Giusy, dopo l’InVisibile Festival posso dire: “Adesso ci sono, non sono più invisibile”

Un momento dell'inaugurazione dell'InVisibile Festival
Un momento dell'inaugurazione dell'InVisibile Festival

di Giusy Scopetta, B.Liver

La B.Liver Giusy ci racconta il suo Invisibile Festival, dove ha riscoperto la magia del contatto con il mondo dopo anni passati nella bolla della malattia, e dove ha imparato a dire "grazie" a un corpo in particolare, il suo.

Ho sempre avuto paura di mostrarmi per quella che sono, con le mie fragilità, i miei difetti, le mie cicatrici; così le ho sempre nascoste e custodite per me, come si fa con i segreti o con le cose che ci provocano vergogna, quasi fosse per me una colpa esistere o anche solo soffrire.

Il mio dolore non è visibile, apparentemente nessuno lo nota, anzi, se non ne parlassi nessuno sospetterebbe della mia malattia. Se il tuo dolore non è tangibile non è valido, anzi, viene scambiato spesso per una ricerca di attenzione o per il semplice capriccio di una persona viziata.

Ho costruito uno scudo invalicabile, anche per me stessa

Così, per paura di non essere capita ho costruito, o meglio, inconsciamente la mia malattia ha costruito, uno scudo dietro cui proteggermi, dove c’eravamo solo io e lei: un luogo (in)sicuro in cui nascondermi. Lì avrei potuto non sentirmi giudicata, ma in realtà ero la prima a farlo e a non volermi bene, da lì volevo fuggire ma non ne avevo la forza.

Abbandonare un luogo, anche non fisico, che per tanto tempo è stato «casa» non è semplice, anche se vorresti uscire e trovare un nuovo spazio dove sentirti capita, dove riconoscerti, dove essere te stessa senza vergogna. La paura di buttarsi, del non sapere cosa mi avrebbe riservato il futuro mi ha sempre bloccata, lasciandomi statica mentre il mondo era in continua evoluzione.

Eppure, se non avessi affrontato questa paura, se non avessi abbandonato quella casa in punta di piedi, non avrei potuto oggi raccontare cosa è stato per me vivere l’InVisibile Festival, un’esperienza che mi ha fatto sentire viva dopo tanto tempo.

“Abbandonare un luogo, anche non fisico, che per tanto tempo è stato «casa» non è semplice, anche se vorresti uscire e trovare un nuovo spazio dove sentirti capita, dove riconoscerti, dove essere te stessa senza vergogna…”. Immagine generata con Bing Image Creator

Con l’Invisibile Festival mi sono sentita viva

Se dovessi descrivere il Festival tramite le parole, le prime che mi verrebbero in mente sono: incontro, inclusione, condivisione, consapevolezza. Un momento di incontro in cui tante persone diverse, ognuna con la propria storia, sono unite da un filo invisibile, qualcosa in comune, ognuno pronto ad ascoltare l’altro senza giudicare, creando un legame speciale.

Penso che i luoghi vengano creati dalle persone, dall’intrecciarsi di storie, dalla necessità di condividere insieme un ideale. Di sicuro l’InVisibile Festival è stato un luogo speciale. È stato come entrare a casa, un luogo in cui non serve indossare maschere e mostrarsi fragili non è una debolezza, perché non ti senti diverso.

Ogni pensiero condiviso dagli altri B.Liver ha fatto sì che dentro me si accendesse una lucina, che mi facesse vedere le cose in modo diverso da come pensavo, un po’ come quando è nuvoloso e vedi i colori di un paesaggio, ma poi spunta il sole e tutto assume un significato diverso.

C’è necessità di raccontare che essere fragili, vulnerabili non è qualcosa da nascondere, non è un difetto e non sarà mostrare le maschere dell’invincibilità a renderci persone migliori o più forti. La condivisione può aiutare chiunque ci circonda, anche chi non soffre, a capire che al mondo non esiste un solo modo di essere, ma tanti modi che sono tutti giusti, nessuna vita è meno valida di un’altra.

Io ci sono, io ti vedo

Dopo anni passati a dimenticarmi di me stessa, nei giorni del Festival, grazie a tutte le persone incontrate, ho ripetuto a me stessa: «Ci sono! Non sono invisibile». Mi percepivo in ogni abbraccio con l’altro, in ogni sorriso scambiato, in ogni parola, in ogni lacrima scesa spontaneamente.

Per la prima volta mi sono detta grazie, ho detto grazie al mio corpo per essere riuscita a vivere questa esperienza.

Grazie a un corpo, il mio, che spesso odio, con la promessa che da questi giorni imparerò, con il tempo, a dirgli: «Ti voglio bene».

“Penso che i luoghi vengano creati dalle persone, dall’intrecciarsi di storie, dalla necessità di condividere insieme un ideale. Di sicuro l’InVisibile Festival è stato un luogo speciale. È stato come entrare a casa, un luogo in cui non serve indossare maschere e mostrarsi fragili non è una debolezza, perché non ti senti diverso.”

– Giusy Scopetta