Di Giovanna, mamma di Margherita
Sono Giovanna, mamma di Margherita. La nostra storia comincia da lontano, quando mia figlia era un batuffolo adorabile e mi stava in braccio, sorridendo in modo irresistibile. Il suo papà Alberto ed io non avevamo mai amato così alcun altro essere. Margherita cresce circondata dall’affetto dei genitori e dei nonni, figlia unica, bella e brava. Mai un capriccio, sempre dolce e curiosa di ogni cosa… troppo buona, troppo dolce? A noi sembrava che andasse tutto bene, ma non era così: fin da piccola mostri terribili le apparivano e sembravano veri, per esorcizzarli lei metteva in atto dei rituali, dei gesti con le manine mentre camminava; oppure diceva «stop!» per fermare le visioni. Giochi di bambini, pensavamo: chi non ha mai cercato di camminare solo sulle piastrelle nere, o di seguire la linea tracciata sul marciapiede? Amaramente abbiamo dovuto renderci conto che un disagio era già presente nella nostra bambina, tanto bella e buona e amata. Amata nel modo giusto, amata troppo?
Quando, dopo un anno di master a Edimburgo, Margherita è tornata magrissima, abbiamo pensato: ha studiato troppo, basteranno spaghetti e buona tavola. Dico questo per far capire la rimozione del problema, che è stata la nostra prima reazione. Era il mio compleanno, in settembre, e Margherita al ristorante se ne andò da tavola piangendo per non mangiare il dolce. Anche allora non capii, eppure i segnali c’erano già tutti, aveva rifiutato la sua pizza preferita anche mesi prima, tornata a casa per le vacanze di Pasqua. Eppure sapevo bene cos’era l’anoressia, in famiglia c’erano stati altri casi, ma lei no, non la mia bambina. Ero in autostrada per una gita al lago con Alberto, quando la chiamiamo e lei ci dice: «Mi sono pesata: 40 chili». Abbiamo fatto dietro-front, me lo ricorderò sempre, la verità ci era piombata addosso all’improvviso!
Siamo approdati a Niguarda, su consiglio della dottoressa di base e lì sono iniziate le cure. Era il 2016: subito grande fiducia nei medici da parte di Margherita e di tutti noi. Lì è iniziata un’altra storia, fatta di presa di coscienza, di momenti bui, di ricadute, ma sempre insieme, in un altro modo, più consapevole, più vero. Supportati dalla terapia di famiglia e dalla psicoterapia per Margherita, percorriamo una strada aspra, lunga, con ricoveri e risalite, liberandoci dal senso di colpa sempre in agguato anche ora, grazie alla condivisione col gruppo dei genitori e al confronto coi medici del reparto. Oggi Margherita sta molto meglio, lavora e vive da sola, continua la psicoterapia e i controlli mensili. Non cerca più la perfezione.
Convive meglio con se stessa: sta provando a volersi bene.