Apparizioni e scomparse, scrivere della solitudine

Alice Vichi illustrata da Giorgio Maria Romanelli
Alice Vichi illustrata da Giorgio Maria Romanelli

Scrivere mi portava consapevolezza e la consapevolezza che non sarei stata bene con nessuno, mi accarezzava sempre più spesso.

di Alice Vichi

La verità era che non mi sentivo capace di tenere insieme le cose, di stare dietro a situazioni diverse in momenti in cui mi sentivo spezzata. Quella domenica sera pensai molto e andai a dormire tardi. Pensai che tante cose mi scombussolavano la giornata e mi impedivano di arrivare al cuore delle cose. Pensai che ero lenta, troppo. Che mi ci sarebbe voluta più di una vita intera per dare ad ogni cosa il giusto tempo e la giusta importanza e io, non avevo le energie giuste. Pensai che guardare Lila ed Elena in tv non mi dava tregua. Mi tormentavo per le loro scelte, per quando mollavano la presa. Mi schieravo da una parte o dall’altra con la speranza di entrare dentro a quelle sensazioni.

Poi dubitavo della mia esistenza. Dubitavo delle mie idee e delle mie intenzioni. Ne dubitavo perché non conoscevo altre misure a parte L’amica geniale. Per me era sempre stata la metafora della vita, una bussola attraverso cui leggere il mondo.
Mi lasciai trasportare da quel mondo così reale e così lontano allo stesso tempo, che dimenticai da dove provenissi.

Quella vita vissuta all’interno di una storia mi stimolava, mi ammaliava. Mi stimoló soprattutto la visione delle cose che aveva Elena. Il modo in cui portava avanti la propria scrittura, facendola crescere e maturare, cambiare e invecchiare a seconda delle occasioni, mi dava quella spinta particolare per continuare a scrivere io stessa.

È da lì che riconobbi il fulcro di ciò che ero ed ero sempre stata: la scrittura era parte di me, era il mio rifugio, il mio futuro e la mia essenza. Riconobbi il mio incessante bisogno di parole per descrivere il mondo. Il mio incessante bisogno di scrivere per andare avanti, per sistemare e incollare i pezzi che si perdevano per strada e per dare valore a ciò che vivevo. Nella mia testa si formavano frasi improvvise, dialoghi, monologhi interiori che mi permettevano di dare un senso. Mi permettevano di elaborare il mio vissuto per guardarlo con occhi più liberi.

Sentivo il bisogno che la scrittura dovesse prendere più spazio nella mia vita. Che dovesse prendersi lo spazio che si meritava da sempre e che io non le avevo dato, perché non ne vedevo l’importanza. Scrivere era sempre stato il mio sogno, dare un senso implicito ed esplicito alle situazioni. Quella domenica mi appassionai molto al personaggio di Lenù. Non capivo che effetto mi faceva. Di sicuro, quella sera, mi aveva ferita.

Da questa ferita, mi chiedevo se le sue scelte fossero corrette. Se fossero in un qualche modo giuste e sagge. Non trovai risposta, anzi, mi mescolai. Non vidi più i miei confini e mi feci portare lontano con la convinzione che Lenù era buona e che se io avessi fatto quello che aveva fatto lei, sarei stata buona lo stesso. Poi qualcosa urtó la mia sensibilità: non volevo più paragonarmi alla gente, ero stufa. Ero stanca perché più mi paragonavo, più rischiavo di perdermi e più mi perdevo, più rischiavo di allontanarmi da ciò che stavo costruendo e la scrittura era una di queste.

Immedesimarmi negli altri mi faceva perdere la cognizione di me stessa a tal punto da non vederne più gli estremi, da non vedere più gli estremi del mio corpo. Immedesimarmi mi faceva male e mi spaventava. Mi sentivo distante e sentivo che la mia vita non era mai abbastanza normale da poter essere definita tale. Mi struggevo, mi dicevo che una vita passata a desiderare altro, mi avrebbe portato la serenità che desideravo.


Non fu così per molti mesi. Attesi invano che la paura di affiancarmi agli altri sparisse, ma più mi affiancavo agli altri più la paura diveniva più solida, concreta e resistente. Mi convinsi di non essere fatta come erano fatti tutti, mi convinsi che la strada migliore era poter scrivere della mia solitudine. Scrivere mi portava consapevolezza e la consapevolezza che non sarei stata bene con nessuno, mi accarezzava sempre più spesso. Non me lo seppi spiegare mai il perché mi sentii sempre desiderosa di conoscere le persone e poi di lasciarle andare.