Due ragazze stanno fotografando la mostra, un papà s’inginocchia accanto al figlio indicando una delle Veneri esposte, una coppia si trova davanti ad un abbraccio. Noi li osserviamo, siamo increduli e felici di tutte queste persone. Tutte diverse, tutte lì che dedicano un momento del loro tempo a visitare Cicatrici.

Il prima: un disegno, un’ idea, una fragile emozione
Un brivido mi percorre la schiena se penso a tutto il percorso che è stato fatto prima di arrivare in Triennale.
Ognuno di noi si è trovato davanti a un foglio, non bianco, quello no; bensì con il disegno della Venere o del David sopra, solo con se stesso. E in quel momento ci siamo sentiti infinitamente fragili. Doversi scoprire, dover scavare dentro di noi per svelare le nostre cicatrici e disegnarle, ha richiesto tanto, a livello emotivo.
Poi i disegni diventano idee, le idee progetti, e i progetti vengono ascoltati tutti da un’unica persona. Con tanta pazienza e dolcezza, ha aperto le porte della stampa 3D a ognuno di noi e alla nostra fantasia: Giuditta.

Il dopo: la bellezza acquista una terza dimensione
Lei si è fatta carico di ogni nostro pensiero e lo ha trasformato in tre dimensioni, che ne nascondono una quarta, piena di tutto ciò che siamo noi. Così, da un disegno, si è passati alle prime stampe. Ore e ore di lavoro fatte dai ragazzi del +Lab e dalla prof Levi. Perché in qualunque momento ci è capitato di andare lì, un’opera era in stampa, una sullo schermo, pronta per l’ultima revisione, e un altro bozzetto compariva sulle loro scrivanie.
Un lavoro di tante menti e tanti cuori che si sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. E hanno creato tutto quello che in questi giorni in molti hanno potuto vedere.
Ognuno si è messo allo specchio con le proprie fragilità, scoprendo le sue cicatrici e rendendole visibili in colori, figure, oggetti, mancanze e altro ancora; ricordandosi proprio di tutte quelle cose che avrebbe voluto, in cuore suo, dimenticare. Cercando e trovando una bellezza che rischia sempre di passare in secondo piano, in un mondo dove lo sfarzo è sinonimo di bello.
L’anima si svela, viene alla luce la meraviglia
Il momento in cui ci siamo accorti di aver creato qualcosa che andava oltre le aspettative di tutti, non è stato il giorno della presentazione in Triennale, ma qualche mese prima. Era una serata di marzo, precisamente il 21, in cui ognuno di noi si è posizionato dietro al suo bozzetto e con la sua opera coperta da un velo.
In un cerchio di tavoli ci siamo trovati uno di fronte all’ altro e abbiamo iniziato a svelare i nostri progetti. Facce stupite, volti tesi che si lasciavano andare a un sorriso: questo è stato lo svelamento.
Personalmente vedere quegli occhi lucidi che scoprivano il proprio David o la propria Venere, è stato un momento ad alto tasso emotivo, in cui ogni persona ha tirato fuori la meraviglia che porta nell’ anima, senza fare paragoni, senza sentirsi giudicato, anzi, realizzando davvero di essere parte di qualcosa di veramente prezioso.
Semplicemente bello
Quegli stessi volti li ho visti il giorno dell’apertura della mostra, entusiasti, agitati e belli. Semplicemente belli.
È stato un percorso bellissimo partire da quel foglio di carta e vederlo esposto alla Triennale di Milano, vedere come la nostra unicità e le nostre fragilità siano diventate il baluardo che ci ha permesso di arrivare così lontano, di andare così forte.
Perché togliendo il velo della paura di mostrarsi, siamo riusciti a creare davvero una mostra che ci lega tutti, che ci permette di riconoscerci simili nella nostra umanità. E così quelle ragazze che fanno le foto, quel bambino con il suo papà, quella coppia sono tutte opere d’arte da custodire e curare, le cui cicatrici visibili e invisibili li rendono parte della mostra, insieme a quelle 41 opere esposte.
