Lorella Carimali: «La pazienza è una virtù da non sottovalutare»

Lorella Carimali (credits: https://ostuninews.it/)
Lorella Carimali (credits: https://ostuninews.it/)

Tra i migliori 50 insegnanti del mondo, Lorella Crimali ci insegna il significato della parola “pazienza” che oggi troppo spesso viene sottovalutata.

di Annagiulia Dallera

Da 30 anni Lorella Carimali è professoressa di matematica e fisica, da 15 insegna al liceo Vittorio Veneto di Milano; nel 2017 viene premiata tra i migliori 10 insegnanti dell’Italian Teacher Prize; nel 2018 la troviamo tra i 50 finalisti per il Global Teacher Prize, il Nobel dell’insegnamento, nel futuro chi lo sa.

Il suo motto è: «La matematica è la mia passione. La scuola è la mia vita. I giovani e le giovani sono la mia speranza per un futuro migliore». Oltre al suo impegno di insegnante, è anche autrice di due libri. Il primo, La radice quadrata della vita, parla di come anche i numeri possano darti una soluzione ai problemi della vita. Il secondo, L’equazione della libertà, cerca di sfatare lo stereotipo che la matematica sia solo difficile e rognosa, o che le donne non ne capiscano niente. Il curriculum della professoressa Lorella Carimali farebbe impallidire chiunque. Svolge forse uno dei lavori più difficili al mondo, sulla parola pazienza e sul valore che ha in relazione alla convivenza, potrebbe scrivere un altro libro.

Sono tempi duri. Ci sono 60 guerre nel mondo. Perché non possiamo vivere in pace civilmente?
«Viviamo in una società dove il luogo in cui nasci ti cambia la vita. E quando non accogliamo i migranti, ce ne dimentichiamo. Non sappiamo godere della bellezza di dedicare un aiuto all’altro».

Come possiamo educare gli uomini a stare insieme nonostante differenze sociali, economiche e religiose?
«Ognuno si deve sentire protagonista. Nella pratica didattica cerco di formare cittadini consapevoli e solidali. Se uno dei miei studenti aiuta un suo compagno di classe, do più valore a quello. Bisogna far comprendere qual è la bellezza del dare che è più grande della bellezza dell’avere».

Pazienza e convivenza

Quanto conta la pazienza per una buona convivenza?
«Tantissimo. La parola pazienza ha dentro la radice della sofferenza. Spesso la confondiamo con la sopportazione. Invece, è una virtù. Vuol dire rimanere sé stessi, sempre aderenti all’obiettivo, essere solidali, anche se soffriamo. La pazienza ci aiuta a creare legami e ad aspettare i tempi degli altri, i tempi della soluzione di un problema».

Ormai fra le generazioni il divario di pensiero si sente. Che peso ha avuto la pazienza o la non pazienza?
«Culturalmente ognuno è figlio del suo tempo. Bisogna avere la pazienza di accogliere l’altro. Se mi confronto e sono paziente nel farmi capire dall’altro, posso arrivare a un punto di incontro. Si tratta di un passaggio evolutivo».

Lei è professoressa di matematica. Quanta pazienza ci vuole per insegnare questa materia, molto ostica per tanti studenti italiani?
«Ce ne vuole tanta per aspettare i tempi di tutti, proprio per il valore sociale che do alla mia materia come strumento di libertà. La matematica, come forma di pensiero, ci offre gli strumenti per prendere decisioni consapevoli e che siano solo nostre. Ci permette di realizzarci. È una competenza di cittadinanza».

In un suo intervento ha detto che la matematica può unirci perché non ha confini culturali, geografici, politici, di genere e linguistici. Potrebbe diventare anche motivo e stimolo per un’esperienza di convivenza positiva?
«La matematica sviluppa l’empatia. Ci porta ad allenarci, perché trasforma dei numeri in conoscenze. Se io approfondisco lo studio di questa materia, devo capire cosa c’è dietro una formula. E questo modo di pensare possiamo applicarlo anche a quando conosciamo un’altra persona: vogliamo capire chi è veramente, cosa ci può dare, oltre all’apparenza».

Lorella Carimali (credits: https://ladivinacarriera.com)
Lorella Carimali (credits: https://ladivinacarriera.com)

La pazienza di essere delusi

Lei privilegia il lavoro a gruppi, il sostegno tra compagni. Quanto è importante un’impostazione didattica di questo genere a scuola e nella futura vita dei suoi studenti?
«È fondamentale anche da un punto di vista egoistico. Oggi i problemi sono complessi. Non è possibile che una persona sola ce la faccia a risolverli. Lavorare in gruppo vuol dire non avere paura del confronto, non essere in competizione, valorizzare te stesso nella relazione con gli altri. Ogni opinione deve essere sostenuta da evidenze e devo imparare a non usare la forza per ottenere ciò che ritengo giusto».

Quali sono le condizioni emotive che porteranno noi giovani a vivere e convivere meglio?
«Ai miei studenti do sempre questo come consiglio per la vita: bisogna buttarsi avendo fiducia negli altri. Anche qui ci vuole pazienza. 9 volte su 10 si rimarrà delusi, ma la decima volta si avrà una soddisfazione enorme. L’altro ti regala sempre una bellezza se si sente accolto, se si accorge che tu non lo temi».

Ai suoi studenti insegna la cultura dell’errore da vedere non come limite, ma come opportunità. Quanta pazienza ci vuole per continuare a sbagliare, per resistere fino alla risoluzione di un problema?
«Tu non sei l’errore che commetti. Noi dobbiamo riflettere sul perché abbiamo sbagliato. Per arrivare a una nuova conoscenza si passa attraverso gli errori. C’è un metodo in matematica che funziona proprio per tentativi. I passaggi evolutivi li si ottiene solo quando c’è qualcosa che non torna».

Top 50 insegnanti nel mondo

Come si entra nella lista dei 50 professori migliori al mondo?
«A un evento a Dubai ho incontrato gli altri 49 colleghi. Tra di loro c’era chi insegnava nelle favelas, chi nei campi profughi del Kenya, chi nelle prigioni della Colombia. Le situazioni in cui operavano li rendevano grandi, perché riuscivano a far scuola in situazioni estreme. Io, invece, ero una professoressa di un liceo milanese d’élite. Per me è stato qualcosa di grandioso. Ho avuto un riconoscimento della mia pratica didattica allo stesso modo di coloro che insegnavano in condizioni estreme e sicuramente più difficili delle mie».

Qualche aneddoto sull’evento ce l’ha?
«A Dubai ho visto Al Gore, Tony Blair, Charlize Theron, Lewis Hamilton e ho conosciuto professori del MIT e della Columbia University. Non avrei mai sognato di fare incontri del genere e con personalità così importanti».

Sa di essere una fuoriclasse? Cosa direbbe ai suoi colleghi «più pigri» per migliorarsi?
«Non mi sento per niente una fuoriclasse. Desidero una società più consapevole, più solidale, più equa, più democratica. Mi piacerebbe condividere i miei studi, le mie conoscenze con gli altri colleghi per trovare degli strumenti per costruire proprio questo modello di società. La strada è ancora lunga ma sono fiduciosa».