Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, viene interpretata in questa intervista dall’insegnante Eva Ujlaky
Incontro il professor Rudolf Steiner via Zoom, sono emozionata. Conosco solo un pochino l’Antroposofia, la disciplina che si basa sui suoi scritti e che spazia in moltissimi i campi del pensiero e anche dell’azione, ponendo i presupposti e sviluppando la pedagogia Waldorf. Mi accoglie con un grande sorriso, facendomi i complimenti per la stanza che intravede alle mie spalle, dice che è rosso magenta, proprio come la sua.
Professore, cerchiamo di dare un quadro generale. Quali sono i concetti principali dell’Antroposofia? Serve una «traduzione» per renderli attuali?
«Credo sia una meravigliosa domanda, ma l’antroposofia non è un concetto, è un processo vivente, un essere vivente. Se pensa che il testo di base si chiama Filosofia della Libertà, può capire che non ha a che fare con un cosa, ma con come ci arriviamo. Forse si potrebbe dire che l’antroposofia inizia quando ci connettiamo con qualcosa di vivo, una pianta, un animale, un essere umano. Anche con il pensiero, che è un processo vivo».
Quindi è la cosa più attuale che possiamo immaginare…
«Ho scritto un sacco di libri, ma sono morti finché qualcuno di voi, con un pensiero sveglio e di cuore, li fa vivere. Ho lottato per trovare le parole e la grammatica utili perché possa arrivare il significato… a volte accade e altre no. Dobbiamo lottare per dare e trovare senso, così diventa un processo e non rimane solo capire o meno quello che c’è scritto».
Grazie, non è semplice mettere insieme tutto, è come guardare un intero panorama…
«Sì, perché è un’attività, un’attività spirituale».
Pensando a questa lotta per dare senso e ai bambini e ai ragazzi nel mondo virtuale, come si pone l’antroposofia?
«Immagini di essere un re, una regina, e di vivere in un castello immenso con duecento stanze, ognuna piena di piccoli oggetti brillanti e preziosi: noi non abbiamo e non avremmo la possibilità di avere davvero a che fare con ognuno di loro, in un certo senso di “amare” ognuno di loro, prendendocene cura, spolverandoli e prendendoli in mano ogni giorno, il che significherebbe essere profondamente consapevoli della loro esistenza. È un po’ lo stesso quando diamo un sacco di possibilità virtuali ai bambini, loro non possono avere a che fare con esse in un senso profondo. Ovviamente in un modo superficiale sì! Non è un giudizio sulla tecnologia, il cui sviluppo è sulla strada dell’uomo, ma continuare a porsi domande».
Quindi professore, se venisse in uno degli incontri del Bullone, che domanda farebbe ai ragazzi?
«Li inviterei a guardare un film insieme, osservando gli esseri umani, oppure a incontrarsi prima su Zoom… e poi direi: adesso andiamo fuori, incontriamoci. Puoi osservare niente di diverso? Che cosa accade di diverso? Qual è la differenza fra il mondo virtuale e quello naturale?».
Ho un’immagine distopica in mente: e se in futuro non fossimo più capaci di distinguere fra una pianta reale e una su uno schermo?
«Dobbiamo sapere che non sarà una questione di quantità, come dire, ad esempio, che almeno metà della popolazione mondiale dovrà aver avuto un’esperienza con una pianta reale perché questo non succeda, ma, come dice uno dei propositi della pedagogia Waldorf, di essere “abbastanza”. Non è una questione di quantità, è qualità. Dovranno esserci abbastanza persone, genitori, maestri, per costruire e continuare il lavoro nelle scuole, e il punto non è costruire scuole steineriane, ma continuare a voler comprendere cos’è lo sviluppo umano. Creiamo comunità perché diventino sempre più chiari quali sono i valori che vogliamo portare nel mondo. Nel futuro saranno i bambini e i ragazzi che hanno avuto certe esperienze, che sapranno farsi le domande. E noi non daremo loro definizioni, ma processi viventi e nuove domande. E lasceremo che la domanda cresca in loro e che le nostre risposte non siano le loro. Così si evolve».

C’è un altro tema che è importante per noi, la salute. Qual è il rapporto fra salute ed educazione?
«Ci sarebbe da chiedersi che cos’è la salute… Penso che non sia la mancanza di malattia. Non siamo sani solo perché non siamo malati. Quando ho ancora qualcosa in me che vuole recuperare, vuole andare avanti e prendere in mano la situazione, questa è salute, questo è sano. Molto spesso ci prendiamo cura del fisico, ma la salute ha un senso spirituale, sociale, ambientale, emotivo. In relazione alla scuola, l’educazione può diventare una medicina preventiva. Quando poi arriva una malattia, possiamo capire come risvegliare e nutrire le forze vitali che servono all’anima di quell’individuo, occupandoci non solo della malattia, ma appunto, della salute».
Sta dicendo che ognuno di noi ha la possibilità di risvegliare energia vitale attraverso le domande e la ricerca interiore, far crescere quell’energia e fare in modo che nutra il corpo e l’anima e lasciare che l’essere umano che si è, diventi più forte per passare attraverso le esperienze difficili e trovare il senso di essere qui, in questo tempo e con queste esperienze. Questa è una grande speranza, anche se non siamo tutti cresciuti in un ambiente così salutare, in famiglie o scuole così consapevoli, però abbiamo sempre la possibilità di cercare dentro di noi le domande e le forze e partire da lì.
«Sì, questa è una possibilità che ognuno di noi ha. E di cui possiamo anche prenderci la responsabilità verso gli altri. Di portare agli altri quel fuoco, quell’entusiasmo, quel calore anche attraverso piccole conversazioni. Mi sembra che le brillino gli occhi ora…».
Sa perché? Ho capito che Il Bullone è molto steineriano, scegliendo di nutrire la parte vitale dei ragazzi, facendoli scrivere, conversare su temi importanti, incontrarsi e incontrare. Anche con l’essere testimoni delle proprie esperienze, in cui chi ha sperimentato cosa accade quando non hai più la possibilità di usare le tue forze vitali come prima, può raccontare quali sono state le sue domande e dove ha trovato o sta cercando un senso. Insomma, siamo molto più Waldorf di quanto pensiamo!
Ci guardiamo, ora entrambi con gli occhi che brillano, e conversiamo ancora un po’ di biodinamica, scuole-fattoria, filosofia, medicina antroposofica, di altre vite che ci permettono di capire chi siamo, e di piantare semi nell’anima di chi si incontra.