Achille, Apollo e Prometeo ci portano a comprendere quanto siamo forti o deboli

Iliade, illustrazione di un'edizione del 1880.

di Federica Margherita Corpina, B. Liver

Giuseppe Conte, autore de Il mito greco e la manutenzione dell’anima, un fondamentale saggio sui miti greci, spiega che attraverso la lettura dei miti vediamo e curiamo i pezzi della nostra anima.

Miti d’istruzione: come evitare crolli attraverso la conoscenza dei propri ponti interiori. Sui gradini dell’anima umana con lo scrittore e poeta
Giuseppe Conte.

Quali sono, tra i miti classici più conosciuti, quelli che lei ritiene più attuali, più facilmente riconoscibili nella società umana di oggi?

«Esiste, dentro di noi, un intero pantheon di antiche divinità, incarnazioni di pulsioni primordiali che vivono tutt’ora nella nostra anima. Di miti, non a caso, nel mio libro Il mito greco e la manutenzione dell’anima, ne vengono raccontati tanti, e, tra quelli più urgenti, figura indubbiamente il mito di Prometeo.

Se da una parte il dono del titano consente all’uomo di dar inizio alla civiltà, dall’altra l’esasperazione della sua volontà di dominio sulla natura, sintomatica dell’industrializzazione della società, non lo porta – ed è oggi più che mai evidente – a nulla di buono.

Altro valido esempio è il mito di Antigone: come lei, c’è tutt’ora chi antepone gli affetti alle leggi dello Stato, quando il potere si fa ingiusto.

Altrettanto attuale, infine, è la contrapposizione tra il principio di Afrodite e quello di Atena: da un lato l’amore come rigenerazione; dall’altro una sapienza attiva, militare, strategica, indissolubilmente legata, già nel nome della prima città della storia ad averla incarnata, alla democrazia».

“Esiste, dentro di noi, un intero pantheon di antiche divinità, incarnazioni di pulsioni primordiali che vivono tutt’ora nella nostra anima

– Giuseppe Conte

Mi sembra che ciò che lei costruisce nel suo libro sia una vera e propria mappatura divina del sentire umano. Quest’atto di attribuzione di un carattere soprannaturale al contenuto psichico dell’individuo mortale, con quali forme di spiritualità corrente risuona di più, a suo parere?

«L’approdo al mito greco ha rappresentato per me il punto di arrivo di un viaggio che di miti e saperi religiosi ne ha attraversati parecchi. Tuttavia, vedere il divino nell’uomo, oggi, non fa eco soltanto ai principi di una religione costituita: ciò che davvero conta è che l’uomo, in virtù della propria spiritualità, viva un legame religioso con la natura e con la società.

Difendere le ragioni dello spirito, d’altronde, in un contesto sociale che continuamente calpesta tutto ciò che è sacro, è oltremodo importante. In questo senso, il mio tentativo attraverso i miti greci, è quello di ridare fiato a un’idea di uomo come essere spirituale in costante comunicazione con il senso del divino: qualunque passione egli viva, in quel momento un dio abita in lui».

“il mio tentativo attraverso i miti greci, è quello di ridare fiato a un’idea di uomo come essere spirituale in costante comunicazione con il senso del divino: qualunque passione egli viva, in quel momento un dio abita in lui.”

– Giuseppe Conte

Il testo si presenta, per certi versi, come una guida alla consapevolezza di sé e del proprio respiro emotivo. Si possono, in tal senso, ammettere dei punti di contatto con la psicoterapia? Può, insomma, la mitologia farsi, tra le altre, chiave di analisi?

«La mitologia è stata molto usata dalla psicanalisi, in un senso da Freud, in un altro da Jung. Qui però il mito non si impone come una vera e propria terapia. Se la terapia, infatti, subentra nel momento in cui un certo equilibrio è rotto, curare la propria energia interiore attraverso il mito è cosa ben diversa: può essere sì terapeutico, ma come messa a fuoco della propria anima.

Un’abile, costante, amorosa manutenzione del proprio sentire, infatti, aiuta a riconoscere le proprie pulsioni, primo e difficile passo per imparare a raccontarsele con sincerità. E cos’è questo raccontarsi a sé stessi, se non mito? Ogni nostro gesto ha un senso mitico, ma il mondo contemporaneo fatica a saper riconoscere il valore simbolico delle cose. Esiste, sì, ciò che si vede, ma l’essenziale sta più a fondo, lì dove il mito scava per svelare quella complessità e ricchezza di sentire che ci abita e che non può essere appiattita».

l’essenziale sta più a fondo, lì dove il mito scava per svelare quella complessità e ricchezza di sentire che ci abita e che non può essere appiattita.”

– Giuseppe Conte
Giuseppe Conte (Imperia, 1945). Scrittore, grande viaggiatore ed esperto di mitologia, ha pubblicato numerose opere in versi e in prosa tra cui “Il mito greco e la manutenzione dell’anima” (Giunti 2021). Impegnato nella difesa della natura. Ha tenuto letture e conferenze in tutto il mondo.

Per definizione il mito ha la funzione di rispondere a una serie di domande impossibili, e allo stesso tempo inderogabili, che l’uomo da sempre si pone. In questa cornice di spiegazione narrativa, piuttosto che causale, di ogni origine, si inseriscono più che spesso spiragli di futuro, nella forma di visioni o profezie, generalmente ermetici e ambigui. Oggi noi su quali oracoli facciamo affidamento?

«Impossibili ma inderogabili: una contraddizione meravigliosa. Non ci sono risposte assolute, ma non porsi certe domande significa restare intrappolati in un vuoto di senso. Tra l’altro, è proprio interrogando il passato che si può intravedere uno spiraglio di futuro. Non a caso, i popoli che dimenticano la storia (appunto, il passato) e il mito (figurativamente, il passato remoto) non riescono a farlo.

Un po’ come l’Europa oggi, in balia di un mero principio economico, desacralizzante e privo di un respiro mitopoietico. Sempre a proposito di futuro, mi permetto un’autocitazione, un aforisma: “bisogna avere più dubbi che certezze, ma bisogna anche avere più sogni che dubbi”. Guai agli uomini che vivono di certezze assolute, foriere di grandi disastri, ma i dubbi, senza sogni, non portano a nulla. Ecco: il sogno a occhi aperti è l’unico vero oracolo per noi. Siamo ancora capaci di farne?».

il sogno a occhi aperti è l’unico vero oracolo per noi. Siamo ancora capaci di farne?”

– Giuseppe Conte

Quale mito classico rappresenta meglio la fame umana di risposte sul futuro?

«Il mito di Ermes, la divinità forse meno appariscente e il più umano degli dèi, perché messaggero e comunicatore: scende dal cielo tra gli uomini, un po’ come un angelo, e lo fa con leggerezza calviniana, con un atteggiamento, appunto, ermetico che ci consente di andare oltre, di volare verso il futuro.

Il dio diventa quindi il legame tra l’uomo e il mistero, tra l’uomo e la divinità, tra l’uomo e il sacro, restando pur sempre un dio divertente: non ha la solennità di Apollo, ma piuttosto una leggerezza metamorfica, foriera di trasformazioni. Termine di mezzo della contrapposizione nietzschiana tra apollineo e dionisiaco, è il dio del viaggio dell’anima, e il suo mito è oggi quello di cui più abbiamo bisogno, quello con più promesse di futuro».

Dèi e uomini condividono in fondo gli stessi impulsi; ciò che fa la differenza, e che la dea/maga protagonista in Circe, di Madelin Miller, in parte invidia ai mortali, è la loro innata finitudine, con tutte le sensazioni ad essa connesse. In che modo, dunque, miti immortali possono incarnare l’essenza di questa specificità tutta immanente e terrena dell’uomo?

«L’uomo vive nella finitudine, ma ha fame di infinito. La contraddizione, innata, si palesa anche in una frase di Goethe: “chi ha fame di infinito segua tutte le vie del finito”. La finitudine dell’uomo è la fonte stessa della sua inderogabile fame di infinito, e il mito ce lo insegna: il mito ci parla di esseri eterni, che però fanno parte di noi, come noi siamo parte dell’eternità. Ma cos’è l’eternità? “Elle est retrouvée. / Quoi? – L’Eternité. / C’est la mer allée / avec le soleil”, scrive Rimbaud. È il mare che se ne va con il sole. E l’uomo è lì, che vi tende».

Un’ultima domanda. Si definisce manutenzione quell’insieme di operazioni che vanno effettuate per tenere sempre nella dovuta efficienza funzionale un edificio, una strada, una nave, una macchina, un ponte, un impianto. Guardando all’impianto dell’anima umana, si può affermare che il singolare atlante emotivo da lei stilato recuperi, tra le altre, anche una sorta di funzione correttiva del mito come modello morale?

«Nel libro parlo di un politeismo dell’anima e di un monoteismo della volontà. Morale è la volontà, la scelta. Prendiamo, ad esempio, il binomio vendetta/perdono. Il perdono, rispetto alla vendetta, non è una pulsione primaria; è piuttosto un concetto cristiano per il quale bisogna attingere a un livello superiore di moralità.

Il mito descrive e cura le pulsioni primarie, poi chiaramente, sta a noi scegliere, uniche creature al mondo con il diritto e il potere di farlo. Solo l’uomo sceglie, e dalla scelta si dipanano luce e buio. Quindi sì, il mito ha senza dubbio una funzione correttiva. Il processo di manutenzione, infatti, consiste anche nel vedere come questi miti agiscono in noi e come possiamo governarli con operazioni di ricostruzione, amputazione, ribaltamento».