“Rallentare, ritrovare un giusto tempo, prendersi cura di sé”, per parlare di questo e di altro, Giorgio Armani ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Di Fiamma Colette Invernizzi
Rallentare, ritrovare un giusto tempo, prendersi cura di sé. Abbiamo vissuto mesi difficili, di grandi cambiamenti, di riflessioni, di interruzioni. Ora, per ripartire, servono cura, attenzione e capacità di leggere la realtà nella sua complessità, per non rientrare in quella normalità che conteneva anche le concause della diffusione pandemica (un atteggiamento aggressivo e superficiale, invasivo e prepotente rispetto agli equilibri naturali). Per parlare di questo e di altro, Giorgio Armani ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Qual è la vera occasione, oggi? È forse un inizio per andare verso un mondo più umano, più vero, più attento?
«L’emergenza che abbiamo vissuto nei mesi scorsi è stata una prova davvero difficile che ha completamente stravolto la nostra quotidianità. Un imprevisto di portata enorme che ci ha inevitabilmente messi di fronte alle nostre responsabilità, facendoci fare i conti con realtà e sistemi che hanno rivelato tutta la loro fragilità e le loro distorsioni. Ci siamo resi conto che siamo davvero un piccolo e debole ingranaggio nel grande e complesso organismo naturale di cui dovremmo rispettare di più il delicato equilibrio. Ci è stata offerta un’occasione di riflessione e di cambiamento assai preziosa e sarebbe un peccato sprecarla. Sì, dovremo lavorare insieme per trovare nuove strategie che ci consentano di vivere un nuovo presente dando il giusto valore alle cose, e plasmare un nuovo futuro, più a misura d’uomo e meno orientato al puro profitto».

Per ripartire ci vogliono uomini eccezionali e Lei è uno di questi, tra creatività, genio, visione e dedizione al lavoro. Potremmo dire che se fosse vissuto nel ‘500 sarebbe stato Leonardo Da Vinci. Oggi è Giorgio Armani. Chi sarà dopo questo lockdown? La sua creatività che cosa vede nel prossimo futuro?
«Il paragone mi lusinga, ma credo sia un po’ eccessivo: non mi riconosco nella parola genio. Sono un creativo e imprenditore con un forte senso di responsabilità, a cui piace la concretezza dei fatti. Ciò che mi auguro è che le mie scelte possano in qualche modo fare da traino anche per altri, perché è tempo di decisioni coraggiose. Dopo questo lockdown sarò la persona di sempre, con un senso di responsabilità se possibile più forte, e questo sarà visibile nelle scelte estetiche come in quelle imprenditoriali. In sintesi: fare meno, ma meglio».
La bellezza, oggi, accoglie la sofferenza e può avere la forza di raccontare le fragilità. I B.Liver hanno fatto una mostra delle proprie Cicatrici, rappresentandole, usando i corpi perfetti della Venere di Milo e del David di Michelangelo. Quarantadue opere d’arte che sono state esposte alla Triennale di Milano, al GAM di Catania, poi ad Amsterdam e Madrid. Il secolo scorso pensavamo che la bellezza trascendesse la sofferenza. Oggi siamo più realistici. Come si potranno promuovere autenticità, umanità e fragilità nel prossimo futuro?
«Mi sono sempre definito una persona pragmatica, guidata da un forte senso estetico, con un’idea di bellezza con una grande componente etica, fatta di semplicità e anche di rigore. Trovo che le nostre immense fragilità ci rendano speciali. Io con il mio lavoro ho cercato di aiutare gli uomini a scoprirle e ad accettarle, e le donne a superarle. La bellezza del futuro la vedo come un percorso verso la consapevolezza, che si raggiunge attraverso la comprensione e l’accettazione dei nostri limiti».

In un’intervista per The Business of Fashion del 2015, affermava che per Lei è importante avere paura. Di sbagliare, di non avere genio, di non essere capito. Come ha trasformato, negli anni di carriera, questa fragilità in un punto di forza?
«Prendere coscienza dei propri difetti e delle proprie debolezze è uno dei momenti più importanti della crescita di ciascuno di noi. Penso che il dubbio sia uno stimolo continuo al miglioramento di sé. Può creare sofferenza, ma ne vale la pena. La certezza incrollabile porta alla non azione, e io, al contrario, amo l’energia e il dinamismo del mettermi sempre in gioco».
Noi B.Liver ci facciamo sempre questa domanda: siamo più autentici perché scriviamo senza intermediari o perché sappiamo ascoltare? Grazie al suo sapere e alla sua lunga esperienza, Lei è arrivato a parlare liberamente, anche andando contro corrente. Quando si sente autentico? È autentico perché fa o perché ascolta?
«Mi sento autentico ogni qual volta, fidandomi del mio pensiero, mi esprimo liberamente, anche a costo di andare controcorrente. È un modo di essere, profondamente radicato, un bisogno morale. Nel mio lavoro, ad esempio, ho sempre cercato di essere molto onesto, presentando in passerella quello che le persone possono realmente indossare, senza escamotage o trovate spettacolari. Questa sincerità il pubblico la percepisce e ti ripaga con il suo apprezzamento che continua nel tempo».

Con i B.Liver ragioniamo spesso su quanto la malattia sia sinonimo di solitudine, isolamento. Il successo è solitudine?
«La solitudine è il destino di chi fa della libertà di pensiero e dell’integrità artistica i suoi valori fondamentali e anche a me è capitato di sentirne il peso. Non la temo perché la libertà e l’indipendenza sono valori troppo importanti per me. E poi sento l’affetto di quella che è diventata una famiglia allargata, dove l’amicizia è solidarietà, cura, momenti di allegria, e questo mi fa bene».
Alcuni B.Liver hanno sofferto di disturbi del comportamento alimentare. Nella sua visione del mondo della moda e dell’immagine, questo settore ha una responsabilità nella diffusione di un immaginario di fisico ideale? Si sta tornando verso uno stile più autentico?
«Riconosco che la moda in questo ambito lancia spesso messaggi fuorvianti. Presentare gli abiti su corpi snelli aiuta, ma dovremmo tutti impegnarci a far capire che quello non è un modello assoluto, bensì una convenzione di comodo. Oggi per fortuna la moda sta cercando di aprirsi, ma è un percorso lento, che richiede tempo. Io faccio sfilare modelli in taglia standard, ma sono poi le donne e gli uomini che incontro per strada ad attirare la mia attenzione: persone reali, con i loro corpi autentici, per le quali creo i miei abiti».

In un’intervista a Tv7, ha affermato di essere «uomo di regole», che applica a se stesso e che cerca di diffondere agli altri. Le regole, il sapere, la responsabilità e il senso civico sono elementi fondamentali per una ripartenza consapevole. Quali regole vorrebbe suggerire al futuro della moda, anche in relazione ai temi di sostenibilità e ambiente?
«Penso che la ripartenza della moda dipenda da una sola regola: un recupero di autenticità, che si può tradurre in un prodotto di qualità, durevole, in una strategia di vendita più consona alle stagioni reali, in una comunicazione più assennata. Le conseguenze di questo modo di operare saranno importanti anche per il pianeta, perché porterebbero alla riduzione degli sprechi e della sovrapproduzione».
La moda racconta anche la storia. Le trasgressioni, gli stili, le provocazioni, la società e il potere. Come l’arte, la moda racconterà alle generazioni future chi siamo stati noi, oggi. Che storia ci racconterà il suo settore, in questo prossimo futuro post-pandemico?
«Racconterà, mi auguro, del desiderio di tornare al bello che rassicura e che dura, della fine di un periodo troppo lungo di eccessi e del ritorno a un linguaggio più misurato. Parlerà, spero, di artigianalità, attenzione, qualità. In sintesi, di una moda più intimista e discreta».
Dopo tutte le interviste effettuate durante la sua carriera, esiste una domanda che vorrebbe sentirsi fare, che non le hanno mai fatto?
«Credo di no. Ho rilasciato innumerevoli interviste e ognuna, per me, è un’occasione di incontro e di scambio. Domande ricorrenti, poiché sono poste da persone diverse, suonano ogni volta diverse. Sono gli interlocutori a incuriosirmi di più».