Eugenio Borgna tra Speranza e Disperazione

Di Eleonora Prinelli

Nel suo ultimo libro Speranza e Disperazione, il professor Eugenio Borgna approfondisce una tematica che tratta da molto tempo. Abbiamo cercato di capire assieme a lui che cos’è davvero la speranza e come possiamo coltivarla.

Professor Borgna, che cos’è la speranza? 

«La speranza è stata definita da Sant’Agostino la “memoria del futuro”. Noi viviamo di speranza nella misura in cui sappiamo riconoscere il nostro passato, la nostra infanzia e adolescenza. Speriamo, quindi, anche in relazione alle esperienze che abbiamo vissuto. Soren Kierkegaard, il grande filosofo danese, ha scritto invece che la speranza è la “passione del possibile”: anche quando le ombre della vita scendono su di noi e siamo immersi nell’oscurità, la speranza continua a essere un faro di luce che non ci lascia sommergere dal buio, perché sa cogliere le luci del futuro. Anche se il tempo che stiamo vivendo è segnato dal dolore e dall’angoscia, la speranza mantiene viva una strada che ci sottrae alla disperazione. Secondo Leopardi, infine, la speranza nasce dalla disperazione stessa: non dobbiamo lasciarci soffocare da quest’ultima, poiché ha dentro di sé una fiammella di speranza che non muore mai. Non si può vivere senza speranza. Se questa muore, muore anche ogni possibilità di realizzare qualcosa nella nostra vita. La speranza è intesa dalle neuroscienze come una medicina: agisce su di noi così come fanno gli psicofarmaci. Mai rifiutare la speranza, dunque, ma essere consapevoli del fatto che, se l’ascoltiamo, vive dentro di noi e ci può salvare dall’angoscia, dalla disperazione, e anche dalla morte».

Ci salva anche dalla solitudine nella quale ci costringe la pandemia?

«Certo, la speranza non è ferita neanche dalla solitudine nella quale siamo immersi per via della pandemia. Questa solitudine si può manifestare in due modi diversi: come perdita della speranza; oppure come compagna di strada, che ci fa riflettere e ci porta a considerare il significato della vita, della preghiera (per chi crede), della comunità e della comunione con gli altri. La speranza è dunque una ricchezza e ci salva persino dalla morte, che qualche volta la solitudine, quando diventa isolamento, porta con sé. Ma la solitudine, di per sé, non è l’isolamento. Si può non essere soli persino nella condizione di isolamento totale, se sappiamo mantenere viva in noi la speranza. Se non c’è speranza, allora la solitudine diventa isolamento e causa di disperazione».

Eugenio Borgna: psichiatra, classe 1930. Già docente di Clinica delle malattie nervose e mentali all’Università di Milano e direttore dell’ospedale psichiatrico di Novara, di cui attualmente è primario emerito. Nel 2018 è stato insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Ha all’attivo una vastissima produzione scritta. Nel 2020 ha pubblicato Speranza e Disperazione e Il fiume della vita. Una storia interiore.

Per molti «speranza» è solo una parola. Che cosa possiamo rispondere a chi la pensa così? 

«Che le cose cambiano, così come la misura in cui siamo capaci di sperare, di cogliere il significato della sofferenza e del dolore dentro di noi. Saper accogliere il dolore degli altri come se fosse in parte anche il nostro dolore. È questo ciò che uno psichiatra cerca di fare quando dà una mano a chi sta precipitando nella disperazione. Saper cogliere il significato del dolore come di qualcosa che fa parte della vita e creare una comunione. Se c’è la capacità di fare questo, se si sa raccogliere il grido di dolore senza rifiutarlo, allora ne cogliamo il significato (che è speranza, fiducia e fede). La speranza è una cosa complicata. Se vogliamo capirla fino in fondo, non dobbiamo identificarla con l’ottimismo, che non vede le difficoltà della vita. Cerca di nascondere le sofferenze nostre e degli altri, ma queste sono molto più ostinate e ribelli. Se confondiamo la speranza con l’ottimismo, rischiamo che venga sconfitta e che le cose che desideriamo non sempre si realizzino. 

Allo stesso modo, non va confusa neanche con il desiderio. La speranza è qualcosa di più profondo: è rendersi conto che possiamo sperare pensando a chi nella povertà e nella malattia è senza speranza. Infine, la speranza è un dovere. Siamo tenuti a vivere nella speranza, soprattutto quando incontriamo coloro che la pandemia ha condotto alla disperazione. La pandemia non ha fatto crescere la follia, ma la sofferenza».

Un detenuto del carcere di Opera ci ha detto che stare accanto al vicino di cella, lo ha aiutato a ridurre la solitudine e ad avere più speranza…

«Queste parole sono bellissime e sono la sintesi di tutto quello di cui abbiamo parlato finora. Senza saperlo, questa persona ha detto cose di una grande profondità e umanità. Quello che intendeva dire Sant’Agostino era, in fondo, questa bellissima idea che avete ascoltato a Opera». 


Cosa fare quando non c’è più speranza? Nel caso di malattie terminali, ad esempio?

«Se stiamo perdendo la speranza umana, nei casi estremi, c’è la speranza di San Paolo: “la speranza contro ogni speranza”. Quella che nasce da una fede in qualcosa che dà un senso alla sofferenza. Se si ha fede si resiste e si può essere portatori di una speranza che non muore, ma che continua a illuminare anche il cammino oscuro che viviamo tutti».

A volte si preferisce non avere speranze, piuttosto che vederle disattese. Cosa ne pensa? 

«Le false speranze sono una delle cose più terribili che ci possono accadere nella vita. Dire speranze false è orribile, quasi quanto la pandemia che ci assale. Tuttavia, non sempre dobbiamo dire la verità a una persona che sta male, che sta morendo. Non sempre possiamo dire la verità dinanzi a chi è disperato, perché può ancora esserci un’esile scintilla di speranza che vive in lei o in lui. Non dire la verità è una cosa molto diversa da dire una falsità. I medici dovrebbero imparare a non dire delle verità inutili, che fanno stare male e che accrescono il dolore e la sofferenza». 

In questo numero raccontiamo la speranza anche attraverso l’arte. In quale grande opera del passato vede la speranza?

«Io vedo speranza nelle opere del grande pittore morto suicida Van Gogh. Nei suoi quadri, nonostante siano l’espressione di una disperata concezione della vita, l’esile fiammella della speranza mi è sempre sembrata presente».