“Medioevo digitale” è il nuovo album dei L’Orange

Di Eleonora Bianchi, Oriana Gullone, Debora Zanni

Il nuovo album, Medioevo digitale, dei L’Orage, band folk valdostana, è uscito ad aprile. Suoni tradizionali (i fratelli Boniface suonano ghironda, violino, cornamusa) su testi che toccano un’attualità di cui anche Il Bullone si sta occupando da tempo: migranti, tecnologia, confronto generazionale

Abbiamo ascoltato il CD in anteprima e intervistato Antonio Visconti, voce e chitarra della band.

«Il punto del disco è riprendere il filo di un discorso già iniziato, ma interrotto con l’attentato alle Torri Gemelle. Prima dell’11 settembre, al G8 di Genova, era fortemente presente, con quasi un milione di persone, quel movimento globale apartitico apolitico e pacifista che non era lontano dalla protesta di Greta di oggi. Ecologia, accoglienza e parità di genere erano già temi portanti. L’infinita possibilità di informazione azzera la percezione della memoria che costruisce ideali. I millennials sembrano isolati dal processo di memoria. Il passato non è meglio, ma segna un tracciato. Non puoi capire Achille Lauro se non hai idea del lavoro di Vasco. Ascoltare i “vecchi” è un contatto tra generazioni importantissimo».

Perché il nome L’Orage?

«Dalla celebre canzone di George Brassens e non solo. È una parola che spesso appare nel mondo delle canzoni francofone e brilla in modo particolare, incuriosisce. In più dà la possibilità di creare moltissimi giochi di parole».

Come mai vi siete assentati per tre anni?

«Nell’estate 2017 abbiamo deciso di prenderci un momento per noi, anche per ciò che accadeva nel nostro privato. Il chitarrista storico è andato via, io ho avuto un figlio e, con più tempo a casa, ho ricominciato a studiare la chitarra elettrica. Ci siamo dati tempo anche per valutare i cambiamenti del mondo musicale più attivo su web e social, cosa che non è subito stata nelle nostre corde. Siamo molto legati al contatto diretto col pubblico».

La copertina del nuovo album dei L’Orange ” Medioevo Digitale”

Com’è il contesto musicale valdostano?

«È una regione piccola e perciò molto “contemplativa”: il rapporto con la natura è diretto e forte, e questo determina una grande creatività. La scena musicale è molto varia. Sono frequenti le fiere, le sagre, dove anche i più giovani ancora cantano insieme e ballano in coppia, cosa che non si vede quasi più. Noi siamo partiti da lì, affacciandoci al panorama italiano con una fan base già molto solida che con noi si diverte, fa festa. Mantenere un contatto forte con la tradizione mescolandola al rock, al cantautorato, all’elettronica ha portato qualcosa di nuovo».

Di chi sentite di più l’influenza?

«Realtà molto diverse. Rock alternativo anni 90, grunge, canzone d’autore italiana e non. I fratelli Boniface hanno il mondo celtico e il metal più cattivo, il punk folk. Poi il punk nord europeo, la ritmica africana. Il repertorio di cover che portiamo “live”, spesso spiazza».

Se diciamo Rivoluzione, Cicatrici e Viaggio?

«Sono parole potenti. “La rivoluzione è nella testa”, Lennon: quello che serve oggi, a partire dalle cose piccole come fare la spesa con meno plastica. “Gli amanti cullano le cicatrici come segreti da svelare”, Cohen: i ragazzini ne sono orgogliosi, è confortante averle da mostrare come segni di battaglia. Sono la memoria del nostro corpo, della paura affrontata. “Prego di trovare il grande viaggio tra le pareti di una scatola”, Noir Desir. Viaggiare è bello, ma il vero viaggio è dentro».

IB.Livers hanno 3 parole: essere, credere e vivere. Le tue quali sono?

«Inquietudine, intesa come valore; Leggerezza, quella di Calvino che trova l’ironia anche nel dolore. E Memoria, mezzo per prolungare la vita, espanderla e mantenerla attiva creando ricordi importanti».