Giovanna Foglia, i ponti per proteggere il mondo femminile

Giovanna Foglia, una donna, una femminista, un’attivista, una nomade, che lavora ogni giorno per proteggere e dare assistenza al mondo femminile. Il governo dovrebbe aprire i corridoi umanitari e tenerli aperti il più a lungo possibile. «Ognuno di noi deve dare quello che può».

Di Annagiulia Dallera

Giovanna Foglia, una donna, una femminista, un’attivista, una nomade. Sono tante le figure che le si potrebbero attribuire. I fatti parlano per lei. Ha salvato molte donne afghane mettendo a disposizione il suo Airbus. Ha creato associazioni che si impegnano ogni giorno per proteggere e dare assistenza alle donne. Ha addirittura deciso di rinunciare alla cittadinanza italiana per evitare che il Trust Nel nome della donna, che erediterà i suoi soldi, debba pagare le salatissime tasse di successione italiane. Noi però, oltre ai fatti, siamo interessati anche alle sue parole, sperando che possano essere di ispirazione per le femministe di domani.

Signora Foglia, che cosa l’ha spinta a scegliere di aiutare le attiviste afghane? È sola o c’è un’organizzazione dietro?

«Ho aperto nel 2004 il Trust nel Nome della donna, una fondazione che promuove la libertà femminile e cerca di aiutare le donne là dove sono costantemente umiliate. Il 15 agosto, con l’invasione dei talebani in Afghanistan, ho deciso che dovevo fare qualcosa. Le liste che avevano preparato le ambasciate erano solo di collaboratori, non specialmente di donne. Associandomi alla Nove Onlus ho messo a disposizione il mio Airbus per programmare due voli per portare via le attiviste afghane».

Qual è stata una delle difficoltà maggiori nella preparazione dell’operazione?

«È stato difficile far arrivare le donne dentro l’aeroporto. Per ovviare al problema, le afghane avevano legato al polso un fazzoletto rosso e in questo modo hanno avuto libero accesso».

Quante attiviste siete riusciti a salvare?

«Duecentosessantadue. Avrei voluto fare un terzo volo ma non è stato possibile».

Adesso cosa succederà a queste donne?

«Sono disponibile a prendere in carico alcune di loro anche per un anno. Quando le si tira fuori dalla copertura del governo, poi si diventa responsabili di mantenerle fino a che non trovano lavoro. Sono tutte persone che hanno studiato, il problema è che non parlano italiano. Ci vuole del tempo perché si adattino. Sto collaborando con un’organizzazione che si chiama Emmanuel per aiutarle e dar loro ospitalità».

Che cosa dovrebbero fare gli italiani?

«Il governo dovrebbe aprire i corridoi umanitari e tenerli più aperti possibili. Chi già ha collaborato o è interessato al contesto afghano dovrebbe chiedersi quante persone può aiutare. Bisogna creare un fondo per sostenere queste donne, organizzare delle collette serie per accumulare capitali, perché messo tutto sulle spalle dei privati, delle ONG non ce la si può fare».

Che giudizio dà del governo italiano nell’operazione fallimentare dell’Occidente in Afghanistan?

«Gli italiani sono stati proprio bravi. Il governo ne ha salvati 5000 di afghani, quindi lo sforzo l’ha fatto. Oltre ad appoggiarsi alle ONG, passa i soldi per il mantenimento dei rifugiati. Bisogna poi ricordare che si è trovato in difficoltà perché non c’erano tanti posti a disposizione e ha le mani legate per colpa di resistenze politiche e per la difficile situazione economica del Paese».

Quando ha scoperto le donne? Qual è stata la scintilla?

«Ho conosciuto il movimento femminista quando avevo poco meno di 20 anni, nel ’76. Non c’è un governo, una religione che rappresenti noi donne, prevale sempre l’orientamento maschile. Quindi, ho deciso di stare fuori dalla società perché ritengo che non ci appartenga e non appoggi noi donne. Tutta la vita ho cercato di aiutare, prima da sola e poi anche grazie alla fortuna che ho ereditato nel 2012 da mio padre».

Parliamo dell’Italia: in che senso secondo lei noi donne non siamo tutelate dal governo?

«Per una donna è un problema abortire ed è l’ultima risorsa a cui arriva perché è disperata. Una donna non sa dove andare a causa di un consistente numero di obiettori di coscienza. Poi basta guardare al welfare, agli ospedali, all’impiego delle risorse: dal 76/77 c’è stata addirittura una regressione. Bisognerebbe spingere il governo a impiegare i soldi del “Next Generation” per le donne. Dopo si lamentano se non si fanno più figli in Italia. Per poter fare figli devi avere un welfare che funzioni».

Si parla molto di femminicidi, di violenza contro le donne. Che cosa potrebbe ridurre questi omicidi?

«Si devono rendere obbligatorie per le ragazze le arti marziali nelle scuole, in modo da insegnare loro a difendersi. L’uomo non si aspetta che una donna sappia contrastarlo. Io, per esempio, ho fatto Judo tra i 14 e i 16 anni. Mi ha dato una forza incredibile perché sapevo di poter buttare al suolo anche un uomo di 120 kg. I costumi, per cambiare, ci mettono troppo tempo, mentre se rendiamo le nuove generazioni di donne in grado di difendersi, potremo ridurre il numero di femminicidi».

Credere in una nazione delle donne come lei ha detto, cosa vuol dire?

«Il mondo deve capire che non siamo divisi per colori di pelle ma per generi: gli uomini e le donne. Entrambi sono necessari e possono essere estremamente positivi. C’è semplicemente una differenza nel modo di affrontare la vita. Noi donne facciamo anche fatica a stare assieme perché non ci siamo abituate. Veniamo da secoli di storia dove eravamo invidiose e cercavamo di sorpassarci l’un l’altra. Eravamo condizionate dal fatto che l’uomo che sposavamo poteva garantirci una condizione di benessere o meno. È molto difficile tra di noi darsi autorità, riconoscere la capacità dell’altra».

Cosa vuol dire essere una femminista nel 2021?

«Vuol dire lottare per ottenere una posizione migliore nel mondo per le donne. Ci sono ancora molti problemi per cui vale la pena di lottare, tra cui l’equità dei salari e il fatto che la maternità non sempre segue la scelta della donna. Dopo gli anni 80 era diventato scandaloso dire che eri femminista. Hanno cercato di farlo diventare come una moda. Adesso molte più donne riconoscono il loro essere femministe».

Vedremo mai in Italia una premier o presidente della repubblica donna?

«Sarebbe meraviglioso. Nei Paesi in cui c’è una donna al governo, anche rispetto al Covid, c’è stata una migliore gestione della situazione. Nonostante questo, siamo sempre molto poche al potere. Se guardiamo all’Ottocento abbiamo fatto grandi passi in avanti. Non abbiamo più la patria potestà come prima, almeno in Italia, però, il cammino è ancora molto lungo».

Quindi noi donne potremmo fare meglio degli uomini al governo?

«Gli uomini ci hanno messo in uno spazio così ristretto, quando noi donne siamo più della metà del creato. Noi con il fatto che possiamo generare, abbiamo un’ottica di rispetto per le cose che è molto diversa da quella maschile. Non ci verrebbe mai in mente di fare delle guerre o di trucidare bambini. Non è nella nostra natura. Se il mondo si volgesse al femminile ci sarebbero molti meno conflitti e molta più accettazione della diversità».

La Germania ha appena votato per il dopo Merkel: qual è il suo giudizio politico e umano sulla Cancelliera tedesca?

«È stata molto brava. Ha risolto molti problemi. È un peccato che non abbia trovato un successore donna nel suo partito».

Quali sono i ponti che immagina per il futuro?

«Fare un partito delle donne per ottenere qualcosa di diverso e cambiare anche il mondo politico, che è molto corrotto. Se le donne avessero un partito non ci sarebbe questo tipo di corruzione. Poi, si possono fare piccoli ponti: cercare di entrare di più nella rappresentanza delle istituzioni, programmare l’educazione all’autodifesa nelle scuole. Ci sono tanti ponti che andrebbero costruiti».