Esiste un luogo dove l’uomo può fingere per dire la verità. È un edificio antichissimo che nel corso dei secoli ha cambiato forma in funzione dei mutamenti delle società e delle sue finzioni.
«Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso». Gigi Proietti ci ha appena lasciato e questa sua affermazione, sulla bocca di tutti, è l’ennesima esternazione della sua sensibilità.

L’Origine Del Teatro
Nell’antica Grecia il teatro era un rito collettivo fondamentale per la polis: la tragedia era un momento nella vita pubblica nel quale i cittadini si riconoscevano, del quale addirittura erano parte. Non a caso nella drammaturgia greca esisteva il coro che si muoveva in una parte dell’edificio, chiamata orchestra, che era incastonata all’interno degli spalti: il coro era la voce del pubblico, la voce della comunità, la voce che rispondeva agli attori e spiegava ciò che di finto ma estremamente vero esisteva sulla scena.
E così Edipo, Oreste o Medea da personaggi diventavano simboli, Prometeo Incatenato, Antigone e Elettra da storie diventavano moniti. Era una forma di espiazione collettiva che non è poi tanto dissimile da una liturgia moderna. Anche nella messa ci sono tracce di una teatralità rituale molto antica in cui la riproduzione di un copione (come spezzare il pane e bere il vino) viene affidata ad un attore protagonista ed a un coro che ripete. La finzione è sacra: la riproduzione del corpo di Gesù Cristo in quel momento della funzione religiosa è il corpo di Gesù Cristo. D’altro canto credo che in questo periodo una delle scelte più controverse del governo sia stata quella di chiudere i teatri e lasciare aperte le chiese. Anche nell’età elisabettiana il teatro inglese non perde il suo spirito di rappresentazione della verità attraverso la finzione. Il genio del Bardo rese questo concetto in modo estremamente tangibile nell’Amleto. «La recita è la trappola in cui farò cadere la coscienza del re»: è una compagnia di attori che toglie il dubbio al protagonista inscenando «l’Assassinio di Gonzago» come se fosse la morte del re, suo padre: vedendo il dramma, Claudio, zio di Amleto e assassinio di suo padre, esce dal teatro incollerito in quanto colpevole.

La Verità Delle Emozioni
Tutto è finto ma niente è falso. E ancora, Amleto si chiede: «non è mostruoso che un attore, nient’altro che per un simulacro di passione, un sogno, si immedesimi tanto nella parte che il suo aspetto cambia, il suo volto gli si sbianca, gli occhi umidi, la voce spezzata e in lui tutto incarna i sentimenti suggeriti?» (traduzione di Luigi Squarzina). Sembra quasi che Shakespeare anticipi il metodo Stanislavskij di tre secoli, metodo che, detto in poche parole, ha alla base la verità delle emozioni, l’approfondimento della psicologia del personaggio e il ricorso alla memoria emotiva dell’attore. Il teatro deve raccontare la verità ma non solo, diventa una pratica che ci permette di capire la verità. Ritengo che il teatro andrebbe obbligatoriamente insegnato nelle scuole, di ogni ordine e grado: per i più piccoli come un gioco, «il gioco del far finta di», per i più grandi come una pratica di uso produttivo della finzione. Il teatro è uno strumento pedagogico che permette di metterci nei panni di qualcuno altro, è uno degli strumenti più approfonditi che abbiamo per comprendere l’altro, atto fondamentale per apprendere l’emotività. Forse imparando a giocare al gioco del teatro non avremo più l’ardire di affermare di conoscere noi stessi, di saper dire «io sono fatto così» con arroganza granitica. Forse riusciremmo ad essere più plastici, pronti al cambiamento, capaci di capire gli altri meglio di quanto capiamo noi stessi. Forse potremmo fingere quando ci viene richiesto per dirci la verità.