Natalia e il progetto Lasae, la piattaforma per colmare il vuoto

Natalia Pazzaglia (credits: https://www.milanobiz.it/)
Natalia Pazzaglia (credits: https://www.milanobiz.it/)

Ho conosciuto Natalia un pomeriggio di sette anni fa e da quel momento ho avuto la fortuna di fare dei pezzetti di strada insieme a lei…

di Letizia Dottorini

Ho conosciuto Natalia un caldo pomeriggio d’estate di sette anni fa. Da quel momento ho avuto la fortuna di fare piccoli pezzetti di strada insieme a lei, contagiata dal suo straordinario modo di reinventarsi senza sosta. Durante uno dei nostri caffè ho avuto modo di conoscere anche sua mamma, Maria Vittoria, una donna minuta, dai modi garbati e il sorriso sottile. Il 15 marzo dello scorso anno, è purtroppo venuta a mancare; lasciando Natalia ad affrontare non solo la difficoltà del distacco, ma anche la complessità della gestione burocratica di una perdita. Da qui, insieme a un gruppo di amiche, è nato il desiderio di creare una piattaforma web che aiutasse le persone a vivere quel momento con degli strumenti adeguati, sotto tutti i punti di vista. Nasce così Lasae

Natalia, vuoi raccontarmi come nasce Lasae, a partire dalla scelta del nome?

«Il nome deriva da una parola etrusca, e si riferisce a delle divinità protettrici: Lasa al singolare, Lase al plurale. Il loro compito era di accompagnare chi se ne andava verso l’aldilà e di consigliare e sostenere chi restava. Abbiamo deciso di creare questo dittongo latino “ae”. Non è proprio della cultura etrusca, ma serve a unire le due anime; quella più individuale, di supporto alla singola persona, e quella collettiva, della comunità che circonda chi è colpito da un lutto». 

Che cosa significa per te la morte?

«Io ho incontrato la morte quando ero molto piccola: è mancato mio nonno quando avevo cinque anni; ho perso mio papà a dieci e poi, quando ne avevo sedici, mia mamma si è ammalata di cancro. Da lì ho dovuto fare i conti con il significato della morte; accettare che la vita è anche morte e che non ci sarebbe l’una senza l’altra. L’anno scorso, mia mamma è mancata dopo una lunga malattia. Per me è stato molto difficile. Se con la morte di mio padre ho affrontato il dramma di perdere un genitore quando si è ancora bambini; con la morte di mia mamma mi sono trovata da sola a dover far fronte al dolore e a tutto il resto; tutto quello che la morte comporta, non soltanto dal punto di vista emotivo, ma anche dal punto di vista economico, amministrativo, burocratico. È stato molto difficile farcela». 

Come ti ha cambiata tutto questo?

«Mi ha cambiata principalmente su tre livelli. Dal punto di vista pratico, nel senso che la mia vita per mesi è diventava un correre dietro ad avvocati, notai, commercialisti. Dal punto di vista emotivo, perché perdere una figura di riferimento senza avere una famiglia tutta mia, è stato molto forte e ha messo molto in discussione la mia identità. Poi a livello sociale e culturale; mi sono resa conto che viene demandato a una rete di prossimità e se questa non c’è più, si viene abbandonati a se stessi. Col passare dei mesi ho iniziato a parlarne. Ho cercato di capire, attraverso tante letture e molta ricerca sul tema, se la cosa riguardasse solo me. Non era così». 

Logo Lasae
Logo Lasae

Natalia parla del lutto

Lasae raccoglie storie di chi ha un vissuto simile da condividere, ma punta anche a dare un supporto concreto. Come? 

«Siamo in una fase di apertura, in cui ci facciamo domande perché abbiamo bisogno di capire cosa serve. La parte più difficile, è agganciare le persone, dove incontrarle, come far fluire le informazioni necessarie, in entrambi i sensi. Per quanto riguarda le storie, c’è un grande bisogno di raccontare queste esperienze, perché spesso non ci si sente ascoltati, ci si sente strani, soli. Quindi credo sia potente il fatto di poterlo raccontare in un luogo che non sia semplicemente la propria cerchia ristretta di persone. Poter riscoprire le proprie difficoltà nelle difficoltà di qualcun altro, una forma di condivisione e vicinanza. Da qui parte anche l’idea della piattaforma di non dare solo un supporto emotivo e pratico-burocratico; ma di aiutare le persone a rielaborare la trasformazione che l’esperienza della morte ha generato. Che persone diventiamo dopo una perdita? Come si può uscirne più resilienti, più forti, più creativi?».

Quanto è difficile, per la cultura in cui siamo immersi, imparare a stare vicino a una persona che soffre? 

«Forse è un po’ semplicistico, ma trovo che la strada sia provare a cercare il più possibile di guardare le persone che abbiamo di fronte. Tentare veramente di capire a che punto stanno e che cosa possiamo fare, ascoltandole. A me è capitato di rispondere tante volte in modo rabbioso perché stavo male, ma se quella persona mi avesse potuto vedere, l’avrebbe capito subito. La rabbia è proprio uno dei sentimenti che spesso sfocia dal dolore. Non è rivolta alle persone, ma all’accaduto, e non c’è un canale per esprimerlo. Viene richiesto un grande sforzo di empatia, mi rendo conto. E’ come se si chiedesse agli altri di interpretare il nostro bisogno senza che nemmeno noi ne siamo consapevoli».

Prima dicevi che tutti, dalle istituzioni in giù, di fronte a un lutto danno per scontato che la persona che resta abbia una rete su cui contare. Che conseguenze ha avuto per te questo tipo di pregiudizio?

«Essere soli ad affrontare un lutto così grande come la perdita di un genitore, ha impattato tanto sulla mia vita. Io sentivo mia mamma tutti i giorni e non avere più quella presenza, quella persona che mi chiedeva “come stai?” è stato devastante. Questo perché diamo per scontato che quando c’è un lutto ci sia un’altra rete intorno che in qualche modo supplisce. Ma non è così, non è sempre così. Per quanto riguarda la burocrazia, invece, non ti vengono fatti sconti, ci si aspetta che tu sappia una serie di cose. Al dolore si aggiunge un enorme carico di incertezza, sulle spese, i documenti, gli step e i tempi necessari. È stato un continuo, un vivere al cardiopalma. E quando affronti già un dolore, non è giusto convogliare le energie dedicate a guarire anche a questo». 

Grazie di cuore a Natalia, per aver condiviso con me la sua storia. Grazie a Emma, Giada, Elisa e Arianna che insieme a lei hanno dato vita a Lasae (https://lasae.it/); un progetto cui chiunque abbia vissuto un lutto, può contribuire tramite il racconto del proprio vissuto.