Di Chiara Baù
Ciao bella gente, qui è Chiara che vi scrive. Se dovessi dare un titolo a questo mio scritto, sarebbe DioDonaDidi. Dio è colui che mi dà la forza, Dona è il diminutivo del nome della mia mamma che si chiama Donatella e Didi è la mia cagnolina, il regalo più grande di Dio per me. Queste sono le tre D che, insieme al mio papà, danno luce al mio cuore. Non c’è nulla che possa racchiudere il mio vissuto, meglio delle parole del «canto dell’Amore», che è un bellissimo brano cristiano e dice così: «Se dovrai attraversare il deserto non temere Io sarò con te. Seguirai la Mia luce nella notte, sentirai la Mia forza nel cammino, Io sono il tuo Dio, il Signore».
Nello scorrere della mia quotidianità devo sempre affrontare il deserto della solitudine, che durante gli anni ha assunto forme diverse, ma che è sempre presente nella mia vita. Seguendo la luce della mia fede in Gesù, sono riuscita a trovare l’energia per poter vivere una quotidianità all’insegna della speranza. Sono sempre stata contenta di essere cristiana, è importantissimo ritrovarsi in un Dio che, come un regista, ci guida nel nostro cammino.
Vivere tutto attraverso la fede
Ho dovuto attraversare situazioni che umanamente non si riescono a capire: non avere mai amici sufficienti o adeguati per non sentirmi sola, cinque anni di bullismo alle superiori, una minima socializzazione all’università e rapporti difficili da gestire con persone dal carattere complicato. Arrivata con orgoglio a 36 anni, non mi servono altre prove per capire che la forza e l’energia che ho per andare avanti mi viene donata soprattutto da Gesù e non è soltanto mia.

Attraverso la fede, ciò che non si capisce, che fa arrabbiare, che rende tristi e fa soffrire può essere letto come un vissuto che contribuisce alla crescita personale per insegnarci qualcosa di utile per il nostro futuro, anche se ancora non lo sappiamo. Vivo da sempre su una sedia a rotelle. Non camminare mi ha indiscutibilmente creato dei problemi, soprattutto nella la vita sociale, però non me la sento di dare tutta la colpa per le mie sfortune in campo relazionale al mio handicap. Semplicemente ho scarse relazioni extrafamiliari, oltre che per la carrozzina, anche perché non ho ancora incontrato abbastanza persone con cui mi sento in piena sintonia.
Non è vero che o sei una disabile famosa, o sei una disabile sfigata. Sono proprio i disabili comuni come me che maggiormente si guadagnano ogni loro giornata, senza ricevere applausi, quindi non mi sento per niente una sfigata. Far parte del mondo delle quattro ruote è anche bello, perché ti fa scoprire una nuova prospettiva per vivere gli avvenimenti più profondamente, insegnandoti a non dare le cose per scontato. È un mondo dalle mille sfumature, dove ognuno con la propria esperienza può dare un aiuto prezioso all’altro. Non mi sento diversa per la mia disabilità motoria, sono diversa perché come tutti ho un carattere originale e non sono la fotocopia di nessuno.
Tutta una questione di prospettiva
Dalla brutta esperienza al liceo ho imparato che, come insegna il film Inside Out, la tristezza e la gioia vanno a braccetto e si aiutano a vicenda ed anche che, come canta Annalisa nella sua canzone Tsunami «non ci voglio stare sulla sabbia, voglio essere un’onda e diventare schiuma» per lasciare un morbido segno positivo su qualcosa o su qualcuno. Da quegli anni duri ho scoperto in me una tenacia che non sapevo di avere. Sono riuscita a diplomarmi in scienze sociali a pieni voti, nonostante fossi sempre circondata da un’incredibile burrasca. Ho dedicato la mia tesi di maturità alla figura del disabile in ambito sociale, culturale e storico, denunciando pregiudizi e stereotipi.
C’è chi mi ha detto che con tutto quello che ho passato sono troppo buona e che dovrei farmi rispettare di più. Dipende tutto dalla prospettiva, dobbiamo scegliere come vogliamo essere ed io ho scelto di non essere una persona perennemente incavolata. Se sei rabbioso trasmetti intorno a te messaggi di rabbia, mentre se nonostante tutto provi a mantenere il sorriso, contribuisci a diffondere allegria e speranza.

A scegliere di non darla vinta al muso lungo mi hanno aiutato il Bullone e i miei ragazzi di catechismo, che da ormai quindici anni mi insegnano a sorridere del poco. La mia maggiore fonte di gioiosa allegria è Didi che colora ogni giorno da undici fantastici anni. Il nostro rapporto è 100% special, mi basta guardarla per mettermi a ridere, perché non c’è nessuno che riesce a rendere speciali le cose semplici come fa lei. Un grande grazie poi lo devo ai miei genitori che, sapendo tutte le difficoltà che ho dovuto superare, mi hanno sempre lasciata libera di fare le mie scelte.
In genere mi diverto con tutto quello che può donare benessere quotidiano: dai colori delle lenzuola e delle federe alla colazione, da un caffè col cioccolatino al cinguettio dei passerotti, dal sole sulla pelle a una canzone, dalla poesia che c’è in un bel fiore a un romanzo, da un film a una passeggiata relax in mezzo al verde, dal fresco profumo di aria pulita a una bella collana multicolor. Un grazie di cuore va senza dubbio alla «Bullone company» che al momento giusto mi ha aiutato dandomi compagnia, soddisfazione e divertimento, nonostante il covid.
Nel corso della mia vita ho sempre cercato di trasmettere la bontà delle cose semplici: la speranza, l’allegria e l’unità, dovunque mi trovassi. Ad oggi non mi è ancora sembrato di vedere i frutti del mio impegno, forse li vedrò in seguito, o forse saranno altri a raccoglierli. Quello che è importante è continuare a seminare piccoli gesti con grande amore, come dice Madre Teresa. I fiori nel mio deserto non sono ancora cresciuti, ma sono sicura che un giorno ci saranno, perché prima o poi crescono per tutti e avranno dei colori bellissimi, per me unici. Concludo ancora con le splendide parole del canto dell’Amore, che a questo punto ci stanno a pennello: «Non pensare alle cose di ieri, cose nuove fioriscono già. Aprirò nel deserto sentieri, darò acqua nell’aridità. Tu sei prezioso ai Miei occhi, vali più del più grande dei tesori. Io sarò con te ovunque andrai».