Il mio progetto non si conclude. Bisogna sempre fare.

Alessandra Parrino illustrata da Giorgio Maria Romanelli
Alessandra Parrino illustrata da Giorgio Maria Romanelli

La vita è il progetto per eccellenza, come tale va portato a compimento, e quindi non conta l’inizio o la fine, ma solo il fare.

di Alessandra Parrino

«Nella vita non dobbiamo cambiare, ci dobbiamo realizzare». È forse questa la frase che racconta tutto ciò che sono diventati nel tempo i miei progetti personali. Perché ognuno di noi nella vita deve lasciarsi plasmare come fosse argilla, non per diventare qualcosa di nuovo, ma per acquisire la forma che già portava dentro e che semplicemente ancora non conosceva.

I progetti che scegliamo per il nostro futuro, spesso portano con sé già l’idea di fondo, che diventerà fondamento. Così è stato per me. In un mondo in cui crollavano le case e i ponti, dentro me è nato un pensiero: «vorrei che le persone fossero al sicuro quando vanno in vacanza o semplicemente quando stanno in casa propria».

Questo pensiero si è fatto largo, cercando il suo spazio, la sua terra su cui costruire la strada che porta al futuro. Questo pensiero è diventato una scelta: ingegneria, perché si vuole sempre un po’ cambiare il mondo.

Il progetto iniziale

La passione per l’altro, oggi posso vederla già dentro quel primo progetto, quell’incipit di un sogno che avrebbe reso sicuri i ponti, le strade, o forse solo la mia immagine di me. Quella stessa passione, mentre la vita faceva il suo corso, ha richiesto sempre più spazio dentro di me. I volti dei bambini e dei ragazzi si susseguivano, riempivano di colore le formule dei tanti esami da dare in università, fino a quando, smettendo di osservarli indistintamente, ho iniziato a guardarli per davvero, a scrutarne le profondità.

E dentro le loro profondità ho scoperto che se è vero che fuori crollavano i ponti, i tetti e i palazzi, anche i ragazzi stavano crollando dentro, in una società troppo impegnata alla ricerca del fatturato e che si dimentica spesso di quei pezzi di creato che si perdono. Questo pensiero si è fatto largo fino alla profondità del mio sentire, ho capito che il mio progetto andava levigato, plasmato in una struttura nuova, sebbene da sempre mia.

È così che il mio desiderio di diventare ingegnere si è plasmato nel voler fare l’insegnante, non perché abbia mai pensato di poter insegnare qualcosa a un ragazzo, bensì perché avrei potuto, tramite l’insegnamento, stare accanto alle loro fragilità e alla loro bellezza.

Il progetto che è stato

Adesso insegno matematica in un liceo e molti dicono che gli insegnanti seminino tra i banchi con la speranza che un giorno quel seme fiorisca… Beh, io non so se sono in grado di seminare qualcosa tra i banchi dei miei alunni, ma ho scelto di mettere a disposizione le mie braccia per spingere l’aratro e preparare il terreno. Non so se l’ho fatto bene o male, ma so che nulla ho trattenuto di quello che potevo dare. Proprio per questo motivo, alla fine di questo anno scolastico posso affermare che nessuna delle scelte che ho fatto la posso considerare sbagliata, anzi, se anche solo una di queste non fosse stata fatta, la strada che oggi solcano i miei passi sarebbe sicuramente un’altra e non avrei la grazia di vivere il dono grande di questi settantasette pezzi di creato che per un anno mi sono stati affidati.

Se oggi qualcuno mi chiedesse se il mio progetto è finito, la risposta sarebbe «no». No, perché la vita è il progetto per eccellenza, come tale va portato a compimento, e quindi non conta l’inizio o la fine, ma solo il fare. Con estrema certezza so che la mia strada è ricca di tanta fragile bellezza che va aiutata a trovare fondamenta solide, perché ancor prima che i palazzi e le case non crollino, serve che i ragazzi abbiano fondamenta solide su cui costruire il proprio cammino.