La concretezza non mi è mai appartenuta. Fin da piccolo la realtà non era altro che una trappola da cui scappare. Non accettavo quello che mi era successo, la vita era stata troppo crudele con me e quindi mi rifugiavo nei sogni: lì sì che potevo annullare la malattia ed essere normale.
Vedevo gli altri ragazzini con invidia, loro avevano quello che il tumore mi aveva portato via.
Dovevo assolutamente riconquistare la normalità perduta e pensavo che interpretando il personaggio dei miei sogni ce l’avrei fatta. Ma mi sbagliavo, vivevo fingendo di essere qualcun altro, completamente succube dell’opinione degli altri ragazzi: in ogni situazione c’era un Tommi diverso, in base alle persone con cui stavo cambiavo la mia storia, le mie capacità e le mie passioni. Se non sapevo chi ero, come potevo scegliere?
Mentivo piuttosto che affrontare il giudizio
Mentre cercavo di adeguarmi agli altri, come i compagni delle medie, cresceva in me la consapevolezza di una personalità dotata di convinzioni e ideali totalmente opposti a quelli dei miei coetanei. Fingendo di pensare come loro scoprivo quello che pensavo veramente. Mi mancava ancora il coraggio di esprimerlo. Ero insicuro e preferivo mentire piuttosto che affrontare il giudizio degli altri.
Tra la fine delle medie e l’inizio del liceo ho cominciato a leggere saggi e romanzi, a informarmi, a occuparmi di politica. E soprattutto ho cominciato a esprimere le mie opinioni con irruenza, senza ascoltare le obiezioni degli altri. L’idealismo è diventata una forma di fanatismo. Mi rendevo conto di avere bisogno di un bagno di realtà, ma per raggiungerla dovevo confrontarmi con me stesso, tirando giù la maschera.
Mi sono riappropriato della realtà
Due anni fa, appena arrivato a Milano, mio zio Arnoldo mi ha portato alla redazione del Bullone. Ho subito respirato un clima di libertà e rispetto delle differenze, in cui la mia storia è diventata una delle tante storie di sofferenza. Così è stato più facile affrontare il mio passato e trovare quella concretezza che mi è sempre mancata. Adesso davanti agli altri ragazzi racconto la mia vera storia. Finalmente mi sono riappropriato della realtà. Questo non significa che mi sono disfatto dei sogni e degli ideali, anzi si sono riallineati alla realtà diventando veri progetti. Scoprendo me stesso ho scoperto il mio progetto, fare della ferita una forza.