È il momento di ripartire. Si deve cambiare prospettiva arricchendola con gli altri. Mai più soli. Il Bullone ha intervistato dei grandi testimonial di vita e di sapere per indicarci la strada giusta. Qui sotto l’intervista con Jacques Attali, il grande economista francese.
Di Roberto Pesenti
L’economia della vita è la rotta giusta per il futuro del mondo dei ripartenti che agiscono e prendono in mano il loro destino
C’è una rotta giusta per riaccendere il destino comune in un mondo terrorizzato da mesi di morte in diretta, chiusure di fabbriche e uffici, minacciato dall’impoverimento globale. Ci vogliono gesti storici che provochino effetti storici davanti a una crisi che ha già causato 300mila morti e che si preannuncia lunga, difficile e imprevedibile. Ci saranno ancora tanti piccoli focolai e anche il rischio che scoppi un’altra epidemia. Il mondo così non può reggere e la scelta necessaria per potersi intestare il passaggio al comune destino della rinascita e della ripartenza, è quella di passare dall’economia di sopravvivenza a un’economia della vita. Occorre porsi un nuovo orizzonte simbolico, valoriale, culturale e anche organizzativo con la riconversione delle strutture produttive, proprio come in tempo di guerra, questa volta non per produrre carri armati e bombe, ma per vivere in salute.
Jacques Attali, 76 anni, economista, già consigliere dei Presidenti francesi Mitterrand e Sarkozy, e autodefinitosi «scopritore» di Emmanuel Macron, è alla guida di Planet Positive, un’impresa sociale internazionale con base a Parigi, che si batte contro la povertà con grande attenzione all’Africa.
Ci racconta la sua visione, con una proposta di uscita di sicurezza dall’incubo che minaccia popoli e Paesi investiti dalla catastrofe peggiore di tutta la storia contemporanea.
Il nuovo sbocco non si basa su un PIL generico, sullo spread delle monete, sull’indice Dow Jones della Borsa, ma poiché l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che il Covid 19 non se ne andrà, e resterà presente per sempre come l’HIV, punta a ridurre il rischio strategico di danni permanenti alla protezione concreta del nostro vivere, sentire, amare, ridere, donare, piangere, giocare, cadere, ma riuscire sempre a rialzarsi e a continuare.
Per Attali, sul lungo termine, ogni singola produzione di ricchezza, dal livello comunale a quello nazionale, deve svilupparsi dentro a un’economia che non è in contrapposizione con la vita delle persone. Perché la vita è l’economia, sono una a fianco all’altra, e allora investimenti finanziari, talenti e competenze vanno mirati su alcuni settori vitali per l’umanità, dando minore priorità ad altri meno utili, riorientandoli, rimodellandoli lungo il XXI secolo.
Davanti alla prospettiva di altri virus dopo il Covid-19, di incontrollabili malattie trasmissibili, Attali sostiene che il muro difensivo non può essere rappresentato solo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’OMS, secondo lui, è un contenitore per accordi politici, un mediatore di equilibri di poteri. Ci vogliono nuove leggi e regole in ambito sanitario che siano frutto della cooperazione mondiale, accettate e rispettate universalmente, come quelle degli sport: quelle regole che se fossero già state approvate avrebbero evitato un’emergenza come questa, con centinaia di migliaia di vittime.

Professor Attali, come può fare ognuno di noi, per cercare una soglia di sicurezza al Covid e alle sue ricadute?
«Questa non è una crisi economica, né finanziaria. Questa è una crisi sanitaria. Il problema è che non ci siamo preparati, all’interno di ciascun Paese, e soprattutto a livello globale. Molti Paesi hanno deciso, chi in democrazia, chi no, come la Cina, di chiudere la produzione per salvare le persone. Ci sarà la riapertura o perché avremo scoperto un vaccino, oppure perché non potremo sopportare a lungo il blocco economico. Se lo faremo senza aver trovato il vaccino, il nostro sistema sanitario tornerà in crisi. Ecco perché occorre pensare all’economia della vita».
Che cosa è l’economia della vita?
«È l’economia che riunisce tutti i settori che, in un modo o nell’altro, vicini o lontani, si pongono come missione la difesa della vita durante e dopo la pandemia. È un’economia alternativa che mette insieme tutte le attività che il virus minaccia, dotandole di speciale sostegno finanziario, sociale, ecologico».
In particolare quali aree produttive?
«Sono settori che vanno messi in fila tra loro, perché oggi sono sparsi, senza centro, con aree di ricerca scientifica scollegate».
Veniamo alle filiere da costruire.
«Cominciamo dalla salute che si basa sull’igiene e che oggi è connessa dallo sviluppo delle tecnologie digitali che sono centrali nell’educazione. Seguono gestione dei rifiuti, distribuzione dell’acqua, sport, cibo, agricoltura, protezione del territorio, distribuzione, commercio, istruzione, ricerca, innovazione, energia pulita. Poi vanno collegati alloggio, trasporto merci, trasporto pubblico, infrastruttura urbana, informazione, cultura, funzionamento della democrazia, sicurezza, assicurazione, risparmio e credito».
La richiesta pare quella di una sorta di rivoluzione copernicana delle priorità economiche e del mercato.
«Le famiglie devono avere la possibilità di orientarsi sempre più verso consumi che tutelano la vita: cibo, medicine, educazione. Le imprese che possono soddisfare queste richieste ci sono già, sono i bisogni delle persone che sono cambiati e quindi i mercati sono cambiati. Per commercianti e imprese, con l’aiuto dello Stato, c’è da fare un salto notevole, sia in termini di produttività, sia di occupazione, raddoppiando il peso complessivo di servizi e prodotti per la vita nelle attività economiche, passando dalla quota di occupazione attuale del quaranta per cento al settanta per cento. Dobbiamo impegnarci anche a far salire dal trenta-quaranta per cento il valore di questi settori, fino all’ottanta per cento della ricchezza dei singoli Stati».
E che fine fanno i settori non prioritari, sono destinati a sparire?
«Niente affatto. Il settore dell’automobile, dei trasporti aerei, della moda, della chimica, della manifattura, dei beni di lusso, della difesa, del turismo, degli spettacoli, non sono condannati. Diventano meno prioritari, anche nell’assegnazione dei fondi statali. Gli imprenditori e i sindacati devono immaginare nuovi modi, sicuri, di provvedere ai bisogni: il settore del turismo, ad esempio, sta già immaginando nuove strade di riorganizzazione. Qualcuno nel mondo ha già cominciato a farlo».
Questi cambiamenti di stile di vita e di lavoro così profondi, come quelli d’emergenza imposti dalla quarantena, possono minacciare le libertà democratiche?
«La democrazia fa parte dell’economia della vita. Il problema è che se non cambiamo in tempo, la crisi genera la spinta della gente verso soluzioni autoritarie, alcuni governi infatti, stanno approfittando della pandemia per chiedere e avere più potere».
Attali non si nasconde che stiamo uscendo dalle trincee della quarantena anti Covid, spesso armati solo di mascherine e guanti di plastica e che soltanto il vaccino potrà ridarci un minimo di normalità. Da europeista è convinto che ci vogliono subito aiuti e soldi per attenuare la disoccupazione e la povertà, i Fondi Europei del MES, i soldi della Banca Centrale di Francoforte, ma lui ci spinge a guardare avanti, perché è convinto che in prospettiva non bastino rimedi momentanei.
Scegli la tua vita: così Attali aveva intitolato il suo libro del 2014 diventato un best seller, in cui l’autore francese definì «rassegnati-reclamanti» coloro che «si rassegnano a non poter scegliere la propria vita, e che reclamano un risarcimento per la loro condizione di servitù», contrapponendoli a quelli che «prendono in mano il loro destino, agiscono, si danno da fare, non credono all’irresistibile ascesa del Male».
Oggi Attali, nel dialogo mondiale alla ricerca di idee per il futuro, si distingue nettamente da chi si chiede eticamente se usciremo migliori o peggiori dalla pandemia, oppure da chi incolpa ideologicamente il sistema capitalistico per la diffusione del virus, che peraltro è nato in un regime comunista, oppure da chi è conquistato dall’utopia della decrescita felice. L’economista pare un pragmatista radicale, sostiene che la molla per ripartire si fonda sull’interesse primario delle civiltà per la sopravvivenza e per la cooperazione, e quindi utilizza la battaglia contro Covid-19 per ridiscutere radicalmente sia modelli di sviluppo che di consumi e considera i laboratori di scienza un frutto della modernità, come nostra prima salvezza.
Resta da capire come sarà accolta la svolta a 360 gradi proposta da Attali, cioè mettere in discussione la mappa dei poteri industriali e finanziari, e cambiare il nostro rapporto con le risorse disponibili, con il lavoro e la produzione, con i nostri desideri di consumo, difficile da digerire per chi vuole solo un ritorno al preesistente, cioè a protezionismi, frontiere chiuse, muri chilometrici, xenofobie di varia natura, shopping a go-go, a chi organizza ancora uffici e fabbriche come catene di montaggio, a chi non ha alcuna fiducia negli innovatori e cercherà di tornare ai tempi pre – Covid, sfruttando le paure dei cittadini e cercando di mantenere l’economia in uno status quo perpetuo.

IL COMMENTO – TOCCA A NOI DECIDERE QUALE FUTURO
Di Giancarlo Perego
Ha ragione Jaques Attali. L’unica strada da scegliere è quella che non si mette in contrapposizione con la vita delle persone. E per fare questo bisogna passare da un’economia della sopravvivenza a un’economia della vita. Dopo aver consigliato per anni i presidenti della Repubblica francese, Jacques Attali oggi ha accumulato informazioni ed esperienza sul terzo settore, dove è diventato un protagonista assoluto sulla scena mondiale sull’asse Parigi-Africa. Il Bullone, grazie al formidabile amico e collega Roberto Pesenti, per più di dieci anni corrispondente del Messaggero negli USA, è riuscito a intervistare Jaques Attali, un economista che ha una visione simile a quella dei B.Liver e del fondatore di B.LIVE, Bill Niada. Economia della vita significa potenziare e investire nei settori dedicati all’assistenza della persona e alla cura del pianeta (economia green). Attali auspica un aumento del Pil in questi settori che superino l’80 per cento del prodotto interno lordo… Certo, ci saranno altri comparti, come quello del lusso, che soffriranno molto. Ma la situazione è difficile. Ora è arrivata questa pandemia che ha fatto saltare i sistemi sanitari occidentali, più avanti che cosa succederà? Dobbiamo prepararci. E per far questo Attali indica la strada, una strada che noi vogliamo percorrere. Riconvertire le produzioni come ai tempi della guerra oggi è più difficile, ma dobbiamo provarci se vogliamo un futuro più sostenibile, equo e in salute. Ripeto, dobbiamo puntare sullo sviluppo di settori che tutelino la vita: cibo, medicine, educazione. Pubblico e privato devono lavorare insieme per sostenere questa economia del benessere. La grande finanza, l’economia degli Attila, quelli che prendono, sempre con durezza e trucchi, senza dare, devono farsi da parte. C’è in gioco l’intero sistema della vita. In un eccesso di valutazione, proviamo a pensare che il Coronavirus è sceso tra noi per darci uno stop, per farci pensare, per ripartire in maniera diversa. Ascoltiamo Jacques Attali, l’unico finora che ha detto cose diverse. Una piccola grande rivoluzione dove tutti noi diventiamo protagonisti, dove tutti dobbiamo fare la nostra parte. Sì, ora tocca a noi.
