La tavola rotonda virtuale, parlano Ludmilla, Julia e Joseph

maria teneva
maria teneva

La redazione del Bullone ha messo insieme in una tavola rotonda virtuale giovani di diverse nazioni, anche in questo numero: Ludmilla, Julia e Joseph…

di Ivan Gassa

Anche in questo numero la redazione del Bullone ha messo insieme in una tavola rotonda virtuale giovani di diverse nazioni. Abbiamo scelto Ludmila, 34 anni, una giovane madre moldava, emigrata in Italia cinque anni fa per far curare il figlioletto malato. Nata in Russia, mentre il padre stava lavorando in Siberia, con nonna russa, ma da sempre moldava. «Siamo fratelli, siamo tutti fratelli», dice di Ucraina e Russia. E sicuramente Moldavia. Come si sa la Moldavia è nell’orbita di Mosca. Come la Bielorussia, anche se il governo di Chisinau è molto prudente.

Del gruppo fa parte anche Julia, una ragazza di 26 anni ucraina che lavora in Slovacchia, mentre la sua famiglia, padre, madre, cognata e nipotino, fuggiti da profughi in Italia, sono alle porte di Milano da vecchi conoscenti che li hanno ospitati. Jiulia parla l’italiano e da lassù li aiuta a dialogare. Oggi i mezzi tecnologici sono determinanti per un dialogo lungo e paziente. Ma funziona. Il fratello di Julia invece, è rimasto a Kiev nell’esercito. «Combatte giustamente per il suo popolo, per noi. Tanti ucraini fanno così. Per questo vinceremo», afferma sicura Julia, senza immaginare che le prossime settimane saranno terribili.

Poi abbiamo scelto un giovane milanese, Joseph, 20 anni, che vive a Milano, ebreo, e iscritto agli Scout ebraici. Un ragazzo che partecipa attivamente alla vita della sua comunità, della sua religione. Ma aperto al dialogo. Volevamo toccare l’argomento Israele-Palestina, ma Joseph è stato chiarissimo: io sono per il dialogo, ripetuto più volte, e per l’autodeterminazione dei popoli. Joseph è un ragazzo di pace. Profondo, trasparente, colto e parla come se avesse vissuto altre vite. Informato, informatissimo su quanto sta succedendo nel mondo.

Abbiamo cercato, ma senza esito positivo (non siamo stati capaci, anche se abbiamo ricevuto qualche no) un giovane palestinese. Volevamo aggiungere ragazzi serbi e bosniaci, turchi e armeni, indiani e pachistani, somali ed eritrei, etc., ma abbiamo preferito rimandare questo mix di dialogo. Mettere insieme, farli dialogare, trovare tutti insieme il sentiero della convivenza, alternativa civile alla vita di oggi. 

Siamo convinti della strumentalità dei conflitti. Saltano fuori all’improvviso storie passate, storie recenti ma sconosciute, prepotenze e sopraffazione difficilmente collocabili per motivare un’aggressione. Per dimostrare il potere. Siamo tutti colpevoli davanti a questo Male, perché noi siamo incapaci di impedire ai nostri governanti di ragionare così bellicosamente. E poi guardando i tg, le lacrime di coccodrillo davanti a scene di uomini, donne e bambini in strada e nei campi, morti. Tutti morti, migliaia di morti, in milioni in fuga in altri Paesi. Siamo anche colpevoli di quello che sta accadendo nello Yemen, ma nessuno ne parla: 377mila morti, il 70 per cento dei civili uccisi sono bambini.

dylan gillis
Credits: Dylan Gillis

Tavola rotonda virtuale con i ragazzi per quanto riguarda la guerra

Questa guerra in Ucraina, morti, città distrutte, non si riesce a fare la pace. Ma che cosa rimarrà per voi giovani domani? Che cosa pensate?

Ludmila, moldava, nata in Russia: Io la guerra non la capisco. Russi e ucraini sono sempre stati fratelli e ora si uccidono. Siamo tutti mischiati, io sono moldava ma sono nata in Russia e ho una nonna russa. Sono tutti colpevoli, incapaci di convivere civilmente.

Julia, 26 anni, Ucraina che lavora in Slovacchia e con la famiglia fuggita in Italia: È vero, dobbiamo convivere senza armi. Ma se un Paese vicino ti aggredisce, che fai? Devi reagire. Io sono fuggita in Slovacchia, la mia famiglia si è rifugiata in Italia, in Brianza. Siamo tutti divisi, abbiamo smesso di vivere insieme. Tanti ucraini sono morti per difendere il Paese. Io non ce l’ho con il popolo russo, ma con i suoi governanti. Potevamo rimanere amici e ognuno fare la propria strada. Così è solo distruzione, ma vinceremo. Una vittoria a caro prezzo. 

Joseph, 20 anno, ebreo-milanese: Io sono per l’integrazione. Sono ebreo e vivo in Italia. Ognuno ha il diritto di vivere liberamente in qualsiasi Paese con la propria cultura, la propria religione nel rispetto delle leggi. Credo nell’autodeterminazione per ogni popolo. Dobbiamo costruire lo stare insieme.

Voi siete lontani dai luoghi caldi, dove si spara, si fa la guerra o si fa guerriglia. Ma come si insegna a convivere civilmente, pacificamente? 

Joseph: Mi viene da rispondere subito con la scuola. Ma la scuola non è sufficiente da sola ad insegnare una convivenza possibile. Ognuno deve impegnarsi anche nell’associazionismo sul territorio. Io, per esempio, faccio parte, semplificando, degli Scout Ebraici. Impariamo le nostre tradizioni, ma anche il rispetto degli altri. Il rispetto delle altre religioni, mente rafforziamo il nostro sapere sulla nostra religione. Studiare, studiare e capire. Confrontarsi. Ho amici di ogni nazionalità. In passato anche palestinesi, poi ci siamo persi di vista, come capita nella vita. Si fanno cose differenti, si va a scuola, si lavora, si ama. Ma l’educazione allo stare insieme c’è. Questo deve valere per tutti. Non si può essere sempre in conflitto. Che vita è, se no? 

Julia: Anche per me la scuola è importante. Ma noi ucraini e russi eravamo un unico popolo molti anni fa, parliamo la stessa lingua, in certe zone del mio Paese, la stessa religione. Abbiamo fatto guerre insieme. Siamo morti per la patria. Ma ora ci spariamo addosso. Faccio fatica a capire la parola convivenza quando si arriva a questo. 

Ludmila: Anch’io penso che la scuola sia importante. Ma convivenza significa anche avere servizi sociali. Faccio un esempio. Sono andata via dalla Moldavia cinque anni fa perché il mio bambino stava male. Tramite un conoscente italiano sono riuscita a farlo curare qui nel vostro Paese. Certo, amo la Moldavia, il mio popolo, ma lavoro, sanità e scuola sono servizi insufficienti rispetto a quello che offre l’Italia. Qui ho trovato la possibilità di curare mio figlio, ora sta bene. Questa è integrazione, è vivere in convivenza, è rispettare un popolo che mi ha ospitato. 

Quindi dare e ricevere, rispettare, sentirsi tranquilli…

Ludmila: Sì, sentirsi tranquilli. Sapere che i tuoi cari sono al sicuro, anche se la preoccupazione per chi è rimasto in Moldavia è tanta, siamo troppo vicini alla guerra. Dobbiamo solo sperare che finisca presto. Che Ucraina e Russia mettano via i fucili insieme e trovino un modo per fare la pace. Dobbiamo riuscire ad evitare che le famiglie siano costrette a migrare. Io volevo stare nel mio Paese, ma le emergenze mi hanno costretta a mettermi in viaggio. 

Julia: Certo, gli ucraini volevano vivere in pace. Vogliono vivere in pace. Noi avevamo, o meglio, abbiamo la possibilità di vivere alla grande e in democrazia. Abbiamo tante materie prime da vendere, il grano… Insomma, la possibilità di esportare, di creare lavoro in futuro, ma evidentemente questo non piaceva ai russi. Noi oggi siamo ucraini, con la Russia non c’entriamo niente, anche se siamo fratelli. Vogliamo essere rispettati e rispettare tutti. 

Joseph: Senza dialogo non si va da nessuna parte. Dialogare, sapere, conoscere, mettersi nei panni degli altri. Ecco, solo così si può cominciare a vedere il mondo nuovo. Io ho vent’anni e voglio vivere in un mondo di rispetto e di libertà, come ognuno vuole. Non sopporto la sopraffazione, come non sopporto la povertà. Finché ci sarà la povertà ci saranno sempre i conflitti. Dobbiamo creare una società dove equità e uguaglianza siano al centro del dibattito politico. Solo pensando che «io sto bene se anche il mio vicino sta bene», possiamo andare avanti civilmente. È il mio impegno di giovane, non voglio girarmi dall’altra parte. 

E adesso, questa guerra? 

Joseph: Deve finire al più presto. Non possiamo accendere la televisione ogni sera e sentire queste notizie di sangue provenienti non solo dall’Ucraina. Non ha senso. Sono un giovane di dialogo, lo ripeto. Dialoghiamo e troviamo il sentiero giusto per metterci d’accordo.

Ludmila: La guerra in Ucraina è colpa di tutti. Quando si spara non si possono dividere le responsabilità. Speriamo che finisca tutto. E si torni a costruire Paesi da vivere. 

Julia: Io ormai lavoro in Slovacchia. Mi trattano bene, con rispetto, non vedo l’ora che la mia guerra finisca e la mia famiglia possa tornare in Ucraina. Soprattutto penso a mio fratello che è un soldato e rischia la vita ogni ora. Vinceremo, ma che finisca presto.