questi 30.000 giunti, ma certo non vai sulle prime pagine dei giornali facendolo. Ci vai invece, se dici: costruiamo una bella centralina nucleare che mi permette di avere un’offerta altissima di energia, con cui in realtà si coprono le inefficienze, i buchi, eccetera. Ed è su queste ultime cose che bisogna, secondo me, intervenire. Sono due culture ingegneristiche diverse: prima vanno evitati gli sprechi, poi eventualmente si costruisce quello che serve».

Anche tutto questo però avrà dei costi.

«Certo, come qualsiasi altro tipo di intervento. Ma c’è una grossa differenza: il ritorno. Io costruisco una centrale nucleare, pago, vendo l’energia, e il cittadino che prima pagava 100 continua a pagare 100. Se io invece lavoro sull’efficienza energetica, faccio anche qui un investimento, pago, ma miglioro il rendimento, e il cittadino non paga più 100, ma 40 o 30».

Futuro e fusione nucleare

Sono trascorsi dieci anni da quando ha pubblicato Illusione nucleare con Sergio Zabot. Non pensa che da allora le cose siano cambiate?

«Certamente sono cambiate in meglio, soprattutto in termini di sicurezza. Non penso affatto che gli scienziati e i tecnici che ci lavorano siano degli incapaci. Le centrali di ultima generazione sono molto più sicure. D’accordo, è cambiato molto, ma il problema resta: ne vale la pena? Se fosse l’unica fonte di energia e non avessimo alternative, potrei anche capire, ma non è così. Perché dobbiamo ficcarci in una strategia imprenditoriale così piena di difficoltà, con centrali che costano miliardi e miliardi, la cui costruzione dura ormai 10 o 15 anni, con il grosso punto di domanda riguardo allo smaltimento dei rifiuti? Le rinnovabili, prime fra tutte sole e vento, con il fotovoltaico e l’eolico, sono una realtà, e si consideri che oggi sono già 3 o 4 volte più competitive rispetto a quando uscì il nostro libro. Dico sommessamente che abbiamo le alternative, perché dobbiamo farci prendere dalla fascinazione dell’atomo? Il problema di una certa categoria di ingegneri è che guardano al passato, il nucleare è una cosa del passato. Dei reattori di quarta generazione si parla da decine di anni, non è la novità del momento. Il processo è lunghissimo, complicato e costoso: si va dalla teoria alla progettazione, alla creazione di prototipi, alla loro verifica e infine alla produzione industriale».

E riguardo la fusione nucleare?

«Dal 1930 la letteratura scientifica è piena di ottimi tentativi in questa direzione, e teoricamente è possibile. Ancora non ci siamo arrivati, per le difficoltà tecniche che comporta. Sono molto curioso riguardo qualsiasi novità scientifica, e disposto ad approfondire e ragionarci. Se dovesse venire fuori la fusione sarei contentissimo».

Per diminuire la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, Stefano Mancuso propone di piantare miliardi di alberi. È un’ipotesi realizzabile ed efficace?

«Come per tutti gli altri problemi, il contenimento della CO2 ha mille rivoli diversi, e uno di questi è l’iperforestazione, che giudico fantastica. Oltre a “mangiarsi” la CO2, raffresca l’ambiente, e questo vale soprattutto per le grandi città, che ormai sono delle isole di calore. Al contrario di un condizionatore, che consuma energia e scalda l’ambiente esterno, l’albero funziona da solo, è economico e pulito. Naturalmente, su una scala globale, questa iniziativa deve essere seguita dal maggior numero possibile di Paesi, e oltre la sua validità tecnico scientifica, rappresenta un forte segnale politico nei confronti di chi continua a deforestare, come Bolsonaro in Brasile».