
di Carlo Baroni e Ennio Rigamonti
Gino Strada è un medico. Da Sesto San Giovanni all’Afghanistan con una sola missione: salvare vite umane. Lui con l’organizzazione che ha creato, "Emergency", ha curato più di dodici milioni di persone. Ha studiato in Italia e si è specializzato negli Stati Uniti e in Sudafrica, al Groote Schuur, lo stesso ospedale di Cristiaan Barnard, l’uomo del primo trapianto di cuore.
Perché ha deciso di diventare medico?
«Per la propensione, la spinta irresistibile a curarmi degli altri. Far star bene la gente che incontravo e mi chiedeva aiuto».

La sua è una missione, una vocazione o un mestiere?
«Un po’ di tutto questo. Comincia con una vocazione, una chiamata che ti porta ad occuparti di chi sta male nel corpo. Poi diventa una missione, la molla che ti spinge a non tirarti indietro, a portare a termine il compito che ti sei prefissato. E, certo, è anche un mestiere nel senso più nobile. Il fare tutto bene, come un artista davanti a un’opera».
Tutti hanno diritto ad essere curati? Anche i malvagi?
«Tutti. Anche l’uomo più cattivo. Un medico non deve fare queste scelte. Non devono mai diventare casi di coscienza. Un medico cura. Toccherà ad altri decidere sugli errori di quell’uomo. Uno che fa il medico non deve porsi questi problemi».

Le viene mai la voglia di mollare tutto?
«No. Ho anch’io i miei momenti bui quando vedi che le cose non vanno. Ma la tentazione della rinuncia non mi ha mai sconfitto».
Un medico deve avere più (com)passione o competenza?
«È un equilibrio difficile da ottenere. Se sei troppo compassionevole rischi di fare danni al paziente. Un rischio, soprattutto, per un chirurgo. Il rapporto umano non dovrebbe mai inficiare l’aspetto professionale. Da un medico si pretende competenza, innanzitutto. Questo non significa restare insensibili».
Tanti la elogiano, pochi la seguono…
«È da mettere in conto. Sono consapevole che siamo una goccia nel mare. Per questo non mi aspetto riconoscimenti. Mi basta servire da esempio. Ispirare altri a dare il meglio. Dare la speranza di un futuro a chi, senza noi di Emergency, un futuro non l’avrebbe mai avuto».

Perché ci sono ancora le guerre?
«Perché in troppi sono ancora abituati a ragionare con la violenza, pensare di risolvere i problemi in quel modo. E non sanno, o non vogliono sapere, che la violenza genera solo altra violenza».
C’è qualcosa che avrebbe potuto fare o non ha fatto?
«Sì, un centro gratuito in Africa per i trapianti di cuore».
Qual è la ferita più profonda del nostro tempo?
«La perdita di umanità nei rapporti tra le persone. Aveva ragione Einstein quando diceva che gli esseri umani sono l’unica specie sulla Terra capace di programmare la propria distruzione».
E la cosa che la offende di più?
«Non riconoscere a tutte le persone i diritti che sono inviolabili, a partire dal diritto alla vita e alle cura mediche».
Cosa sognava da piccolo?
«Di diventare astronauta o scienziato. Tutti mestieri che avevano a che fare con l’idea di far progredire il mondo».
Lei è un grande tifoso dell’Inter. Anche qui abbiamo a che fare con la sofferenza…
«Negli ultimi tempi un po’ meno, per fortuna. Sono diventato nerazzurro perché da ragazzo quell’Inter vinceva tutto. E speriamo anche ora…».
Ha fiducia nel futuro del mondo?
«Sempre. Altrimenti non farei quello che faccio».
“Ha fiducia nel futuro del mondo?”
“Sempre. Altrimenti non farei quello che faccio”.
– Gino Strada