
I monologhi del Bullone è la nuova rubrica del giornale nata per fare emergere il bisogno di «tirar fuori» argomenti nascosti dentro di noi.
Ma tu chi sei, caro Essere?
Ma tu chi sei? Lo so, potresti rispondere come il Marchese del Grillo: «Io sono io e tu non sei un…».
D’accordo, caro Essere, proprio per questo un po’ ce l’ho con te, vero. Perché tu fai da etichettatore, attributore di qualità, copulatore di soggetti e nomi di predicati. E nota: per definirti non ti ho usato. Tiè!
Le argomentazioni a difesa dell’Essere
Le conosco le tue argomentazioni a difesa: «non è colpa mia se mi usano male. Io me ne sto lì in mezzo, e il prima e il dopo di me, ce li mette chi mi usa. Io sono malato; tu sei stupido, lui è demente… non esiste obbligo d’usarli. Potreste, voi umani, decidere di abbinarmi ad altri aggettivi: io sono aperto, tu sei attivo, lui è bello».
Verissimo quello che dici, corrette le tue argomentazioni. Eppure, anche nei casi che citi, trovo qualcosa che stride. Accettiamo come belle quelle etichette di «aperto», «attivo», «bello» e tante altre ancora. Ma pur sempre di etichette si tratta. Cioè di qualcosa che appiccichiamo sopra con una colla tendenzialmente eterna.
Essere, sei troppo presuntuoso
Il problema sta appunto lì: se tu ti stampi su qualcuno è difficile, a volte impossibile, cancellarti. Non penserai che noi siamo sempre, vero? Che non cambiamo mai? Che tutti ci debbano far essere in un dato modo.
Insomma, agisci da presuntuoso, sempre sicuro di te, senza mai un dubbio. Ti sei montato la testa nel corso dei secoli, poi. Se non fosse bastato Cartesio con il suo «penso e allora sono», è arrivato poi anche quell’altro a dire «essere o non essere?». Per tacere di tutta quella congrega di filosofi che si sono affaccendati attorno all’idea di Essere, arrivando anche a disquisire sull’Essere e sull’Esserci o su «Avere o essere».
Molto meglio quando sei solo un ausiliare
«Ma quella è filosofia, che c’entra!», tu mi rispondi. Forse sì, ma sempre di essere si tratta.
Vedi, a me piacerebbe un mondo in cui, caro verbo essere, ti usiamo solo come ausiliare.
«Eh, ma cosa dici! Mi vuoi umiliare?», prontamente mi rimbrotti.
Caro mio, vuoi lasciarmi la libertà di dire ciò che penso? E te le voglio dire con molta chiarezza: se al mondo non esistesse il verbo essere, sono sicuro che staremmo tutti molto meglio.











Di chi sono le colpe?
«Ma è tutta colpa vostra, di umani!».
Su questo non posso darti torto. In effetti le colpe sono sempre nostre. E anche se noi non abitassimo più qui, il pianeta ne avrebbe grande giovamento. Ma non farmi deviare: tu come ausiliare funzioni benissimo, perché aiuti gli altri verbi a esprimersi, specie quelli più ritrosi, come i verbi di movimento. Funzione quanto mai nobile ed espressione di un animo gentile.
Ma quando vuoi andare da solo, ecco, lì ti trovo insopportabile. Facciamo qualche prova?
Anziché dire «sei malato» potremmo dire «hai una malattia»; anziché dire «sono triste» potrei dire «ho qualche tristezza».
“Basta dire: sei anoressica. Ma: ho l’anoressia”
Ma anche se vuoi proprio giocare sulle cose positive, al posto di dire «è bello» potresti affermare con un certo vigore che «possiede la bellezza». Pensa a quanto più forte, potente, orgogliosa è questa frase. Ripetila, su!, «Lui possiede la bellezza»: non ti suona dentro in modo diverso, molto meno banale che dire «lui è bello»? Ti obbliga a guardare a lui (a lei, a noi, a tutti) in modo molto diverso.
Sai, se ci penso, in fondo hai un po’ di ragione. Non hai tutte le colpe. Me ne rendo conto, perché per parlare di te mi sono dovuto sforzare a non usare il verbo essere: l’ho lasciato tutto a te.
Una fatica che mi è piaciuta
Che fatica! Però è una fatica che mi è piaciuta, perché mi ha costretto a impiegare formule diverse, a cercare una mia creatività, a vedere te e il mondo con occhi nuovi. L’ho voluto fare io e tu hai accettato questa mia scelta, ti sei messo al servizio ausiliare e l’hai fatto bene.
Grazie, verbo essere. Ma io preferisco altri verbi, che mi danno meglio l’idea della mia fragilità, del mio appartenere a un tempo limitato della vita.
È vero: io non sono nulla. Vivo, e basta.
“È vero: io non sono nulla. Vivo, e basta.”
Lorenzo Carpanè
L'intelligenza artificiale da sola non crea arte di Mirco Tangherlini Ho realizzato, coinvolto ed emozionato, le immagini per I monologhi del Bullone. Come illustratore «tradizionale» che lavora sia in analogico che in digitale, sono sempre alla ricerca di nuovi strumenti che possano ampliare la mia creatività e la mia visione artistica. Nel corso dell'ultimo anno mi sono avvicinato all'uso dell'intelligenza artificiale (IA), uno strumento che ha aperto nuovi orizzonti all'arte visiva e alla creatività. Questa tecnica, che chiamo sintografia, mi ha permesso di superare il limite della realtà e di catturare momenti unici e sorprendenti, mai accaduti o che potrebbero non accadere mai. Grazie alla «fotocamera» dell'IA, non c'è bisogno di replicare ciò che vedono i nostri occhi: l'immaginazione è la protagonista e diventa fonte di ispirazione per le immagini sintetiche che vengono create. Questo è ciò che rende la sintografia un metodo innovativo e sorprendente. Creare un’immagine con AI è semplice: basta formulare un «prompt», ovvero una richiesta che descriva ciò che si vuole ottenere. Più dettagliatamente si descrive la scena immaginata, più il risultato finale sarà sorprendente. Nel corso del tempo ho sviluppato il mio stile personale, aggiungendo ai miei «prompt» elementi come «tecnica pittorica»,«punto di vista» e molti altri parametri che mi consentono di ottenere risultati fotorealistici o pittorici a seconda delle esigenze. La sintografia è una forma d'arte accessibile a tutti, e l'AI è uno strumento che renderà il nostro lavoro sempre più efficiente e sorprendente. Certo, c’è ancora molto da scoprire e da comprendere, ma l'importante è non avere paura del nuovo e cogliere tutte le opportunità che questo strumento ci offre per esprimere la nostra creatività e la nostra visione artistica. Questo è l’indirizzo del mio atelier online: tangherlini.it/aitelier/