Di Leonardo Caffo
Abbiamo spesso avuto così tanta difficoltà a sentirci amati da un nostro simile che spesso decidiamo di riporre il nostro desiderio d’amore in una città.
È un’idea adolescenziale, ma meravigliosa quella della vita che si fa città, stradina, vicolo. Ho vissuto una relazione lunga e conflittuale con Milano, mi sono innamorato di Torino, sono stato brevemente conquistato da Bangkok, da sempre vittima di Catania. Un’idea di città è sempre un’idea di futuro, e un’idea di futuro è sempre una storia d’amore.

Nel 2015 ha vinto il Premio nazionale Filosofia Frascati. Tra i suoi ultimi libri ricordiamo A come Animale: voci per un bestiario dei sentimenti (Bompiani 2015), La vita di ogni giorno (Einaudi 2016), Fragile umanità. Il postumano contemporaneo (Einaudi 2017) e Vegan, un manifesto filosofico (Einaudi 2018).
L’habitat della città
Progettare un habitat, creare delle connessioni, unire le diversità, significa provare a immagine il miglior modo di convivere e far convivere. Le sfide che abbiamo davanti sono molteplici, mai come oggi cesure tra un prima e un poi: cosa resta della città nelle epoche delle pandemie? Come cambiare il nostro rapporto con la produzione di CO2? E come convertire in modo sempre più vegetale le alimentazioni dei cittadini delle metropoli del mondo?
Una città è un ecosistema e non va considerata una costruzione nel deserto; nascono, le città, dove un tempo c’erano flore e faune, che ora il compito degli architetti è anche riportare nelle città forestazioni e «faunizzazioni». Nascono, le città, dove un tempo c’erano pezzi di mondo naturale, che il compito dei cittadini è anche integrare e reintegrare. Da poco ho deciso di avere una nuova relazione sentimentale con Milano, tanto da crescerci addirittura una figlia. Spesso, dalle finestre del nostro appartamento, vediamo le Tre Torri apparire e scomparire sotto il peso della nebbia. Dove sono gli animali? E le piante, quelle vere e non da zoo… dove sono le piante?

Milano, città illusa
Mentre percorro l’estremità Sud di questa palla che è Milano, avvolta su se stessa come la ruota di una bici, penso spesso che questa città somigli a una mia ossessione – i cerchi concentrici dell’antropocentrismo: vediamo solo umani ed effetti umani, anche se in continuo cambiamento, al tempo stesso chiusi nell’ideale della forza, un corpo urbano essenzialmente di finzione, vecchio come il modello dei grattacieli e incredibilmente fragile, come abbiamo visto con il Covid. Ai miei occhi, ora che ho scelto di darle un’altra chance, la città diventa spesso un modello a grandezza naturale della costruzione politica dell’antropocentrismo: gli animali, il non umano, i problemi reali di questo mondo, tenuti lontano e volutamente scomparsi.
Milano, mi dico spesso attraversando Corso Magenta o dirigendomi verso i Navigli, è la città illusa. Tutta la città si erge, come un tentativo post-rinascimentale, sulle narrazioni delle immagini. L’intera città è una protesi che la finzione avvolge nei cerchi che si irradiano dal Duomo. Milano emerge, come i suoi abitanti, dal desiderio di vivere e di esistere a dispetto della diagnosi di povertà o precariato, di difficoltà a pagare l’affitto o impossibilità di programmare il futuro. Nessuna città però, dovrebbe essere costruita su sogni impossibili, né su desideri impraticabili, non si dovrebbe costruire sul cemento sui fiumi meravigliosi di Milano. Non si dovrebbe vivere in un’atmosfera propizia alla tosse, ai contagi, alla fatica e allo stress. Ricordiamo l’origine della città-da-bere: scappando dal grigiore degli uffici, le popolazioni che vivevano di fabbrichetta si circondavano di Campari. E anche se pare paradossale, Milano è bella per questo.

La città permanente d’Italia
Ma che ne è del suo futuro? Una proposta: immagino una città, come direbbe il filosofo Paul B. Preciado, che esalti la sua fragilità. Ed è in questo non detto, su un terreno dove non è appropriato spendere cinquanta euro per un aperitivo, che il futuro si può costruire. Una città vegana, ecologica, a misura di donna, senza auto e tutta pedonale, piena di alberi e animali, con i suoi fiumi di nuovo alla luce. Milano è la città fuori canone di Italia, anzi è il luogo dove le regole di vita sono sempre state reinventate.
Cambia veloce, e dunque la specificità di Milano non sta solo nel contraddire in permanenza il provincialismo italiano, ma anche il riuscire a farlo attraverso la debolezza dei suoi abitanti e del suo fallimentare modello post-Expo. Immagino una Milano a misura di gabbiano, come le gabbianelle che si fermano sulla Martesana ma poi scappano improvvise. Se Roma nella decadenza può comunque sempre affermare una forza, Milano più che una città eterna diventa una città permanente: un’idea di città come un insieme di operazioni che hanno reso possibile questa trasformazione dell’Italia che ammiriamo oggi come un modello. Ma il segreto di ogni modello è che fallisce e cambia assai rapidamente.
Milano è innovazione
A Milano nel futuro si dissolveranno le differenze tra natura e cultura – e gli scali ferroviari o saranno dei boschi, o non saranno. Come un perenne impeto all’innovazione, Milano dovrà favorire i giovani e i diversi, ritornare alla sua vocazione popolare, consentire un futuro rispettoso. Milano non ha un solo chiodo o cerchio che non siano al tempo stesso necessari ma da cambiare radicalmente. Si dice che il modello Milano ha fallito, ma è proprio perché Milano è infallibile, Milano cambia. Il luogo dove la lotta e la trasformazione delle città acquisiscono una coerenza è l’etica e non solo estetica. Milano è la scommessa del futuro trasformato in città.
Alcuni punti utopici:
- Milano nel 2030 è senza macchine e a totale misura di mobilità alternativa.
- La cintura milanese nel 2030 è green, priva di allevamenti intensivi. Milano è la prima città vegana di Italia.
- Milano nel 2030 ha un canone d’affitto ridotto per gli under 30, agevolato e con aiuti concreti dal Comune.
- Milano nel 2030 è un bosco pieno di alberi e animali.
- Milano nel 2030 è l’anti-città attualizzata.