Il riassunto dei primi dieci capitoli
Lapo e Riccardo sono due amici. Riccardo vuole scrivere un libro ma si blocca davanti al foglio bianco. Lapo lo prende in giro mentre camminano per Milano. Riccardo racconta di un incontro al semaforo tra via Santa Sofia e corso Italia con una bella ragazza dagli occhi verdi e i capelli neri. Lapo corre in soccorso dell’amico e con un’app di tracciamento riesce ad individuare la misteriosa ragazza con un borsone nero. Un borsone che usano le ragazze che vanno all’Accademia della Scala. «Trovata, si va» dice Lapo all’amico. La ragazza si chiama Matilde. Matilde viene inseguita dai due ragazzi e corteggiata fino alla stazione. Riccardo, Lapo, Matilde parlano di tutto, anche di Puccini e Pavarotti. Ma a un certo punto Matilde sembra di scorgere tra la folla sua madre. Di colpo la madre non si vede più. Allora Lapo e Riccardo si trasformano in detective per cercare quella donna che rende la vita impossibile a Matilde.
Di Mario Raggio
Quella sera cenarono in silenzio.
Matilde si era addormentata vestita sul suo letto stringendo il cuscino tra le braccia e non aveva intenzione di alzarsi.
Lapo e Riccardo mangiarono una pizza e si misero d’accordo per proseguire le investigazione il
giorno seguente.
Eccoli qui, adesso, davanti alla porta dell’ateneo. Purtroppo non sono riusciti a svegliare Matilde ma hanno deciso di continuare comunque la loro ricerca da detective.
È Riccardo il primo ad entrare. Consapevole di star per toccare con mano la vita Matilde – fino a pochi giorni prima sconosciuta – si dirige a testa alta e a petto all’infuori alla segreteria studenti chiedendo informazioni sulle lezioni di psicologia del prof. Cantagallo. Era questo il piano: Riccardo avrebbe dovuto chiedere informazioni sulle lezioni di psicologia, che sapeva svolgersi nell’ala est dell’edificio e Lapo, entrato qualche minuto dopo, avrebbe dovuto chiedere se fosse stato possibile assistere alle lezioni di letteratura italiana della prof.ssa Turini, chiaramente svolte nell’ala ovest.
Lapo aveva ricevuto l’identikit della mamma di Matilde da Riccardo ma, nonostante ciò, avrebbe comunque registrato tutto con una telecamera nascosta che aveva astutamente montato sui suoi occhiali.
Ricevute le informazioni dalla segreteria, Riccardo si avviò verso l’ala est in cerca di quel volto alla cui vista Matilde era rimasta traumatizzata e che ora voleva trovare, o meglio, voleva che fosse trovato.
Nel frattempo Lapo, come da copione, si era diretto in perlustrazione verso l’ala ovest con la telecamera accesa e una strana ansia che gli stringeva il petto: perché stava facendo tutto questo? Per compassione verso Matilde? Per essere solidale con Riccardo? O solo per divertirsi un po’?
Si sentiva paradossalmente solo. Nonostante avesse due coinquilini, tra cui il suo migliore amico da sempre, si sentiva solo. Forse aveva paura che l’interesse per Matilde avrebbe allontanato Riccardo da lui…
Vibra il telefono di Lapo distogliendolo da questi pensieri, è Riccardo: l’ha vista! È una professoressa, sta facendo lezione nell’aula 22. Lapo, con lo sguardo impietrito e il cuore scosso, raggiunge l’aula ed entra, cercando con gli occhi l’amico. Lo vede, è in ultima fila, da solo.
Non appena seduto, Lapo viene rapito dalla figura della professoressa: Alta, capelli neri a caschetto, con una camicia oversize color malva abbottonata fino al collo che dona ai suoi occhi verdi una lucentezza quasi aurea, pantaloni in velluto nero e sneakers alte. Gli occhi della mamma di Matilde riempiono la stanza; inespressivi e pungenti accompagnano le parole della professoressa attraversando, uno ad uno, tutti i presenti. Le cicatrici, quello sguardo, non le nasconde, le trasmette. Guardando Teresa si vede anche Matilde, si vedono le lacrime, le insicurezze, le rabbie. Questo Teresa non lo sa, o non lo vuole sapere, è convinta di essere impenetrabile, è convinta che non si possa vedere niente di lei guardandola da fuori, è convinta di essere e di apparire Nessuno. Lapo la vede e vede se stesso, vede una donna in ricerca di sé, con un mondo dentro da esplorare e condividere, sente un’affinità con la mamma di Matilde come non l’ha mai sentita con nessuno che non sia Riccardo. Deve conoscerla, deve parlare con lei. Finita la lezione, la professoressa esce, i due si alzano e la rincorrono. Lapo ha cambiato sguardo, ora sogna, il colore di quegli occhi di pietra è adesso ambrato e lucente, Riccardo è eccitato, non smette di parlare, si è reso conto che i due non avevano pensato a come avvicinarsi alla mamma di Matilde se, una volta trovata, non lo avesse riconosciuto. Eccola ora in fila alla macchinetta del caffè che parla al telefono.

«Sto lavorando, non voglio parlare adesso, ti ho già detto che non c’è niente da fare, non sono fatta per le relazioni stabili. Dai, per favore, almeno questi venti minuti di pausa fammeli vivere senza litigare. Ciao ciao». Tutti i presenti si sono girati ad ascoltarla, ma Teresa non sembra disturbata, anzi ha un’espressione soddisfatta, un po’ sadica, quasi come se fosse felice di aver messo dell’umanità, dell’imperfezione nella robotica, frenetica e perfetta realtà universitaria milanese.
Riccardo sente che è il momento di avvicinarsi ma lei è già partita, caffè alla mano, verso l’uscita.
I due la seguono e, usciti fuori la vedono fumare una sigaretta da sola nel peristilio. I suoi occhi sono cambiati, il fumo della sigaretta accarezza ruvidamente le sue guance opache, l’intrigante professoressa sembra essersi spenta. Ora fissa il vuoto con un mezzo sorriso, gli occhi sono appassiti, il verde lucente ha lasciato il posto al grigio, Teresa sta piangendo. Non platealmente, non fragorosamente. Non singhiozza, affoga le lacrime tra gli ultimi tiri della sigaretta e torna dentro, di fretta. Riccardo non ha avuto il coraggio di avvicinarsi a lei, è rimasto colpito a tal punto da quel pianto che, adesso che lei sta tornando dentro, non la sta neanche seguendo. Lapo avverte ancora di più il bisogno di parlarle, scuote Riccardo e partono di nuovo.
Si muovono verso l’aula 22, gli studenti stanno rientrando, a breve entrerà anche la professoressa.
Teresa è in bagno, non le era mai capitato di scoppiare in lacrime davanti a tutti, si sta sciacquando il volto e, facendolo, si è rimboccata le maniche della camicia che coprivano quei tatuaggi che, come cicatrici, si porta addosso. Li guarda, si ricorda di Nessuno, si ricorda Matilde, si ricorda di piazza Gae Aulenti. Affonda nei ricordi che, anche se dolorosi, sono l’unica cosa che la tiene in vita. Il desiderio di essere conosciuta e riconosciuta da Matilde, la paura di non esserlo, questo è l’unico brivido delle sue giornate. Si sistema i capelli in fretta ed esce dall’edificio. Il pensiero di tornare in aula a fare lezione la stritolava, sentiva di non avere la carica necessaria per mostrarsi dura e impenetrabile e, certamente, non aveva intenzione di mostrarsi debole e ferita. Non è andata molto lontano, è entrata nel bar di fronte all’università. Davanti alla sua birra guarda la finestra del corridoio di fronte alla sua aula con disprezzo, quello che non sa è che dalla stessa finestra, per caso o per destino, Lapo la sta guardando.
Rapidi scendono le scale ed entrano nel bar, Teresa ha ripreso l’aspetto che aveva la prima volta che Riccardo l’ha incontrata: quello sguardo infastidito che accompagna la postura rilassata con la schiena appoggiata al bancone e le braccia stese sopra. Sta parlando con un uomo, piccolo e calvo, dell’incidente di qualche giorno prima vicino ai navigli; col dente avvelenato, dice che le dispiace che nessuno dei “fighetti della movida” si sia fatto male. È così presa dal discorso che non nota l’entrata dei due, i quali ordinano due birre e si siedono al bancone. “I wish I found some better sounds no one’s ever heard, I wish I had a better voice that sang some better words…”. È la suoneria di Riccardo, Matilde lo sta chiamando. Risponde con un fragoroso “Matilde!” al cui suono Teresa si gira di scatto. Lapo si è reso conto che la professoressa sta guardando l’amico e cerca di farlo capire anche a lui, senza dare troppo nell’occhio, dandogli dei calcetti, ma niente, è troppo preso. Teresa sta guardando Riccardo, ha il cuore a mille, sente la voce di Matilde uscire dal telefono. Vorrebbe urlare a quella voce “Vieni qui, la mamma è qui” ma, anche questa volta, non ci riesce. Il batticuore aumenta, non vuole essere riconosciuta da quel ragazzo e fare la figura della pazza o, chissà, anche della stalker. Ordina una bottiglia di birra, paga il tutto, esce in strada.
Si sente nuda adesso, sa che in questo momento non sta indossando la sua corazza; guardandola da fuori si vede una donna sola, insicura, triste e ferita. La sua camicia è sbottonata, le sue labbra strette, i pantaloni macchiati di birra, gli occhi sbarrati e lucidi. Arrivata alla macchina si asciuga la fronte, accende una sigaretta e mette in moto.
«Riccardo, davvero, non è così importante che la troviate, tutto sommato ciò che mi manca è un ricordo, non una persona» gli diceva Matilde mentre Riccardo vedeva la professoressa pagare al bancone con fare ansioso. Ha provato a dirgli che ormai l’aveva vicina ma non ha fatto in tempo a finire la frase che davanti non aveva più altro che il barista, Lapo e l’uomo calvo. «Dai, per sdebitarmi cucino io, va bene amatriciana?» Ma Riccardo non la ascoltava più, stava seguendo con lo sguardo Teresa, si chiedeva perché se ne stesse andando così di fretta. «Siete stati dei grandi a fare questo per me, ma è quasi l’una, è ora che torniate. Ci vediamo tra poco». Riccardo finisce la birra mentre guarda la macchina della professoressa allontanarsi. Lapo ha di nuovo lo sguardo di pietra, non capisce perché ma quando Riccardo parla con Matilde si sente teso e agitato, forse sente il bisogno d’innamorarsi anche lui, forse lo è già…
Non molto soddisfatti della loro mattinata alla Scotland Yard, si incamminano verso casa.
Nella strada del ritorno un’idea appare nella mente di Riccardo: potrebbe scrivere un libro su Matilde, questa intrigante figura della madre, questi insoliti eventi che hanno fatto sì che lui la conoscesse; tutto molto romanzesco. Poi scuote la testa con un sorriso ebete e, mani in tasca, inizia a fischiettare come un personaggio di qualche fumetto. Lapo scoppia a ridere non appena vede la scena e gli ritornano in mente i tempi del liceo, quando di punto in bianco uno dei due iniziava a camminare o a parlare in modo buffo e l’altro si aggregava. I due amici percorsero le ultime centinaia di metri di strada con le mani in tasca, il passo molleggiato e fischiettando due motivetti diversi.
Poco prima di arrivare al portone i due vedono passare accanto a loro la macchina della professoressa a tutta velocità, la canzone che esce a tutto volume dalle casse è Stressed Out, la suoneria di Riccardo.
Un ultimo scintillio compare negli occhi di Lapo in quei pochi istanti, poi si gira a guardare l’amico in cerca di uno sguardo d’intesa, Riccardo però non si è accorto di nulla e continua a camminare fischiettando allegramente Arrivati davanti al portone, Lapo tira fuori le chiavi e apre. I due salgono le scale di corsa, come loro
solito ed entrano in casa.
Le luci sono tutte spente, in casa c’è silenzio, la tavola è apparecchiata per due.