La storia di Claudia Bellomo

Claudia Bellomo, illustrazione di Chiara Bosna

Di Claudia Bellomo


Ciao a tutti, mi chiamo Claudia, sono una ragazza di 30 anni e sto combattendo contro una leucemia. Sembrava una semplice tonsillite, ma dopo diverse cure antibiotiche continuavo ad avere febbre e placche in gola; nessuno è stato in grado di accorgersi subito della reale causa dei miei malesseri e dopo circa un mese sono finita in pronto soccorso. Era il 27 giugno 2018.

Sono stata ricoverata d’urgenza al Niguarda di Milano, dove mi hanno diagnosticato la Leucemia Mieloide Acuta. In sostanza il mio midollo osseo, invece di produrre le simpatiche creaturine che abbiamo tutti imparato a conoscere guardando Esplorando il corpo umano, aveva cominciato a generare degli inutili corpuscoli comunemente denominati blasti.

Il mondo mi è crollato addosso e in men che non si dica io e i miei cari siamo stati catapultati in tutto quello che purtroppo prevede una malattia del genere. Ma ho pensato che non sarebbe finita così, che avrei tirato fuori le palle – che fino a quel momento avevo lasciato chissà dove – e che avrei fatto di tutto per sconfiggerla.

Ho dovuto iniziare immediatamente la chemioterapia, non c’era altro tempo da perdere: in reparto la chiamano Reset, un tentativo di far ripartire da zero il midollo osseo spazzando via di fatto tutto quello che c’è. Di buono e di cattivo. I ricoveri (in tutto 4) duravano circa un mese e dovevo stare in isolamento per ragioni di sicurezza.

Ho perso i capelli, ho avuto febbroni da cavallo, gengive gonfie e sanguinanti, sapori in bocca che nemmeno le gelatine tutti i gusti+1 di Harry Potter… e questo ovviamente solo a livello fisico.

Psicologicamente è stato devastante, perché i cicli non sono pesanti solo in sé, ma diventano una vera e propria pausa nella tua vita, senza che tu possa decidere nulla.

Poi finalmente è arrivato il giorno dell’uscita dall’ultimo ricovero: non esistono parole per esprimere la felicità che si prova a tornare a casa propria. A sentire aria di libertà!

Claudia Bellomo

Sono stata bene per diversi mesi… poi è tornata. Nessuno se lo aspettava, per lo meno non così presto.

In quel momento ho pensato a quanto fosse ingiusto, che non poteva essere vero. Ero tanto arrabbiata con me stessa, non ero riuscita a vincere.

Vista la situazione, venne stabilito che questa volta facessi il trapianto di midollo osseo ed è partita la ricerca del donatore, mentre io facevo un secondo reset in preparazione alla cura vera e propria.

La degenza durante il trapianto prevede totale sterilità ed è una cosa molto pesante da sostenere. Il paziente è costretto a spogliarsi completamente di ogni sua privacy. Gli infermieri diventano più intimi dei genitori e tutto quello che fino a qualche giorno prima avresti ritenuto sconveniente, te lo devi far scivolare addosso, come se il didietro non fosse il tuo.

Inutile dire che è un percorso difficile anche a livello fisico. I farmaci chemioterapici utilizzati per pulire tutto, prima dell’arrivo del nuovo midollo, sono molto più potenti di quelli utilizzati durante un normale reset e il mio corpo ha trovato una forza che mai avrei pensato di avere.

Il 5 novembre finalmente arriva «Naomi», io la chiamo così. Non pensate a scene strane di operazioni chirurgiche surreali: si tratta in realtà di una banale trasfusione, che tuttavia per me ha comportato un nuovo inizio. Al trapianto segue la spasmodica attesa di un segnale positivo dal nuovo midollo, resa poco gradevole dagli effetti collaterali dei farmaci. Non riesci ad ingerire nulla, soprattutto se solido, e quel poco che riesci è una tortura lungo tutto il tubo digerente. Poi un giorno entra il dottore e ti dice che i valori del sangue stanno migliorando, Naomi ha attecchito! E lentamente ti riprendi, come se tutto fosse stato un brutto incubo.

Mai scorderò quando una mattina l’infermiera mi ha toccato il braccio senza i guanti dicendomi «buongiorno» con un sorrisetto malizioso, per farmi capire che qualcosa era cambiato. Ci ho messo qualche secondo a realizzare, mi stavano togliendo la sterilità. Ho pianto così tanto che ancora adesso a pensarci mi viene il magone.

Sapevo che eravamo solo all’inizio.

Dopo qualche giorno sono tornata a casa. Ero terrorizzata, qualsiasi cosa sembrava potesse attaccarmi e farmi del male.

Piano piano mi sono riabituata ai ritmi quotidiani, anche se la mia condizione implicava l’isolamento dalle altre «cattive persone» piene di germi e la totale sterilità nel mangiare. Ebbene sì, ho iniziato fin da dicembre il mio lockdown personale, che sarebbe dovuto durare circa 90/100 giorni, data in cui avrei dovuto rifare una serie di esami di controllo, stabilendo così che potevo procedere alla mia personalissima «fase 2».

Ahimè, non è stato così.

Il 18 Gennaio 2020 dall’esame al midollo risulta che c’è ancora traccia della malattia.

Questa volta mi sono dovuta far aiutare dai farmaci, perché la mia voglia di lottare era scemata.

Ho intrapreso un nuovo percorso, che sto praticando tuttora. Un farmaco di ultima generazione, uscito da poco dalla sperimentazione, motivo per cui ho dovuto attendere diverso tempo prima che venisse approvato per il mio caso.

Nell’attesa mi sono stati prescritti altri medicinali per limitare la proliferazione della malattia, i quali purtroppo alterano anche la produzione delle cellule buone.

E così, senza sistema immunitario, mi becco la polmonite e passo tre mesi completamente a letto con febbre alta. Non riuscivo a fare nulla, ogni piccolo movimento era uno sforzo immane che comportava giramenti di testa e vomito. Ho smesso di mangiare, ho perso 25 kg e lo specchio mi faceva vedere un’altra persona.

Dire che è stato terribile, sarebbe dirlo con un sorriso.

Poi, finalmente, è arrivata la medicina miracolosa! I valori hanno iniziato a sistemarsi e di conseguenza anche il mio corpo è rinato.

Lentamente sto recuperando le forze e sto cercando di riprendermi tutto quello che ho perso negli ultimi sette mesi.

Esco spesso a fare passeggiate, mangio tutto quello che posso e sono felice. Sarà anche l’antidepressivo, ma mi piace pensare che tutto questo abbia fatto nascere una nuova Claudia, più sicura, più forte e più consapevole di quello che le sta attorno. Capace di emozionarsi nel vedere qualsiasi cosa, dal sentire l’aria sulla pelle, al gustare un semplice piatto di pasta in bianco.

Ho avuto la fortuna di avere accanto delle persone che mi hanno sostenuto in modi inimmaginabili, soprattutto i miei genitori e il mio compagno, senza i quali forse non sarei qui. È stato difficile per me, ma è stato difficile anche per loro. Posso solo immaginare cosa volesse dire vedermi da fuori in alcuni momenti.

L’altalena di emozioni che questo genere di esperienze è in grado di far scaturire è pazzesca. Alla fine è come andare in guerra: la mentalità e la motivazione sono importanti quanto l’arma che impugni. Le armi oggi fortunatamente sono molte, ma il nemico è potente, feroce e senza pietà.

L’importante è trovare sempre la forza di continuare questa lunga strada, composta da tantissime salite, senza aver paura di essere aiutati e iniziando a godere di tutti i piccoli traguardi guadagnati, vivendo un giorno alla volta, possibilmente felici.

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