Intervista a Stefano Baia Curioni: l’arte di imparare a guardare l’arte con piacere e curiosità

Palazzo Te è una villa cinquecentesca a Mantova che organizza grandi mostre d'arte e un ricco programma culturale.

di Marta Viola, B.Liver

Stefano Baia Curioni, direttore della Fondazione Palazzo Te, la villa-museo di Mantova, racconta i suoi obiettivi: «Voglio offrire a tutti il diritto di sognare aprendo, attraverso la creatività, nuovi spazi con se stessi e con la vita».

Luoghi meravigliosi, dai più conosciuti al grande pubblico fino a quelli che rappresentano piccoli tesori del territorio che li ospitano e che si scoprono quasi per caso; i musei ci permettono di incontrare altri mondi e sperimentare dimensioni differenti con noi stessi, con gli altri e con la realtà in cui siamo immersi.

i musei ci permettono di incontrare altri mondi e sperimentare dimensioni differenti con noi stessi

– Stefano Baia Curioni

Un dialogo sull’idea di un “museo dei sogni” con Stefano Baia Curioni, direttore di Palazzo Te a Mantova, che racconta come l’arte ci permetta di aggiungere ogni volta un pezzo in più all’esperienza che abbiamo del mondo.

Si sente come un direttore d’orchestra, dove opere, collaboratori, artisti e pubblico si organizzano e intersecano fluidamente per creare un’esperienza sperimentale collettiva ogni volta differente?

«Se dovessi paragonarmi a un direttore d’orchestra, direi che siamo nel film Prova d’orchestra di Fellini, perché la libertà è fondamentale nella relazione. Si può avere in mente un orizzonte di esperienza, ma la realtà è in continua costruzione e dialogo tra le persone che ne fanno parte e concorrono a crearla.

La differenza tra i parchi a tema e i musei è questa: i primi sono organizzati per costruire un’esperienza uguale per tutti, che tu sia anziano o giovane, da qualunque tipo di percorso tu venga, questo viene neutralizzato dal vivere una situazione che è indifferenziata e proposta in pacchetto a chiunque. Nei musei non accade, c’è un’altra natura di esperienza che diventa intrigante e si manifesta nelle modalità in cui si va al museo e di fruire dell’arte, ma anche della vita in generale.

“La differenza tra i parchi a tema e i musei è questa: i primi sono organizzati per costruire un’esperienza uguale per tutti […]. Nei musei non accade, c’è un’altra natura di esperienza che diventa intrigante […]

– Stefano Baia Curioni

Chi osserva un’opera d’arte la vede facendo leva sulla sua soggettività, indicandola come bella o brutta, a seconda del proprio gusto personale. Normalmente, quando non sai cosa dire puoi definire un’opera “forte” e questo fa capire che l’arte è un differenziale di potenza, perché ha la capacità di intensificare la meraviglia a seconda della tua prospettiva.

L’arte permette la possibilità di muoversi dalla propria soggettività per porsi in una condizione di ascolto, un atteggiamento concavo di ricezione e di disponibilità alla meraviglia, intesa non solo come qualcosa di sconvolgente che ci esalta. La meraviglia infatti, si verifica anche tramite un senso di resa sperimentato di fronte a ciò che può rivelarsi a noi in un modo del tutto inaspettato. Si tratta di entrare in una dimensione in cui si è più fragili rispetto alle cose e le si ascolta, questa è l’occasione poetica che si realizza all’interno di un museo, dove diventiamo partecipi della meraviglia.

La conquista che si realizza nel museo la portiamo con noi a casa, è un’opportunità di resa alla creatività, che consente alle cose di suggerirci il loro senso insegnandoci anche ad accettare il mistero. Quello che impariamo, poi, può essere restituito ad altri perché l’esperienza della cultura non si muove per causa ed effetti ma per risonanza, come ci dice Bachelard. Ciò che dico, in te risuona e là può essere reinterpretato, creando una catena che diffonde possibilità di creatività nel sistema sociale.

Questo meccanismo ci ricongiunge in modo semplice con il senso che la vita può avere per ognuno di noi. Tutti i musei svolgono questo compito e possono metterti in rapporto con il mistero delle cose».

«L’occasione poetica che si realizza all’interno di un museo è ritrovarsi partecipi di una meraviglia»

– Stefano Baia Curioni

La fruizione del museo sembra essere in evoluzione continua, così come il dialogo con le persone sta potenzialmente diventando aperto e ricco di contaminazioni. Come si collocano in questo contesto i progetti in corso e futuri di Palazzo Te?

«Non si sta evolvendo molto il rapporto del museo con le persone, anche se vediamo che se ne parla molto. In questa realtà ci sono dei vincoli di sostenibilità, quindi è molto facile la tentazione di pensare alle persone come un flusso che entra, ma dobbiamo escogitare modi per ricordarci che ogni visitatore è una persona.

Non possiamo non avere giorni in cui vengono duemila persone, e in quei casi è difficile pensare di poter avere una relazione diretta con chi arriva da noi. Ma possiamo lavorare sulla dimensione di ciò che avviene prima della visita, nel momento in cui si costruisce l’aspettativa. Quando ci sono numeri ridotti possiamo immaginare un percorso diverso, con sperimentazioni, agendo sullo spazio e il modo di fruirlo, per esempio, inserendo elementi teatrali o legati alla danza.

La dimensione del movimento è fondamentale per prendere contatto con il tuo corpo dentro un contesto e questa espressione ha la capacità di cambiare radicalmente la percezione del vissuto. Si tratta di provare a sondare percorsi che vadano nel senso della rottura di una struttura consolidata che non produce alcuna trasformazione, non è rigenerante. Tutto ciò che scegliamo di attivare può essere realizzato a partire dalle aspettative, e il marketing ci aiuta a costruire un potenziale di relazione.

La parola giusta per descrivere il rapporto dei visitatori con il museo è, infatti, relazione, più che fruizione, e conseguente innamoramento».

“La parola giusta per descrivere il rapporto dei visitatori con il museo è, infatti, relazione, più che fruizione, e conseguente innamoramento

– Stefano Baia Curioni
Stefano Baia Curioni (Milano, 1956). Storico dell’economia, è professore associato al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Bocconi, direttore del centro di Ricerca ASK dell’Università Bocconi, Visiting Professor IMT Lucca, Direttore della Fondazione Palazzo Te di Mantova. Illustrazione di Chiara Bosna.

Di cosa avrebbe bisogno oggi uno spazio museale per essere un Museo dei Sogni, qualcosa che attualmente ancora non è emerso?

«Tutti i musei sono musei dei sogni. Se pensiamo a Palazzo Te, è la storia di due giovani che di fronte a un mondo che crolla descrivono sì il terremoto, ma dicono pure che l’innamoramento può divinizzare l’anima e colui che entra in battaglia può sconfiggere i giganti e realizzare la pace. Sognano e creano un’architettura nuova e un nuovo mondo dell’arte, rielaborando i miti antichi e la cultura di Roma.

Il museo dei sogni è il museo che ti dà il diritto di sognare legittimamente, se vieni a Palazzo Te acquisisci questo diritto. Per quanto riguarda la nostra realtà, torniamo al lavoro sulle aspettative e su come la dimensione logistica e quella narrativa devono essere declinate in tutti i passaggi in modo coerente. Conta molto l’organizzazione e il modo di coinvolgere tutte le persone che qui lavorano, è uno sforzo di coesione per andare insieme nella stessa direzione».

Rispetto ai giovani, che relazione vede tra loro e gli spazi destinati all’arte?

«Bisognerebbe uscire dalle categorie che ci portano a distinguere i giovani, così come altre fasce d’età. Interagiamo con le persone, ognuna con la sua storia. A Palazzo Te portiamo avanti progetti di inclusione come LiberamenTE, dedicato ad anziani con demenza e ai loro caregivers.

Ora abbiamo avviato un progetto in cui un ragazzo autistico ad alto potenziale ha inventato un modo di vedere Palazzo Te per chi vive questa condizione. È giovanissimo e gestisce in prima persona questo programma, divenendo il mediatore principale con le persone coinvolte. Queste due iniziative mostrano come si fanno a volte delle cose per delle categorie che esprimono dei bisogni, ma in generale per me è fondamentale ricordare che bisogna lavorare con le persone».

“Si fanno a volte delle cose per delle categorie che esprimono dei bisogni, ma in generale per me è fondamentale ricordare che bisogna lavorare con le persone

– Stefano Baia Curioni

Un’ultima suggestione: di quale opera avrebbe particolarmente bisogno la collettività?

«Tutto quello che sia in grado di suscitare attenzione, sollecitando le persone a diventare attente. Ciò che ti porta al di là di te stesso, sono tanti e diversi i modi in cui si può manifestare questa possibilità. Ricordiamoci che l’arte è sempre pubblica, la sua è una natura politica.

Quando sei davanti ai grandi artisti non puoi che riconoscere quanto siano stupefacenti, canali aperti con la vita, e l’incontro con le loro creazioni necessariamente ti cambia. Non puoi restare uguale a prima dopo aver preso contatto con un’opera d’arte, di qualsiasi natura essa sia».

«Quello che impariamo può essere restituito agli altri, perché l’esperienza della cultura si diffonde sempre»

– Stefano Baia Curioni