di Cristina Procida, B.Liver
Animenta è un’associazione no-profit che si pone l’obiettivo di sensibilizzare e informare sui Disturbi del Comportamento Alimentare. Attiva sul territorio italiano dal 2021, il suo lavoro coinvolge circa duecento volontari da tutta Italia tra professionisti, genitori e ragazzi che decidono di supportarne le attività attraverso le loro storie e competenze, provando a divulgare speranza e condivisione. La collaborazione tra Animenta e Il Bullone nasce dall’obiettivo condiviso di raccontare la vita dopo la malattia, ma anche dal tentativo di provare a interpretare o reinterpretare il mondo con cui si interfacciano i ragazzi di oggi, soprattutto in caso di vissuti importanti, partendo, in primis, dalle loro parole. Rubrica scritta e curata da Cristina Procida.
Il mantello dell’invisibilità
Il mantello dell’invisibilità: per qualcuno è uno strumento conosciuto nel film Harry Potter, per me, per noi che abbiamo sofferto o ancora soffriamo di Disturbi del Comportamento Alimentare, è la coperta calda che ci protegge dal mondo esterno, un regalo gradito del disturbo che allo stesso tempo ci logora e ci protegge.

Jessica lo dice senza mezzi termini: «Mi guardavo, scansionavo ogni singola parte del mio corpo con disprezzo. Tenevo tutto ossessivamente sotto controllo. E man mano che lo facevo, Jessica diventava sempre più quel numero; più sparivo e più potevo meritare di esistere. Un paradosso».
Il Disturbo prende i connotati di un guscio protettivo dai contorni spessi, impenetrabili, incomprensibili dall’esterno, un vero e proprio modo di essere invisibili: «Avevo smesso di sorridere, volevo solo essere lasciata da sola. Mi dicevano tutti che ero cambiata, ma nessuno si domandava il perché di tutto questo. E io non avevo voglia di spiegarmi, ero stanca».
Anche Jessica, come le altre storie che abbiamo ascoltato con dolore, non riesce a perdonarsi. Perdonare sì, ma mai sé stessa. E se è vero che il Disturbo Alimentare è famelico di sensi di colpa, allora non basta cercarli a perdifiato scandagliando la propria psiche fino all’ultimo brandello di cuore, ce lo si inventa: «Quanti sensi di colpa mi sono creata? Ne avevo uno per ogni occasione e, se non lo avevo, me lo creavo. Ero diventata tutto quello che avevo sempre odiato: ero diventata il riflesso di quello che volevano gli altri».
La svolta
Poi, la svolta. I fili della propria vita rimessi insieme dalla terapia, il tentativo disperato di rimettersi in piedi e la necessità costante di rimanere così: trasparente. Invisibile. Almeno, fino al Lockdown del 2020, l’occasione giusta per tentare: «Non potevo vedere nessuno, nessuno mi avrebbe giudicata. Potevo fare un tentativo. Se fosse andata male, sarei tornata indietro in un attimo e nessuno se ne sarebbe accorto».
La spaventosa possibilità di essere fragili: «Mi perdono se commetto degli errori, perché riconosco che sono umana. Ora so che posso essere fragile e posso sentire tutte le emozioni esistenti. Non c’è niente di sbagliato nel sentirsi tristi, felici, arrabbiati, innamorati. Sono tutte emozioni che fanno parte di me»; e la meravigliosa occasione per essere… veri. «Non voglio essere perfetta né impeccabile. Io voglio essere vera. Merito di salvarmi, merito di prendermi per mano e vivere».
“Io voglio essere vera. Merito di salvarmi, merito di prendermi per mano e vivere.”
– Jessica