
I monologhi del Bullone è la nuova rubrica del giornale nata per fare emergere il bisogno di «tirar fuori» argomenti nascosti dentro di noi. In questo monologo Eva racconta la sua decennale e tragicomica esperienza con psicologi e psicoterapia, iniziata all'età di 16 anni.
di Eva Crivelli
Psicoterapia, primo tentativo: i test a risposta multipla
La mia prima esperienza fallimentare con la psicoterapia arrivò a 16 anni, quando una dottoressa, ad ogni seduta, mi consegnava una decina di pagine di domande a risposta multipla ed esercizi di logica, per poi uscire dalla stanza e lasciarmi lì a compilare i test.
Ora, se ti pago, per lo meno potresti restare nella stanza per condividere con me l’imbarazzo della situazione; alla terza seduta iniziai a proporre al posto di quei test noiosi, che so, dei sudoku o delle parole crociate, ma niente, e allora, mossa da un adolescenziale spirito di ribellione, iniziai a mentire.
Se dovevo essere per forza pazza, dovevo esserlo alla grande; ma a quanto pare, la dottoressa era pigra ma mica scema, e si accorse della mia bravata. Sanzione: fine del rapporto terapeutico, e forse, era andata meglio a me che a lei.
Psicoterapia, secondo tentativo: la terapia familiare
Neppure la terapia familiare fece al caso nostro: le sedute erano il chiaro ritratto delle disfunzioni della nostra famiglia; in cerchio, seduti su sedie troppo piccole per il nostro disagio, in una stanza troppo colorata per ospitare quattro adulti, guardavamo con aria scettica la povera terapeuta che, con un bonario sorriso, si può dire che stesse cercando di salvare il salvabile.
Nell’angolo sinistro, mio padre fissava il vuoto a braccia incrociate, nell’atteggiamento tipico del bambino capriccioso che non vuole fare i compiti: lui era lì «per ascoltare», perché lui della terapia «non aveva bisogno» (iniziamo bene!).
Alla sua destra, mia sorella, che con sguardo perso si guardava attorno, aspettava che qualcuno le desse chiare direttive su cosa fosse giusto dire e cosa no, senza farsi vedere sbirciava il telefono, contando alla rovescia i minuti rimanenti alla fine della seduta.
E infine, dritta di fronte a me, mia madre, poverina, che investita da quel mistico compito di mamma-aggiustatutto, balbettava frasi a vanvera, cercando di tamponare le evidenti lacune relazionali del nostro assetto familiare.
Insomma, inutile dire che dopo tre sudate sedute, anche la terapia familiare fallì.







“Psicoterapia”, terzo tentativo: la veggente
Nella disperazione mi rivolsi anche a una veggente: in uno squallido monolocale a Vigevano, una signora di mezza età mi accolse in vestaglia e con i capelli paglierini strizzati in un vecchio mollettone, per farmi sedere in una stanza che pareva lo sgabuzzino di un accumulatore seriale, circondata da ceri, ritratti di Padre Pio e varie iconografie induiste (insomma, ‘ndo cojo cojo); con le mani gonfiate dall’artrosi, ma con la sveltezza nel mischiare le carte che si affina solo con anni di ciarlatanerie, mi dava risposte confuse a domande ancora più confuse.
«Vedo amore, soldi e lavoro nei prossimi sei mesi», (e chi li ha visti?): ma il momento apicale di quell’assurda seduta, se così si può chiamare, fu il colloquio tra la donna e «un’ombra che ti segue». A quanto pare, oltre che veggente, era anche medium: insomma, un disastro su tutta la linea.
Bioenergetico o gestaltico?
E non pensiate che la «classica psicoterapia» sia più semplice, perché la prima domanda che vi porrei sarebbe: «psicoterapia, ma quale?» Perché se fosse così semplice, mi sarei risparmiata i miei primi cinque psicoterapeuti.
E così, scivoli lentamente in un circolo vizioso in cui inizi a pensare che forse sei troppo inetta anche per la psicoterapia, o che forse tutti i terapeuti sono più suonati di te, seduti dietro alle loro scrivanie, mentre con tono sprezzante citano Freud.
Trovare un terapeuta è un po’ come andare all’all you can eat: un sacco di scelte, talmente tante da confondere le idee, quindi ordini un po’ a caso, e poi scopri che quelli che pensavi fossero ravioli sono in realtà alghe in salsa agrodolce; analitica, cognitivo comportamentale, adleriana, transazionale, sono solo un piccolo assaggio della vasta scelta del menu della psicoterapia.
“Trovare un terapeuta è un po’ come andare all’all you can eat: un sacco di scelte, talmente tante da confondere le idee”
Eva Crivelli
Come scegliere? Completamente a caso: tu la conosci la differenza tra un approccio bioenergetico e gestaltico? Nemmeno io, nonostante il mio curriculum conti dieci anni e sette psicoterapeuti alle spalle.
Navighi nel buio, fino a quando la tua (costosa) indecisione (e ignoranza) ti fa approdare sulla poltrona di qualche professionista che faccia al caso tuo; non è l’approccio o la scuola di pensiero a fare la differenza, ma è un sottile e delicato incastro di visioni e letture, una magica coincidenza che ti fa credere che forse i 120 euro spesi per l’ipnotista te li potevi anche risparmiare.
“non è l’approccio o la scuola di pensiero a fare la differenza, ma è un sottile e delicato incastro di visioni e letture […]
Eva Crivelli
L'intelligenza artificiale da sola non crea arte di Mirco Tangherlini Ho realizzato, coinvolto ed emozionato, le immagini per I monologhi del Bullone. Come illustratore «tradizionale» che lavora sia in analogico che in digitale, sono sempre alla ricerca di nuovi strumenti che possano ampliare la mia creatività e la mia visione artistica. Nel corso dell'ultimo anno mi sono avvicinato all'uso dell'intelligenza artificiale (IA), uno strumento che ha aperto nuovi orizzonti all'arte visiva e alla creatività. Questa tecnica, che chiamo sintografia, mi ha permesso di superare il limite della realtà e di catturare momenti unici e sorprendenti, mai accaduti o che potrebbero non accadere mai. Grazie alla «fotocamera» dell'IA, non c'è bisogno di replicare ciò che vedono i nostri occhi: l'immaginazione è la protagonista e diventa fonte di ispirazione per le immagini sintetiche che vengono create. Questo è ciò che rende la sintografia un metodo innovativo e sorprendente. Creare un’immagine con AI è semplice: basta formulare un «prompt», ovvero una richiesta che descriva ciò che si vuole ottenere. Più dettagliatamente si descrive la scena immaginata, più il risultato finale sarà sorprendente. Nel corso del tempo ho sviluppato il mio stile personale, aggiungendo ai miei «prompt» elementi come «tecnica pittorica»,«punto di vista» e molti altri parametri che mi consentono di ottenere risultati fotorealistici o pittorici a seconda delle esigenze. La sintografia è una forma d'arte accessibile a tutti, e l'AI è uno strumento che renderà il nostro lavoro sempre più efficiente e sorprendente. Certo, c’è ancora molto da scoprire e da comprendere, ma l'importante è non avere paura del nuovo e cogliere tutte le opportunità che questo strumento ci offre per esprimere la nostra creatività e la nostra visione artistica. Questo è l’indirizzo del mio atelier online: tangherlini.it/aitelier/