Non riesco a staccare gli occhi da due parole: GRANDE OCCASIONE. A un tratto è come se mi stessi risvegliando da un torpore in cui sono immersa da alcuni mesi. Da quando il mondo ha ricominciato piano piano a uscire dalle case, nel tentativo di tornare a una normalità che forse non è realmente mancata a nessuno. Un torpore che significa stanchezza.
Di Loredana Beatrici
Milano Marittima. Ore 7 del mattino. Il sole fatica a farsi spazio tra le nuvole. In spiaggia solo io, la mia piccola di sei mesi e la signora Annalisa, la nostra vicina di ombrellone. Annalisa, che di albe in spiaggia ne ha viste parecchie, ha sempre qualcosa d’interessante da raccontare. Anche oggi non mi delude. Mi dice che ieri sera è andata alla presentazione del libro di Massimo Gramellini, e che è rimasta colpita da una frase che si è appuntata su un foglio: «L’autunno che ci aspetta può essere una grande occasione di rinascita dalle macerie, ma dopo una guerra solo ascoltando il nostro talento e sviluppando la creatività, senza affidarci alla politica, potremo farcela».
La Grande Occasione
Mi siedo sul lettino. In mano ancora il foglio, che leggo e rileggo. Non riesco a staccare gli occhi da due parole: GRANDE OCCASIONE. A un tratto è come se mi stessi risvegliando da un torpore in cui sono immersa da alcuni mesi. Da quando il mondo ha ricominciato piano piano a uscire dalle case, nel tentativo di tornare a una normalità che forse non è realmente mancata a nessuno. Un torpore che significa stanchezza. Troppi dati letti, troppi commenti sui social, troppe teorie, troppe fake news, troppi morti. Un torpore che forse vuol dire rinuncia, o forse resa.
Guardo mia figlia che non smette un attimo di far volteggiare le braccine e le gambine. È così vorace di vita. Ha fame di esperienze. È curiosa del mondo. Lei.

Dopo il Coronavirus
Rileggo. GRANDE OCCASIONE. Penso che un’occasione non debba mai andare sprecata. Il Coronavirus ci ha dato l’opportunità di accorgerci dei limiti e della fragilità del mondo in cui viviamo. Ha portato a galla le criticità dei sistemi governativi nazionali e degli organi sovranazionali. Ha mostrato che l’economia fondata sulla voracità del capitale e sul profitto ad ogni costo, è un sistema dopato che funziona per pochi. Ci ha costretti a riflettere sulla direzione che stanno prendendo l’istruzione, la cultura e il sapere. Ci ha sbattuto in faccia il controverso rapporto uomo-natura. Ha accelerato dei processi, anche pericolosi, che fuori da una condizione di emergenza avrebbero richiesto anni di sperimentazioni.
Ci ha ricordato che siamo tutti uguali di fronte alla morte, ma che esistono troppe diseguaglianze in vita. Ci ha fatto capire che viviamo in un mondo instabile e disfunzionale. Il Coronavirus non è stato solo uno sgambetto da cui rialzarci e riprendere la nostra corsa, ma un monito per ripensare un futuro diverso, magari meno abbagliante e schizofrenico. Nel corso della storia le pandemie, le guerre e le rivoluzioni non hanno solo distrutto, ma anche offerto la possibilità di ricostruire. È accaduto con la peste del 1346, che scompaginò e rimodellò la società feudale, dando impulso a innovazioni che aprirono la strada al Rinascimento. È accaduto dopo le grandi guerre, che hanno ridisegnato la società. La domanda che dobbiamo porci ora è: dopo il Covid-19, come lo ridisegniamo il futuro? Sono tanti i sociologi, filosofi, economisti, storici che stanno provando a immaginarselo.

«Loro» Contro il «Noi»
Il giornalista Timothy Garton Ash si domanda se quello che ci attende sarà uno scenario più affine al secondo dopoguerra o al primo. Ovvero, andremo verso una crescita delle democrazie e della comunità globale, o all’avvento di nuovi nazionalismi e alla chiusura degli Stati-nazione? Il pericolo, infatti, è che il virus abbia scatenato le paure ataviche del «loro» contro il «noi», che porteranno alla chiusura dei confini, proprio mentre la scienza ci ricorda la sua necessità di una cooperazione globale.
Il sociologo Walden Bello sostiene che l’unica strada perseguibile sia quella dell’abbandono del neoliberalismo a favore di un maggior intervento dello Stato. Si domanda, però, se questo intervento sarà progressista o repressivo.
Il suo collega Anthony Giddens parla di «era di grandi opportunità e grandi rischi» in cui si potranno sviluppare forme di super-intelligenza in grado di risolvere la maggior parte dei problemi, ma anche di mettere in moto l’estinzione della specie.
Lo storico Yuval Noah Harari sostiene che siamo di fronte a due importanti scelte: quella tra «sorveglianza totalitaria o responsabilizzazione dei singoli» e quella tra «isolazionismo o solidarietà globale». La prima ci pone di fronte al fatto che i governi hanno ormai i mezzi per monitorare e punire i cittadini che non rispettano le regole. Se finora quando il nostro dito cliccava un link, lo Stato poteva sapere quello che stavamo cercando e intuire i nostri gusti. Dopo il Coronavirus, l’interesse si è spostato. Ora vuole sapere la temperatura del dito e la pressione del sangue e fra un paio di anni potrebbe essere in grado di monitorare le emozioni o rendersi conto se ci stiamo ammalando. Non è fantascienza.

Il Punteggio Social
Basti pensare che in Cina esiste il «punteggio social», qualcosa di molto simile a una puntata della serie TV Black Mirror. Ogni momento della vita può essere monitorato e giudicato in base alle regole dello Stato. Coloro che attraversano con il semaforo rosso, o che pubblicano post critici sul governo, potrebbero vedersi sottratti dei punti nella valutazione sociale. Al contrario, coloro che acquistano cibo sano o leggono giornali legati al regime, crescono nella valutazione. Chiunque abbia abbastanza punti potrebbe ottenere un visto per un viaggio o dei buoni acquisto. Chi, invece, scende sotto un certo punteggio potrebbe perdere il lavoro o non avere la possibilità di viaggiare. Il monitoraggio generalizzato e le punizioni severe, però, non sono l’unico modo per ottenere il rispetto delle regole. I cittadini, se informati sui fatti scientifici e se si fidano delle autorità pubbliche, possono fare la cosa giusta, anche senza un grande fratello che li spia. Una popolazione motivata e consapevole è più utile di una ignorante e controllata. Non serve la «polizia del sapone» per ricordarci di lavare le mani, perché è dal 1800 che ne abbiamo compreso l’utilità e lo facciamo in modo responsabile. Per questo, invece di costruire un regime di sorveglianza, potremmo ricostruire la fiducia delle persone nella scienza, nelle autorità pubbliche e nei mezzi d’informazione. Ognuno di noi ha il dovere di informarsi seriamente, piuttosto che cedere alla tentazione di credere a fake news e teorie complottiste.
La seconda scelta importante che dobbiamo affrontare è quella tra isolamento nazionalista o solidarietà globale. Sia l’epidemia, che la conseguente crisi economica, sono innegabilmente problemi globali e possono essere risolti efficacemente solo con la cooperazione di tutti i Paesi. È necessario condividere le informazioni a livello internazionale. L’umanità deve fare una scelta: proseguire sulla strada della divisione o prendere quella della solidarietà globale. Se sceglierà la divisione, non solo prolungherà la crisi, ma probabilmente provocherà catastrofi ancora peggiori in futuro.

Creatività
Torno a leggere il foglio che ho in mano. Un’altra parola mi colpisce: CREATIVITÀ. Voglio provare a giocare con la creatività e immaginarmi il mondo che vorrei. Un mondo in cui la diminuzione dei viaggi per lavoro riduca l’impatto sull’ambiente. Un mondo in cui siano favorite le filiere produttive locali. In cui ci si sposta a piedi o in bicicletta, riscoprendo il piacere di una passeggiata all’aria aperta. Un mondo in cui vengano potenziati i sistemi sanitari e le attività di ricerca scientifica. Un mondo dove le aziende siano incentrate non sugli utili, ma sul valore sociale che producono e dove si parli di valore dello Stato per la Comunità. Un mondo dove la scuola sia in grado di preparare a nuove professioni stimolanti, perché le vecchie sono rimpiazzate da macchine efficienti. Un mondo dove si possa studiare online con un professore a migliaia di chilometri di distanza, ma incontrarsi in laboratori per condividere sapere ed esperienze. Un mondo che utilizzi energie rinnovabili e che lavori per livellare le diseguaglianze. Un mondo, insomma, di cui la mia piccolina possa andare fiera.
Milano Marittima. Ore 11 del mattino. Il vento ha spazzato via tutte le nuvole e il sole splende alto in cielo. Annalisa è persa tra i suoi mille giornali. La mia piccolina dorme. Io non più. Non è più tempo per dormire. Ora ho la certezza che non si potrà più tornare indietro e la speranza che ce ne renderemo conto presto, perché vorrà dire che sarà partita la ricostruzione. Non è più tempo per dormire, perché è la nostra GRANDE OCCASIONE.