Vedere i ragazzi migrati e capire che la vita è osare.

Di Pietro Lenzi

La frase: «quanto sei fortunato a vivere qui!» l’ho sentita spesso.
Sarà perché, per non si sa quale motivo, sono nato in un luogo dove si può condurre una vita senza grosse difficoltà fin dal principio.
Ho sempre cercato di capire il perché la ripetessimo tanto. Mi sono interrogato sul motivo per cui lo continuavo a pensare e sentire e su quali potessero essere effettivamente le mille declinazioni che l’espressione contiene, per non accettarla così com’è, per andare un po’ più a fondo.

Sono arrivato alla conclusione che sì, io che abito in Italia in un paese della Brianza, in condizioni da «privilegiato» rispetto a milioni di altri individui, posso realmente ritenermi fortunato. Milioni di persone vivono una vita di sforzi e sacrifici per resistere alla fame, per convivere con situazioni di guerra e per fronteggiare situazioni economiche precarie.
Per verificarlo non ci vuole molto, serve conoscere un po’ quello che accade nel mondo, analizzare le statistiche, i dati e informarsi leggendo o guardando il telegiornale.
Occorre un po’ di curiosità, in poche parole.
Osservare la realtà è forse il modo più diretto che abbiamo per confermare le nostre convinzioni.
Ne abbiamo prova con i nostri occhi e soprattutto le immagini ci toccano maggiormente a livello emotivo.

Viaggiare diventa perciò fondamentale per farsi un’idea delle condizioni della gente, per capire quanto alcune situazioni siano problematiche. Tanto da costringere a scappare, a lasciare la propria terra, la casa e soprattutto la propria famiglia.
Avendo avuto la possibilità di viaggiare tanto fin da piccolo, ne ho di esempi, ma quello che accade nella mia ultima meta credo che sia il più lampante in assoluto a cui ho assistito.
Sono appena tornato da Lampedusa, un’isola che si può dire poliedrica.

Si presta a un turismo massiccio d’estate, con gente di tutta Italia attratta dal mare splendido, e allo stesso tempo si può definire a tutti gli effetti una via di passaggio dei migranti per entrare in Europa (non a caso l’isola ospita il monumento dedicato proprio agli sbarchi, La porta d’Europa).
La maggior parte di queste persone proviene dalla Tunisia, dalla Libia e dal centro Africa e più recentemente si sono aggiunti i bengalesi. Molti infatti, hanno sostituito alla rotta balcanica la tratta nord africana per arrivare nel vecchio continente.
Appostandomi in alcuni punti strategici che danno sul porto ho assistito ai numerosi sbarchi che si verificano quotidianamente sull’isola. Mi hanno colpito i gruppi di ragazzi che come me arrivano dopo lunghi viaggi, spesso con storie pazzesche alle quali si potrebbero ispirare dei film dal finale però, ignoto. Infatti i ragazzi spesso giungono sulle nostre coste senza la minima idea del loro futuro. Con la speranza in tasca però, di essere fuggiti da situazioni critiche e di essere arrivati in una sorta di «terra promessa», in cerca di fortuna.

Mi viene in mente l’immagine emblematica di un ragazzo tunisino che, appena arrivato, ha baciato immediatamente la terra sotto ai suoi piedi.
Un momento forte che basta da solo a spiegare quanto realmente siamo nati sulla sponda giusta.
Il fenomeno dell’immigrazione, presente nella storia dell’umanità fin dal principio e tanto raccontato dai media e dai libri di storia, era lì davanti a me.

Qui in Italia, nella nostra nazione. Qualche parallelo più giù di casa mia.
Vedere con i miei occhi persone pronte a pagare cifre assurde ai trafficanti per un passaggio precario verso terre migliori, fa un certo effetto.
Soprattutto se lo scenario è un’isola stupenda e ricca di meraviglie come Lampedusa.
Anche le più grandi bellezze, infatti, nascondono delle verità che a volte si tendono a ignorare.