
I monologhi del Bullone è la nuova rubrica del giornale nata per fare emergere il bisogno di «tirar fuori» argomenti nascosti dentro di noi.
Ciao, finalmente fuori!
I documenti, i soldi della busta paga, ovviamente priva delle trattenute di mantenimento, il portafoglio, chiavi. E dopo il solito saluto di non arrivederci, la consegna del telefono… Ma… Ma quando io sono entrato non ce l’avevo il telefono. Zitto e metti in tasca.
La prima volta che San Vittore mi regala qualcosa. Sarà di qualche altro detenuto, hanno sbagliato. Spero sia del furbo che mi rubava il tabacco.
Ogni volta mi prometto di non tornarci
Quante volte avrò varcato questa carraia. Ogni volta mi prometto di non tornarci. Di rito, sigarette al tabacchi e birretta.
Se ci penso mi fa strano, ma l’emozione dell’uscita è più forte prima di varcare il cancello.
Pochi istanti e l’euforia del momento prima, svanisce. Vengo inghiottito dalla solita vita di città. Pochi metri dal portone e già mi dimentico tutto, la sofferenza provata, le privazioni, la convivenza forzata.
Almeno il primo pensiero non è la coca. Ogni volta mi riduce uno straccio e la paura di ritrovarmi in quelle condizioni fa tardare il craving (il desiderio improvviso e incontrollabile di assumere una sostanza psicoattiva o un particolare alimento), solo tardare, ma presto mi sentirò così forte che con il potere della birra vorrò sfidarla.
Finalmente a casa! (è occupata)
La casa! Devo andare subito a casa. Dentro mi hanno comunicato che è stata occupata. Dicono che non possono sbatterli fuori.
Sono proprio curioso di vedere che faccia hanno.
Il profumo per le scale è sempre lo stesso. Salendo fino al mio piano, il quarto, incontro la vicina del terzo: «Ciao Roger! sei sparito». Non ne abbiamo mai parlato esplicitamente, ma sono sicuro che ogni volta che mi sente uscire di notte e vedendo spesso la polizia che mi cerca, qualche idea se la sarà fatta.
La serratura è stata cambiata. Il campanello funziona. Alla domanda «chi è?», rispondo nervosamente «il padrone di casa». Ho appoggiato le borse in terra pronto a uno scontro. «Ciao, ti aspettavamo».
Mi racconta di un affitto pagato a chissà chi per un appartamento di nessuno, che sarei io. Hanno già le valigie pronte. Mi aspettavano veramente.
Mi faccio convincere a tenergliele fino a che non trovano un altro posto. La mia casa. Conciata uno schifo. È stata portata via la camera da letto. Tutta.
Armadio con 4 ante a specchio scorrevoli, letto matrimoniale a portafoglio, comodini. Ma io dico: Mondo Convenienza ci ha messo una mattinata per montarla e ora chissachì riesce a portarla via senza che i vicini se ne accorgano? Poi la sala. Perché devi rompermi il tavolo e insudiciarmi il divano beige?














Sono libero
Sono libero. Sono uscito da un paio d’ore e già mi ritrovo con il culo a terra. All’uscita mi hanno dato i soldi del lavoro di «scopino» che ho fatto dentro. Duecentoquindici euro. La casa distrutta e il pusher che abita di sotto. Sono libero.
Perché ora, seduto nel mezzo di un disastro, mi viene voglia di farmi? Perché tornare prigioniero di una vita che mi strangola?
Scendo a prendermi una birra… Lascia stare, sarà peggio. Accendo nervosamente una sigaretta. Mi guardo in giro: un disastro. Frigo vuoto. Tutto da lavare o rotto. Pochi soldi in tasca. Qualche ora fa ero dentro. In fondo la prigione è comoda. Manca la libertà. Di scegliere, decidere.
Manca la libertà, ma se ce l’hai e sei con il culo a terra che ci fai? Il mio motto è sempre stato: meglio libero senza soldi che al gabbio col grano. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo San Vittore.
[In prigione] Manca la libertà, ma se ce l’hai e sei con il culo a terra che ci fai?
Roger Mazzaro
Eppure, quando sono dentro soffro, come posso dimenticare quel dolore a poche ore dall’uscita? Il gioco lo conosco. I soldi se ne vanno in un po’ di spesa, cibo, detersivi. Due birre e una busta. Sono risalito sulla giostra che finirà il suo giro nel solito posto. Quel maledetto cancello.
“Sono risalito sulla giostra che finirà il suo giro nel solito posto. Quel maledetto cancello.”
Roger Mazzaro
L'intelligenza artificiale da sola non crea arte di Mirco Tangherlini Ho realizzato, coinvolto ed emozionato, le immagini per I monologhi del Bullone. Come illustratore «tradizionale» che lavora sia in analogico che in digitale, sono sempre alla ricerca di nuovi strumenti che possano ampliare la mia creatività e la mia visione artistica. Nel corso dell'ultimo anno mi sono avvicinato all'uso dell'intelligenza artificiale (IA), uno strumento che ha aperto nuovi orizzonti all'arte visiva e alla creatività. Questa tecnica, che chiamo sintografia, mi ha permesso di superare il limite della realtà e di catturare momenti unici e sorprendenti, mai accaduti o che potrebbero non accadere mai. Grazie alla «fotocamera» dell'IA, non c'è bisogno di replicare ciò che vedono i nostri occhi: l'immaginazione è la protagonista e diventa fonte di ispirazione per le immagini sintetiche che vengono create. Questo è ciò che rende la sintografia un metodo innovativo e sorprendente. Creare un’immagine con AI è semplice: basta formulare un «prompt», ovvero una richiesta che descriva ciò che si vuole ottenere. Più dettagliatamente si descrive la scena immaginata, più il risultato finale sarà sorprendente. Nel corso del tempo ho sviluppato il mio stile personale, aggiungendo ai miei «prompt» elementi come «tecnica pittorica»,«punto di vista» e molti altri parametri che mi consentono di ottenere risultati fotorealistici o pittorici a seconda delle esigenze. La sintografia è una forma d'arte accessibile a tutti, e l'AI è uno strumento che renderà il nostro lavoro sempre più efficiente e sorprendente. Certo, c’è ancora molto da scoprire e da comprendere, ma l'importante è non avere paura del nuovo e cogliere tutte le opportunità che questo strumento ci offre per esprimere la nostra creatività e la nostra visione artistica. Questo è l’indirizzo del mio atelier online: tangherlini.it/aitelier/