Federico rompe gli schemi dell’identità di genere.

Illustrazione di Davide Lazzarini
Illustrazione di Davide Lazzarini

Federico rompe gli schemi dell’identità di genere scegliendo di essere sé stesso e la sua identità. Oggi è chi ha sempre voluto essere

Di Federico Z.

Quando nasciamo non ci troviamo di fronte a un bivio che ci permette di scegliere dove andare, al contrario, siamo gettati in una strada senza che ce ne rendiamo conto. Per quella strada procediamo, spesso senza farci troppe domande, ma quasi spinti dall’inerzia: la via è quella e si va avanti, perché mai si dovrebbe tornare indietro, perché dovrebbe essere la strada sbagliata?

A volte, non ci sorge nemmeno il minimo dubbio. A meno che, qualcosa dentro di noi si faccia sentire con decisione, imponendoci il dubbio come un obbligo imprescindibile e inevitabile.
Quando nasciamo, ad esempio, nessuno ci chiede cosa siamo, cosa sentiamo, forse perché non sapremmo rispondere nemmeno noi, ma sulla base di ciò che gli altri vedono e suppongono, viene scelta la nostra strada e veniamo messi in cammino. Questo non è certo sbagliato, il problema è che però quella strada viene fatta passare per ovvia, certa e scontata, per assoluta.

Non ci sono altre possibilità: quella è la tua strada e basta. E se in quella via noi non ci ritrovassimo per niente? Se quella via non la sentissimo affatto nostra?
Ecco, questo è quello che è successo a me, ragazzo transgender. Mi sono ritrovato nel solco di un genere assegnatomi alla nascita, prima di qualsiasi mia consapevolezza su chi fossi. Ma se tutti intorno a te ti dicono che sei una bambina, e poi una ragazza, per il semplice fatto che il tuo corpo è fatto come quello di tutte le altre bambine e ragazze, tu finisci per crederci. E di quello che tu sentivi? Il tuo naturale istinto a identificarti invece come un bambino, a vederti molto più simile ai tuoi coetanei maschi anziché alle femmine, che fine fa? Probabilmente, rimane in un angolino di te, schiacciato e malconcio, non gli dai credito, perché addirittura ti mette a disagio, addirittura ti fa sentire sbagliato e «anomalo». E allora sei tu il primo a screditarti e a rinchiuderti in un oscuro antro di te stesso, sperando di dimenticartene, di esserti liberato, insomma, proprio di ciò che sei autenticamente!

Non ti poni nemmeno il problema, non ti chiedi se quella sia la tua strada: non ne vedi altre. Non credi certo che se tutti ti dicono che sei una ragazza, tu possa invece essere qualcos’altro. Stando dentro allo schema, non si hanno gli strumenti per capire che quello che provi è un’estraneità a quella via, nonostante tu senta dentro di te premere con forza una verità spontanea, che in qualche modo ti guida, ti spinge altrove, cerca una strada alternativa, in lotta con lo schema che ti tiene fermo e ancorato a quell’unica possibilità. Eppure, quella forza ti muove in un’altra direzione, anche tuo malgrado, anche in ogni tentativo di adattarti a quello stesso schema.
Rompere gli schemi diventa allora rendersi conto che non c’è una strada «giusta» da seguire a tutti i costi, che è inutile affannarsi per trovarne una in cui sentirsi appunto «giusti» o «normali», la sola cosa che conta è seguire la propria, di strada, lasciarsi guidare da quella forza, da ciò che ci spinge spontaneamente: la propria strada è l’unica da seguire, perché è l’unica che può farci vivere davvero in maniera autentica, l’unica in cui possiamo esprimerci pienamente, senza veli e senza limiti. Rompere gli schemi è anche non dare per scontati se stessi e la propria identità – e questo non vale solo per l’identità di genere.

Per me, quello schema era il genere femminile assegnatomi alla nascita sulla base del mio corpo, e rompere quello schema è stato «semplicemente» comprendere e accettare che non mi rispecchiava, che con me non funzionava e diveniva, al contrario, un limite, un irrigidimento nel quale mi sentivo imprigionato e costretto. Per il fatto, banalissimo, che quella non era la mia strada, che la forza istintiva dentro di me viaggiava già altrove, per altre vie, su un altro binario, potremmo dire. Accettare di essere un ragazzo e assecondare l’impeto che mi portava su un’altra strada, la mia, è stato la mia rottura dello schema, ciò che mi ha permesso di trasformare le sbarre della mia cella in steli di fiori attraverso i quali sbocciare. La rottura, l’urto, la crisi, sono allora quelli di un seme che vince le resistenze e si spacca per germogliare.
Si vede, così, quanta sorprendente naturalezza ci sia in questo?!