Gabriele un ragazzo hikikomori; la parola deriva dal giapponese, significa «stare in disparte»: hiku tirare e komoru chiudersi…
La parola hikikomori deriva dal giapponese, e letteralmente significa «stare in disparte», dalle parole hiku, «tirare», e komoru, «ritirarsi» o «chiudersi». Un vocabolo tanto difficile da pronunciare e un concetto tanto complesso da capire. Il fenomeno riguarda giovani, perlopiù di sesso maschile. con un’età compresa tra i 14 e i 30 anni. Anche se, a seguito della pandemia da Covid-19, sono stati segnalati anche casi tra ragazzi di età inferiore. Ragazzo che decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi rinchiudendosi nella propria abitazione.
Questa è anche la storia di Gabriele (nome di fantasia). Racconta sua madre Daniela. Oggi è moderatrice del gruppo costituito dall’Associazione Hikikomori Italia Genitori. Oggi ne fanno parte moltissimi genitori di ragazzi. Loro come il suo Gabriele, hanno tracciato il confine del loro spazio vitale attorno a quello delle mura delle loro abitazioni. La storia di Gabriele ha radici molto profonde. Ha inizio quando lui è ancora bambino. Durante le partite di calcio prova una sensazione di disagio, sente gli occhi di tutta la platea su di sé. Quando il papà lo incoraggia gridando «Gabriele! Gabriele!», non prova orgoglio, ma vergogna, era schiacciato dalle aspettative di suo padre, che lo voleva vedere vincitore, performante.
Così Gabriele abbandona il calcio. Cresce, incontra le prime responsabilità. Studia per diventare geometra come il papà. Per poter seguire le sue orme e renderlo fiero. In classe i compagni ridono di lui, dei suoi modi pacati e gentili: «Suo figlio è sempre bravo signora, anzi, è troppo educato!». Ciò che i professori consigliano. Poi un giorno, prima di entrare a scuola, Gabriele si trova di fronte dieci ragazzi del suo stesso plesso scolastico. Lo picchiano, lo prendono a calci, lo filmano con il cellulare e postano quella brutalità su Youtube. Da allora, Gabriele conterà i passi che lo separano dalla fermata del bus all’ingresso della scuola, per paura di dover rivivere quel trauma. Daniela scoprirà questo avvenimento anni dopo, e in lei riesco a percepire l’impotenza di una madre davanti al dolore del figlio. Il rimpianto di non aver agito prima, di non aver fatto abbastanza.
L’aggressione a Gabriele traccia una linea netta tra un «prima» e un «dopo». Inizia a prendere lezioni di krav maga e di boxe. Vuole imparare a difendersi da quei suoi compagni violenti. Più il suo corpo acquisisce massa muscolare e si espande, più Gabriele si chiude. Parla sempre meno con i genitori, frequenta poco i suoi due migliori amici, è insofferente nei confronti della scuola. A febbraio del quinto anno di scuola superiore, Gabriele smette di frequentare le lezioni. I professori dopo una breve telefonata in cui chiedono spiegazioni, smettono di contattare la famiglia. Che ora deve confrontarsi con un ragazzo che non è più Gabriele. Ma un giovane rabbioso, aggressivo, incontrollabile, manesco, che anche nel suo piccolo rifugio domestico non riesce a trovare comprensione e sostegno.

Gabriele ragazzo hikikomori
Gabriele trascorre il suo tempo giocando ai videogiochi. Il suo ritmo circadiano si modifica, dorme di giorno e gioca di notte. In quell’oscurità che ormai è diventata il suo rifugio. Se di giorno ognuno di noi deve affrontare responsabilità, doveri, impegni, nella notte tutti gli obblighi vengono meno. Ognuno è libero di lasciarsi andare. L’Es trionfa e il Super-io è sopito, come direbbe Freud. «Il suo disordine all’inizio mi faceva impazzire. Lasciava tutte le ante degli armadi spalancati, i cassetti aperti». Racconta Daniela, come se quel ricordo ancora la stesse tormentando. Gabriele aveva lasciato la vita un po’ come aveva lasciato i cassetti e le ante di camera sua: spalancati, a metà, un po’ in sospeso.
E così il tempo trascorre, il nucleo familiare si disgrega sempre più. Daniela non si arrende. Intraprende un percorso di psicoterapia a Torino. «Mi facevo anche sei ore di viaggio, ma io ci andavo lo stesso. Ho iniziato a liberarmi dalla cecità della sofferenza, e ho iniziato a cercare mio figlio». Inizia anche a frequentare il gruppo composto da altri genitori con figli hikikomori. Finalmente non si deve più nascondere. Può liberarsi dalle frustrazioni della giornata, e allo stesso tempo riceve consigli e trova conforto nelle parole di coloro che possono comprenderla.
Più Daniela scopre Gabriele, le sue necessità e i suoi turbamenti, e meno suo figlio la allontana. Ritrova un amico d’infanzia con cui allenarsi. Ogni grande cambiamento inizia con un piccolo passo, e Gabriele, passo dopo passo, sta costruendo il suo futuro. Per andare avanti bisogna lasciare qualcosa indietro; è un lungo percorso, in cui sia Gabriele che i suoi genitori dovranno mettersi in discussione, con pazienza e tolleranza.
Una mia cara amica un giorno mi disse che bisogna avere il tempo e la pazienza per costruire spazi liberi dal giudizio. Gabriele quel suo spazio se l’è costruito da solo, tagliando fuori dalla sua vita tutto ciò che provocava angoscia e sofferenza. È stato grazie alla comprensione ritrovata nelle persone che aveva attorno. Ora sa di poter progettare la sua vita secondo le proprie aspirazioni e i propri desideri. Questa è la storia di Gabriele, o meglio, è solo l’inizio.