Corrado Augias ci spiega come la cultura e la creatività abbiano un impatto economico positivo pari al 15,3%, con 252 miliardi di euro l’anno
di Pietro Lenzi
Il mio intento e quello della redazione de Il Bullone era quello di intervistare riguardo al ruolo del libro e della cultura nella nostra società, Corrado Augias, autore di numerosi libri e divulgatore televisivo di grande fama, nonché giornalista per L’Espresso e per La Repubblica, dove ha curato a lungo una rubrica dal titolo I libri di Corrado Augias, spazio destinato al consiglio di letture e diretto al pubblico di YouTube. Negli ultimi vent’anni l’autore ha risposto a migliaia di lettere di italiani giovani e non. Abbiamo approfittato, allora, della sua esperienza per porgergli qualche domanda.
Quanto è utile la cultura per sopperire alle tensioni odierne in ambito sociale e la conoscenza è veramente in grado di attuare e stimolare cambiamenti?
«Non credo che la diffusione della cultura sia strumento di pace e di comprensione in sé. È più probabile, invece, che possa costituire un aiuto in sinergia con altri fattori. Abbiamo tutti in mente l’Immagine paradossale e agghiacciante del kapò nazista mentre ascolta una sonata di Bach, con un campo di sterminio alle spalle, dove esseri umani vengono massacrati e umiliati reiteratamente. Le due situazioni dovrebbero essere inconciliabili, in teoria. Mentre la realtà è tutt’altra».
Augias riceve una chiamata da un ministro, dopo qualche minuto riprende l’intervista…
Quanto è potente la lettura?
«Il libro non è sempre una garanzia di conoscenza perché non è affatto detto che tutti i testi siano veicolo di cultura. Fondamentale è che acuisca la consapevolezza di ciò che ci succede attorno. La cultura può diventare in questo modo un mezzo concreto per capire la realtà. Oggi il sapere è essenziale anche per comprendere le necessità dell’ambiente, della natura e della Terra. Lo studio della storia ci aiuta a capire le cause che ci hanno portato a vivere il presente e le reali motivazioni dei forti cambiamenti in grado di caratterizzare un’epoca. Il libro è, senza alcun dubbio, uno strumento potente. Parlare di libri e di cultura, non dovrebbe essere solo un’azione necessaria, bensì un atto quotidiano e abituale per tutti».
Qual è il significato della parola cultura?
«Errore tipico dei ragazzi è fraintendere la portata e l’ambiguità della parola cultura. La cultura è un termine con più accezioni: la prima, più sofisticata, è la profonda conoscenza di correnti letterarie filosofiche, scientifiche e musicali; la seconda si rifà all’ideale umanistico e rinascimentale, quella di esseri umani che posseggono una visione globale dell’essere nel mondo. La definizione più accurata resta però quella latina: “homo sum, humani nihil a me alienum puto”. Cultura è anche, a livello volgare, il modo di sentire e di vivere di una persona a seconda dell’ambiente e della situazione specifica in cui vive. Chiunque ha una propria cultura, anche i Bororo dell’Amazzonia, studiati dall’antropologo francese Claude Lévi- Strauss, che conducono riti tribali nella foresta. Le loro tradizioni danno particolare rilevanza ai passaggi nelle fasi principali della vita come la morte, la sepoltura, la nascita e la pubertà. Ogni gruppo umano ha un differente e proprio tipo di cultura, parola ambigua perché ha diverse sfaccettature e declinazioni possibili, in relazione al tempo e al luogo che vengono considerati».

Prendendo come esempio il suo libro Breviario per un confuso presente, in cui scrive dell’importanza dell’auctoritas da Spinoza ai filosofi greci per vivere in una realtà complessa, ci viene spontanea una domanda: come si tramanda la cultura ai giovani e come li si invoglia a imparare?
«Una certa propensione ad approfondire il significato dell’esistenza non è da tutti: c’è chi si fa tante domande e chi meno. Alcuni si pongono degli interrogativi più impegnativi, altri non se li pongono affatto o lo fanno in maniera più superficiale. Ci sono situazioni che possono agevolare una maggior curiosità e introspezione. Ciò avviene, per esempio, se stimolati dalla famiglia, dalla frequentazione di amici curiosi e da una scuola in grado di prepararci al meglio e porci costantemente interrogativi. Èanche importantissimo non farsi scappare dei punti di riferimento come i grandi della storia e della letteratura. Il modo migliore per trasmettere cultura è instillare nei giovani la curiosità, il dubbio, fare in modo che i ragazzi si facciano domande. Ho incontrato una ragazza che non sapeva dell’esistenza di Elisabetta I. In occasione della recente scomparsa di Elisabetta II, se non le avessi suscitato il dubbio dell’esistenza della sua predecessora, difficilmente si sarebbe interrogata su questo, infatti ne era rimasta sorpresa. Appena preso atto dell’evidenza storica, la ragazza si è informata, fomentata dalla forte curiosità. Qualche giorno dopo, quando l’ho incontrata di nuovo, sapeva tutta la storia della regina. È stata una grande soddisfazione, per entrambi».
Qual è, dunque, la ricetta per invogliare la gente a imparare?
«Io punterei sull’insinuare un piccolo germe di curiosità, bastano storie come quella di Spinoza per farlo e per spingere i giovani ad avere fame di sapere.
Il filosofo ha una storia di vita incredibile: subisce addirittura la scomunica da parte della sua comunità religiosa, in ebraico charem. Ma come mai un ebreo sefardita, che si è trasferito in Portogallo per i Pogrom, è stato maledetto dalla comunità ebraica di Amsterdam? Basta porsi un quesito come questo per cimentarsi nella lettura, per desiderare di conoscere e approfondire.
Non bisogna inoltre dimenticare che l’insegnamento, per essere davvero efficace, deve comportare un trasporto amoroso. Ciò significa che il bravo insegnante è il maieuta socratico che ama il discepolo in senso intellettuale e vuole tirare fuori le cose da dentro, il personaggio di Robin Williams ne L’Attimo fuggente esemplifica bene ciò che voglio dire. Il cattivo professore, invece, è quello che annoia chi lo ascolta, anzi, più precisamente, che finge di ascoltarlo. Occorre animo, pensare che una cosa interessa e soddisfare curiosità è necessario per sentirsi più a proprio agio con sé stessi e nel mondo. Si impara ad apprezzare la cultura quando si soddisfa la fame di conoscenza, quando le domande ottengono risposte e ci sentiamo meglio. È una cosa che si impara e che non è determinata totalmente dalle predisposizioni personali».
Che cosa significa essere condannati alla conoscenza?
«È esemplificativa la frase di Petrarca che affermava:”Io che mi sento diviso tra due mondi e non ho la consolazione dell’ignoranza”, frase terribile e bellissima, che significa conoscere la consolazione dell’ignorante che non sa quello che gli manca. È il “so di non sapere” socratico che corrisponde a una continua e, a volte logorante e sfinente ricerca di verità e di risposte sullo scibile umano».
Che cosa le ispira ancora curiosità?
«Molte cose. Ciò che mi tiene in vita e che mi mantiene giovane è la curiosità che è inesauribile e sproporzionata rispetto a quello che mi rimane da vivere. Vivo leggendo e scrivendo e mi basta. Un aneddoto che mi viene in mente è quando il direttore d’orchestra Claudio Abbado dopo una grave operazione allo stomaco che non lo guarì, disse che la musica lo teneva in vita. Può succedere che la passione per l’arte, la conoscenza, la lettura diventi una vera e propria ragione di vita.
Alla fine una vecchiaia serena è quella che si appaga di curiosità soddisfatte».