Franco Molteni: esoscheletro e la tecnologia che rimette in piedi

Franco Molteni interpretato da Chiara Bosna
Franco Molteni interpretato da Chiara Bosna

Il presente che verrà, tra esoscheletro e tecologia riabilitativa. Il professor Franco Molteni ci illumina sul futuro della ricerca in questo settore e sull’importanza e la centralità della persona.

di Sofia Segre Reinach

Del professor Franco Molteni e dell’incredibile lavoro di riabilitazione che porta avanti a Villa Beretta di Costa Masnaga, sento parlare per la prima volta durante la riunione di redazione. Come spesso accade, le cose più stupefacenti si incontrano ascoltando le esperienze di vita quotidiana di ciascuno. E al Bullone di storie stupefacenti ce ne sono tante.
È così che Andreina e Chiara quando parliamo di tecnologia al servizio della salute, si illuminano pensando a lui e a quello che, faticosamente e coraggiosamente, stanno affrontando, chi sulla propria pelle, chi stando accanto a un proprio caro, in questo centro tra le montagne lecchesi.

Professore, che cos’è Villa Beretta?

«È un centro di riabilitazione per persone con disabilità derivanti da lesioni congenite o acquisite del sistema nervoso. Ci dedichiamo a problematiche di tipo motorio, come il cammino, il movimento delle braccia, ma anche il controllo del movimento intestinale e della vescica; a problematiche respiratorie; e a quelle correlate alle cosiddette funzioni corticali superiori, come l’attenzione, la memoria, la capacità di prendere decisioni. Spesso tutte queste aree sono coinvolte nella storia del paziente, la riabilitazione qui è guardata a 360 gradi. Per la complessità e la rilevanza dei problemi funzionali che devono essere ovviati, abbiamo messo in campo negli ultimi decenni una rete virtuosa di collaborazioni con il Politecnico di Milano, con il CNRConsiglio Nazionale delle Ricerche, con l’Ente Ospedaliero Valduce, organizzazione non-profit retta dalla Congregazione delle Suore Infermiere dell’Addolorata di cui siamo parte e con altre realtà della zona. Questo ci ha permesso di costituire un pool di attività che riverberano sullo sfruttamento delle tecnologie per i bisogni dei nostri pazienti; attività di ricerca insieme alle aziende che sviluppano tecnologie per la salute focalizzate sul risolvere disabilità; oppure migliorare tecnologie già commercializzate per riuscire ad essere più incisivi sulla qualità della vita delle persone con disabilità. Negli anni questa rete ha consolidato rapporti nazionali e internazionali, dall’Europa agli Stati Uniti, a Israele, che hanno attratto in quest’area sperimentazioni con tecnologie innovative».

L’esoscheletro

Come l’esoscheletro?

«L’esoscheletro, la tuta robotica che permette di camminare a chi non è in grado, è l’innovazione che ha colpito maggiormente l’immaginario collettivo. Questo traguardo è stato il risultato di un’azione di ricerca, sostenuta anche da Fondazione Cariplo, in collaborazione con un’azienda israeliana che più di dieci anni fa ha scelto noi come centro dove sperimentare un esoscheletro innovativo che permettesse di deambulare a persone che hanno una lesione midollare completa, cioè prive dell’uso delle gambe. Da questa esperienza è nata una expertise che è stata poi applicata ad esoscheletri, prodotti in USA, che permettono di rieducare il cammino a chi ha un uso parziale delle gambe, migliorando la capacità di recupero del cammino. Da qui, insieme ad altri enti, abbiamo sviluppato tecnologie per migliorare l’utilizzo degli arti superiori, come il guanto robotico, che oggi è sul mercato come uno dei device più avanzati in tutto il mondo per il recupero della funzione della mano. C’è poi un altro aspetto interessante, che è quello dei nuovi farmaci che vengono introdotti nel corpo dei pazienti con varie metodiche e tecnologie. Per esempio, qui abbiamo lunga esperienza di utilizzo della tossina botulinica per la riduzione della spasticità, che viene inoculato esattamente lì dove ce n’è bisogno, nel muscolo spastico. Su questo abbiamo svolto un’attività importante sia di sperimentazione, sia di formazione di medici e fisioterapisti e siamo diventati un centro di riferimento europeo. Per le collaborazioni che abbiamo anche con alcuni istituti di neurochirurgia, come il Besta, ci siamo mossi anche per lo sviluppo di tecnologie impiantabili per la stimolazione elettrica di parti del corpo, come gli stimolatori cerebrali, che vengono usati tipicamente nel Parkinson, e che adesso hanno anche una possibile diffusione in patologie correlate a lesioni cerebrali».

Lei è testimone di un presente che è qui, ora, a Costa Masnaga, ma che probabilmente in tanti altri luoghi è ancora futuro…

«Sì. Per diverse coincidenze in questo territorio si è creata un’area privilegiata, che è un attrattore spontaneo di fondi e attività per la ricerca e di attività di formazione. Determinante è stato l’insediamento del Politecnico, del CNR e il grandissimo lavoro svolto dall’associazione UniverLecco, che ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo di alta formazione universitaria e di centri di ricerca sul territorio. Solo qualche giorno fa abbiamo terminato la consegna dei diplomi a 60 studenti del primo master italiano dedicato alla tecnologie per la medicina riabilitativa».

Franco Molteni interpretato da Chiara Bosna
Franco Molteni Classe 1956, Direttore della divisione di medicina riabilitativa dell’ospedale Valduce Villa Beretta  a Costa Masnaga (Lecco) dove dirige anche il laboratorio di analisi del movimento. (Illustrazione a cura di Chiara Bosna)

Tecnologia accessibile a tutti

Quanto è accessibile questo mondo?

«Moltissimo. Noi operiamo all’interno di un istituto non profit, l’Ente Ospedaliero Valduce, con finanziamenti per la ricerca che provengono da fondi europei, nazionali, da fondazioni come Cariplo, o dalla stessa nostra Fondazione Valduce. Siamo arrivati ad avere un centro totalmente dedicato a queste disabilità, con circa 100 posti letto; abbiamo un centro di biotecnologia interno all’ospedale e collaboriamo con i laboratori, oltre del Politecnico e del CNR che ho già citato, dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova; dell’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e di altre università».

A che velocità va l’innovazione?

«Siamo in un momento storico dove lo sviluppo ha velocità che sono nettamente incrementate rispetto a vent’anni fa. Ma parliamo sempre di anni, non di mesi. Se mi chiede se l’ipotesi che gli esoscheletri attuali fra 10 anni (non tra 2, 3 e neanche 5) saranno cambiati in modo sostanziale e ragionevole, la risposta è sì. A 10 anni abbiamo delle prospettive estremamente importanti. A 5 anni importanti ma non rivoluzionarie. Di fatto ci sarà un cammino continuo di crescita. Se paragoniamo l’evoluzione tecnologica che c’è stata tra il 2000 e il 2010 e quella tra il 2010 e il 2020, in quest’ultimo decennio è stata 5 volte maggiore rispetto al precedente. Ancora, tra il 2000 e il 2010 abbiamo avuto 20 volte più evoluzione rispetto al decennio 1990-2000».

Il futuro è la tacnologia che aiuta

Cosa vede lei nel futuro?

«Un ambito importante su cui stiamo lavorando è quello delle tecnologie domiciliabili. Queste permettono la continuità della cura tra l’ospedale e la casa del paziente, attraverso sistemi di telecomunicazione; sistemi indossabili che rilevano i movimenti del corpo e, anche, il pensiero di una persona, come i caschetti elettroencefalografici che permettono di capire se una persona è attenta o non attenta. Quindi attraverso questi sistemi possiamo integrare quella che viene definita sensoristica indossabile, che mette in comunicazione il corpo del paziente con noi, e allo stesso tempo ci permette di vedere come la persona si comporta nella sua condizione quotidiana. Questo comportamento spesso non corrisponde a quello ospedaliero. La casa può diventare un campo di riabilitazione importantissimo, perché ci sono componenti emotive, affettive, sensoriali, di attenzione di chi sta intorno al paziente, che danno un grosso vantaggio riabilitativo. Non c’è tecnologia che la possa sostituire».

Anche per familiari e care giver?

«Assolutamente. In quest’ottica la valorizzazione del ruolo del care giver è centrale, di chi sta accanto al paziente. Adeguatamente istruito, può dare contributi importantissimi al percorso di cura. Per recuperare situazioni complesse ci vuole tempo e ci vuole un luogo ottimale. L’ospedale è solo un primo pezzo, importante ma non unico. Altro aspetto da non sottovalutare è quello della sanità digitale. Tutto quello che ci siamo detti, crea una massa enorme di informazioni, che noi possiamo rilevare, archiviare e analizzare. E per questo, ci vorranno altri sistemi di intelligenza artificiale. La persona è sempre al centro, le sue esigenze guidano tutto il processo, non è la persona che si adegua alla tecnologia. Ma le tecnologie stanno diventando sempre più flessibili. E nella loro flessibilità, sempre più utili. Nella loro utilità, sempre più varie. È fondamentale tenere il filo logico del loro utilizzo. Perché altrimenti diventa un grande parco giochi senza alcun costrutto».

Il filo logico è la persona.

«Sì, la persona nella sua essenza di persona, che vuole parlare, divertirsi, che vuole entrare in contatto con gli altri, esprimere le proprie idee, confrontarsi, muoversi nel mondo, vivere il mondo che sta intorno a lei. La tecnologia è espressione della nostra volontà, non sostituzione della nostra volontà. Qui non stiamo trasformando le persone in robot, stiamo trasformando i chip in emozioni e le emozioni dobbiamo sapere noi da dove vengono».

Il professore guarda Chiara, presente all’intervista insieme a me e Martina, e conclude: «con Chiara per esempio, non serve il caschetto elettroncefalografico, lei ha lo svantaggio che le basta uno sguardo per farmi capire quando mi sta mandando a quel paese!».