Questo non è un pezzo facile da scrivere per me, perché la battaglia per l’accettazione di me stessa, anima e corpo, è ancora in corso. Ma, forse, la mia esperienza può dare coraggio ad altre persone, e questo mi spinge a scrivere ugualmente. Il mio percorso per l’ottenimento delle categorie protette è iniziato più di un anno fa, su consiglio dei miei dottori. Io non ci credevo, come spesso capita, e inizialmente ho preso la faccenda con estremo pessimismo, quasi avessi intrapreso questo percorso per fare un piacere alla mia dottoressa di Niguarda, più che a me stessa.
È stato grazie al fatto che i miei dottori non hanno mai smesso di credere che io potessi avere un futuro, anche quando io non lo credevo, che è potuto succedere tutto. E questo tutto è stata la scoperta che sì, forse una possibilità ce l’avevo anche io. Come ho detto, ho intrapreso l’iter molto stancamente. Inizialmente si trattava di chiedere al mio medico di base un certificato introduttivo da mandare all’Inps. Non chiedetemi di essere più precisa, perché tuttora ho difficoltà a capire esattamente cosa ho fatto. La burocrazia non è il mio forte.
Valutare la mia «invalidità»
Una volta inviata questa documentazione, l’Inps (che nella mia testa è diventata una sorta di entità superiore abbastanza inquietante) mi ha ricontattata per una visita di fronte a una commissione. È questo gruppo di persone a dover poi valutare la cosiddetta «invalidità». Ecco, questa è la faccenda raccontata da un punto di vista pratico. Inutile dire che io l’ho vissuta, come spesso mi capita, con grande affanno e passione. Il mio medico di base ha sbagliato due volte a inviare la prima certificazione all’Inps (scrivendo i suoi dati al posto dei miei, cosa che ha del comico, ma che, ahimè, è la verità). Io, già di natura non proprio una persona molto positiva, inizialmente volevo lasciar cadere la questione in quel tritacarne dove finiscono tutte le cose della mia vita che ho iniziato e abbandonato a metà. Ma poi qualcosa è scattato. La testardaggine che mi è tipica è entrata in gioco, e allora mi sono detta che avrei fatto di tutto per ottenere ciò che volevo. Una volta ricevuta la convocazione per la visita, ho dovuto raccogliere tutto il materiale provante la mia invalidità. Personalmente, non ho mai avuto il problema di accettare l’idea che io potessi essere considerata «invalida», perché mi sono sempre sentita un po’ disadattata.
La cosa veramente problematica, per me, è stata accettare che fossero delle altre persone, sconosciute per di più, a doverlo valutare. E che tutto il dolore provato da me in questi anni, i tre ricoveri, gli anni in day hospital, le notti insonni per la fame, i gesti autolesionistici, tutto insomma, venisse ridotto a una percentuale. Perché è di questo che si tratta alla fine. La commissione valuta «quanto» si sta male, e in base a questo è deciso se si rientrerà o meno nelle categorie protette. Se, inizialmente, vedevo in questo solo una riprova di quanto ingiusto fosse il mondo, poi, però ho provato a vederla in modo diverso. Quella piccola percentuale era come un riconoscimento, e come se qualcuno mi dicesse: «Margherita, sei stata tanto male, e noi questo lo capiamo e perciò potrai essere aiutata». Soprattutto, raccogliere il materiale da mostrare alla commissione, per quanto faticoso, ha avuto una grande importanza per me e mi ha dato coraggio. Tutti i dottori che mi seguono mi hanno mostrato il loro supporto e sono diventati come un unico corpo, caldo di amore, che mi sosteneva.
Disturbi alimentari e categorie protette
Ognuno ha scritto qualcosa su di me e il mio percorso, ognuno ha donato un po’ del suo tempo per aiutarmi. E io mi sono sentita non più piccola e ridotta a una percentuale, ma enorme, potente, forte di tutto l’impegno che io e i miei curanti stavamo mettendo per la mia salute. Munita di tutta questa forza, mi sono presentata di fronte alla commissione, e ho accettato che avesse il diritto di guardare la documentazione e ascoltare ciò che avevo da dire. Il tutto è durato molto poco, ma ha avuto un grande significato per me. Ovviamente, però, non era finita così. Perché (ebbene sì) il mio medico di base aveva commesso un ulteriore errore nel compilare l’iniziale certificazione. Sconvolta, vengo a sapere che forse avrei dovuto fare tutto da capo. È stato allora, però, che è entrata in gioco la Margherita determinata, quella che, nel bene e nel male non si arrende se vuole qualcosa. Ho iniziato a chiamare persone a caso, sia al CAF, dove avevo presentato la richiesta, che all’Inps, finché non sono riuscita a trovare un cavillo per raggirare l’orribile burocrazia che sta dietro a tutto l’iter (e questa la considero una piccola vittoria personale). Insomma, dopo mesi di attesa da quando avevo iniziato tutto, ho ricevuto la lettera che attestava la mia percentuale di invalidità e, successivamente, quella che mi dichiarava parte delle categorie protette. Grazie a questo, ho potuto ottenere quello che attualmente è il mio lavoro: insegnare ai bambini della scuola elementare l’arte del lavoro manuale e dell’artigianato. Un mondo fatato e protetto, un nido nel quale finalmente posso stare senza l’ansia di sentirmi inadatta e fuori posto, un luogo dove sentirmi utile e arricchita umanamente ogni giorno. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto dei miei dottori, ma devo dire, nemmeno senza che IO lottassi. Mi viene da parlare a chi legge quest’articolo, perché ha disturbi alimentari: so che siete incredibilmente testardi e determinati, ma provate a incanalare tutto questo in qualcosa di positivo! Non è facile, nemmeno per me ora, ma davvero c’è tanto di bello da godere là fuori, nel mondo. Non privatevene.