Di Ada Andrea Baldovin
Se lo specchio avesse mostrato il suo vero riflesso in quel momento ci sarebbe stata l’immagine di un cadavere: i suoi occhi sbarrati e la pelle cianotica.
«Cosa sei?» chiese Carla.
«Non chi pensi che sia» rispose il riflesso con la sua stessa voce.
Senza voltarsi, Carla arretrò fino a trovare la porta e correndo come non mai si diresse verso la porta d’ingresso, la quale era però chiusa a chiave.
Carla iniziò a correre per tutta la casa cercando la chiave, guardando su tutti i mobili ma non trovò nulla. Corse allora al piano di sopra, fino ad entrare nella camera della sua bisnonna, dove l’atmosfera era incredibilmente tranquilla: i fiori erano ancora vivi e profumavano, i mobili in ordine e quasi a fatica Carla riuscì a ritrovare la calma. “Sarà stata stata solo un’impressione” continuava a pensare tra sé e sé, ma anche lei faceva fatica a convincersene. Si guardò intorno, le chiavi erano su un mobiletto, tutto le sembrava tranquillo, sereno, girò lo sguardo verso la finestra e lì dove prima c’era il quadro che raffigurava la sua bisnonna Eulalia, ora c’era Eulalia che sorrideva gentilmente. Una frazione di secondo in cui i due sguardi si incrociarono. Nuovamente il respiro di Carla venne a mancare e barcollando per la stanza cercò appoggio su un mobiletto su cui era posata una seconda mano. Non era la sua.
«Non avresti dovuto vederlo!» le disse una voce dietro di lei. Si sentivano i battiti veloci del cuore rimbombare per tutta la stanza.
Lentamente, quando trovò il coraggio di voltarsi, davanti a lei si propose qualcosa ti tanto inaspettato quanto nuovamente rassicurante: era sua nonna. La pelle chiara, i lunghi capelli bianchi e gli occhi scuri fecero dimenticare a Carla per un istante che fosse morta. Era lì davanti a lei esattamente come l’aveva sempre vista, eccetto il fatto che non stesse sorridendo.
«Non avresti dovuto vederlo!» ripeté. La stanza allora si fece improvvisamente fredda e il sole che iniziava a farsi vedere sparì di nuovo, così come la nonna ed Eulalia.
La stanza iniziò improvvisamente a cambiare aspetto: i fiori si appassirono, i mobili invecchiarono e un odore di muffa, di chiuso e di morte appestava la casa.
Carla prese immediatamente le chiavi da sopra il mobiletto e iniziò a correre in direzione della porta d’ingresso al piano di sotto; quando l’aprì, davanti a se, si presentava lo stesso paese di sempre, illuminato dal riflesso del sole sulle montagne, ma nel momento in cui posò il primo passo fuori dall’uscio si ritrovò nuovamente al buio, nella camera della sua bisnonna.
Di nuovo corse giù per le scale, aprì la porta e usci dalla casa ritrovandosi ad aprire ancora la porta della camera. Lo fece di nuovo, e ancora e ancora. Provò a scappare dalla finestra ma si ritrovò ad entrare di nuovo al punto di partenza.
Diede un’occhiata all’orologio che segnava le dieci e un quarto e all’improvviso un urlo che veniva alle scale, seguito poi da un tonfo. Quando Carla andò a vedere, si trovò davanti a due figure: erano sua nonna e la sua bisnonna. Mentre il corpo della vecchia cadeva morto al piano di sotto, le giovane nonna di Carla si girò verso di lei dicendole: «Non avresti dovuto vederlo»
Qualcuno afferrò allora il braccio di Carla da dietro: «Non avresti dovuto vederlo!» ripeté la stessa voce e all’improvviso tutto si fece buio.
«Non avresti dovuto vederlo. Non avresti dovuto. Non avresti dovuto vederlo. No. Non dovevi farlo. Non avresti dovuto vederlo!» Nel buio sempre la stessa voce continuava a ripetere la stessa frase. Era sempre sua nonna. Poi ad un tratto il silenzio.
La casa era tornata normale: niente odori particolari, tutto in ordine, troppo. La casa era abitata, si sentivano delle voci ma Carla non sapeva da dove venissero, le scale erano vuote.
Salì al piano di sopra e vide che la porta della camera della sua bisnonna era aperta con la luce accesa sul comodino, le voci venivano da lì.
«Saresti dovuta morire subito! Quell’uomo vuole solo prenderti in giro! Rovinerai la famiglia così. Non te lo permetterò!» era una voce ruvida che Carla non aveva mai sentito, ma quando entrò nella stanza ad attenderla c’era sempre e solo lei, sua nonna.
«Non avresti dovuto vederlo» le disse nuovamente «Ora è libera! Mentre tu, come me, rimarrai qui per sempre»
I giorni passavano in quella casa ma Carla non se ne rendeva conto e la sua famiglia allarmata era andata a cercarla, ma al loro arrivo la casa era completamente vuota, tutto era nella macchina parcheggiata nel vialetto tranne lei.
«Chi è libera?» chiese Carla.
«Mia madre! L’ho uccisa, non volevo farlo. Stava rovinando la vita a tutta la famiglia: ha avvelenato mio padre perché aveva il sospetto che la tradisse, ha diseredato me perché mi sono innamorata e quando ho visto che stava cercando di soffocare mia sorella nel sonno ho deciso di intervenire e mentre discutevamo l’ho spinta. Lei è caduta e subito dopo c’è stato silenzio» fece una pausa nel racconto e poi continuò: «In camera sua, lì c’era sempre silenzio, ma non un silenzio normale, era come se tutti i suoni fossero risucchiati da qualcosa e una sera sentii all’improvviso la sua voce e quando andai a controllare vidi il quadro con la sua faccia che mi guardava. Lei era lì. Chiusi la porta e non la riaprii mai più, la rinchiusi dentro. Capisci? Era l’unico modo! E ora lei è libera, sei stata tu». Carla impietrita, nel battere le ciglia perse di vista sua nonna che scomparve nel silenzio di quella camera.
“Devo andarmene di qua” pensava Carla. “Devo uscire!”.
Nuovamente provò di tutto per uscire dalla casa ma non ci fu niente da fare. Non sapeva quanto tempo fosse passato, non sapeva se fuori fosse davvero notte o no, non sapeva cosa stesse succedendo, non sapeva se fosse ancora viva cercava disperatamente di uscire da quella casa ma non ci fu nulla da fare. Dopo l’ennesimo disperato tentativo tornò in bagno e si mise davanti allo specchio: «Lasciami andare!» disse al suo riflesso, il quale le rispose:
«Non ti lascerò rovinare la nostra famiglia»
«Rovinare? Ma..»
«Ti stanno cercando» rispose il riflesso tutto d’un fiato per poi tornare a far vedere solo l’immagine di Carla.
In quel momento la porta d’ingresso si aprì.
«C’è qualcuno?» si sentì urlare. Era la polizia. «Ehi! C’è qualcuno in casa?» Era tornata la luce.
«Sono qui! Sono qui ! Aiuto!» urlò Carla mentre batteva sulla porta del bagno, ma nessuno la sentiva. Questo perché non si trovava in bagno.
«Aiuto! Aiuto! Mi sentite? Sono qui! Aiuto!» ma nella casa non risuonava alcuna voce.
Arrivati al primo piano i poliziotti si trovarono davanti ad una scena atroce: Carla era in piedi immobile davanti al muro sul quale si vedeva nettamente il contorno di una grande cornice. Era come pietrificata e le labbra si muovevano come se stesse parlando velocissimo ma senza che si capisse cosa stessero dicendo.
Quando i poliziotto la presero per il braccio per portarla via Carla urlò «No! Ora lei è libera! Mia nonna, lei l’ha uccisa, l’ha buttata giù dalle scale» era fuori di sé. I poliziotti cercando di calmarla le chiesero cose fosse successo e Carla e raccontò loro tutta la storia come se fosse in una sorta di trans: gli occhi sbarrati e le parole che venivano vomitate senza neanche respirare.
I poliziotti, attoniti, ogni volta che cercarono di far muovere Carla ricevevano come risposta delle urla isteriche fin quando, terminato il racconto, come se non fosse accaduto nulla Carla si riprese. Sembrava essere uscita da un brutto sogno, quasi come se a fatica si ricordasse quello che aveva detto. Aveva l’aria confusa.
«La portiamo via signorina va bene?» con un cenno Carla fece segno che andava bene.
Scesero dalle scale con la ragazza sotto braccio che dal terrore faceva fatica a camminare, mentre continuava a ripetere con i denti serrati «Lei mi farà restare qui» Poi aprirono la porta e fuori si vedeva la luce del sole riflessa sul bianco della neve.
Uscirono tutti e tre insieme: i due poliziotti e Carla. Appena varcata la soglia si udì un sonoro “crack” e la testa di Carla cadeva penzolante all’indietro. Fu invano da parte dei poliziotti tentare di salvarla, il suo collo era spezzato di netto e gli occhi erano fissi a guardare le scale davanti all’ingresso.
Il verbale della polizia fu molto dettagliato, riportarono tutto ciò che venne detto da Carla, date le circostanze assurde della sua morte, anche se nuovamente sul referto dell’autopsia venne scritto “morte per cause naturali”.
Uno degli agenti che trovò Carla vive nella località dove ogni anno vado in vacanza e la storia è arrivata alle orecchie di tutto il paese sino ad arrivare alle mie, e se finora pensate che abbia romanzato troppo sappiate che la storia non finisce qui.
Dopo la morte di Carla il suo compagno portò tutto ciò lei aveva preso a casa sua, tutto.
Qualche settimana dopo i suoi amici lo trovarono morto, infondo alle scale e in cima ad esse era appeso un quadro che raffigurava una donna, Eulalia.
Da allora nessuno è andato più ad abitare in quella casa che oggi è dichiarata edificio abbandonato dal comune, ma c’è chi giura di sentire dei rumori e un buonissimo profumo di fiori provenire dalle finestre della camera da letto.
Fine.