Di Margherita, mamma di Gaia
Trovare un modo di stare accanto a una persona che soffre di DCA, non è semplice, soprattutto in principio, quando la malattia si manifesta palesemente e non si è consapevoli a cosa si sta andando incontro.
Parlo per esperienza personale, in quanto mamma di una ragazza affetta da questa patologia da tre anni.
In principio è come uno tsunami, arriva e ti toglie il fiato, travolge e sconvolge tutto, non c’è il tempo per capire, ci sei dentro e basta.
Ci sentivamo frastornati, disorientati, inebetiti di fronte a quel dolore inatteso e tutto quello che cercavamo di dire e di fare, risultava sempre e comunque sbagliato.
Ci siamo sentiti soli, impotenti, abbandonati, non sapevamo cosa fare e come comportarci.
Poi, piano piano, e soprattutto grazie al supporto dello staff medico specializzato dell’Ospedale di Niguarda, abbiamo iniziato a capire con che «COSA» ci stavamo relazionando e come essere aiutati e guidati.
E cosi siamo ripartiti da zero, siamo ripartiti da noi come famiglia.
Via i pregiudizi che non aiutano e via le sentenze gratuite da parte di chi non vuole conoscere e capire, ma solo ferire, cercando continuamente di sminuire e sottovalutare questa terribile malattia.
Noi genitori abbiamo imparato con il nostro amore incondizionato, a stare semplicemente ad ascoltare e a volte a non parlare, a contenere la loro rabbia e lasciare sfogare il dolore, la sofferenza.
Il percorso è lungo e faticoso, ma adesso ci prendiamo per mano e camminiamo insieme, più forti e più consapevoli di come affrontare e combattere questa insidiosa e subdola malattia.
Perciò consiglio a chi vuole stare vicino ai ragazzi che soffrono di DCA, di non giudicare, ma di ascoltare senza pregiudizi e senza commiserazione.
Essere presenti e far sentire il proprio affetto, dimostrando la sensibilità di chi non insiste nel pretendere risposte a domande troppo invasive e dirette, ma lasciando a loro la libertà di parlarne, se si sentono in grado di poterlo e volerlo fare.
Spesso questi ragazzi, quando raggiungono con fatica la consapevolezza di ciò che stanno vivendo, si sentono soli, si rendono conto che i loro amici hanno timore ad avvicinarsi e a comportarsi normalmente; la malattia spaventa, il dolore fa male, è più facile allontanarsi… tutto ciò è comprensibile, è umano.
Ma se si vuole davvero bene, una soluzione si trova e si cerca, per esempio, chiedendo ai genitori del ragazzo/a come comportarsi e cosa evitare di fare e di dire.
Ed è quello che hanno fatto alcuni amici di nostra figlia, che ancora adesso ci sono, e anche se a volte si sbaglia, non importa, si può sempre rimediare, ciò che conta è la voglia di stare insieme e di mettersi in gioco.
La parola d’ordine é: non arrendersi mai!