Pensieri sconnessi – Noi siamo gli altri, impariamo l’arte del silenzio

Di Bill Niada

Sento molti, forse la maggior parte dei miei conoscenti, arrabbiati, critici, che si lamentano per questa situazione. Non che io ne sia felice, nessuno è contento per quello che è successo, ma cosa dire di chi ha perso qualcuno dei suoi cari, quelli che non hanno più rivisto il padre, la nonna, un congiunto che non hanno potuto salutare?

Sostengono che il governo abbia sbagliato, che l’informazione è pessima (quale?), che gli ospedali sono stati mal organizzati, che l’economia non doveva essere fermata. Mille punti di vista, tutti dal proprio punto di vista e soprattutto, da un punto di vista parziale e personale. Siamo tutti esperti e se non lo siamo, lo diventiamo ascoltando qualsiasi informazione, per poi lamentarci delle fake news che ascoltiamo. Diamo retta a tutto e su tutto abbiamo un’opinione; ci creiamo una gran confusione in testa e vorremmo che tutto fosse solo positivo, fosse a nostro favore, o che almeno non ci danneggiasse. Siamo la civiltà delle medicine. Ci vogliamo permettere tutto quello che fa male e poi prendere la pillola che tutto sistema. 

Ma oggettivamente, come sarebbe possibile? Con un evento di queste dimensioni, imprevisto, senza precedenti e rapidissimo…

Siamo sempre pronti a denigrare le azioni altrui, le decisioni di chi è costretto a fare scelte che coinvolgono la massa, non il singolo, ma decine, centinaia, migliaia di persone… Siamo sempre pronti a metterci in cattedra a pontificare su come si deve fare o come non si sarebbe dovuto fare. 

Siamo tutti fenomeni. 

Soprattutto a posteriori e pensando a noi stessi. Chissà come ci saremmo comportati se fossimo stati noi alla guida di un’azienda, di una comunità, di uno Stato?

Non è facile decidere, combinare aspettative, doveri, interessi, Destino. Pensare al bene, davanti al male. L’ho sperimentato anch’io nel mio piccolo. C’è sempre qualcuno che non capisce, che non è disposto a sacrificare nulla di ciò che ha o che fa e che pensa che il sé sia il tutti. Difficile mettersi nei panni altrui, soprattutto molto scomodo.

Sono sempre gli altri che sbagliano, che devono rispettare le regole, fare sacrifici, fare fatica, mentre noi possiamo derogare, abbiamo giustificazioni, abbiamo motivi per fare diversamente. Noi abbiamo dei problemi!

Ma noi siamo gli altri. Cambia solo il punto di vista e la prospettiva.

Ma dove va tutta sta gente?, quando anche noi siamo parte della gente. Ma come guida quello?, quando abbiamo appena fatto una cosa che non si poteva fare. Ma perché non mi risponde?, quando noi non rispondiamo mai. Siamo ottimi giudici e pessimi attori.

Dovremmo imparare (anche da questa situazione) a stare in silenzio, a guardarci dal di fuori, a fare tesoro del passato, a prescindere da noi e dai nostri interessi privati, a pensare a quelli che stanno male davvero, ad ascoltare (non internet), perché il Destino e ciò che accade ci parla, ci spiega, ci insegna, ma solo se noi siamo aperti all’ascolto, alla riflessione, al dubbio.

Platone diceva che la maggior parte delle persone sono opinionisti, persone che stanno sulla superficie delle cose e giudicano e «spiegano» in base a luoghi comuni. Pochi i filosofi, coloro che si concentrano, stanno in silenzio e cercano di andare all’essenza, al nocciolo delle cose.

Ed è così, siamo tutti bravissimi a dire la nostra, soprattutto quando non siamo noi ad avere in mano le sorti delle persone. Parliamo per avere attenzioni, per avere benefici di ascolto o di cose, ma difficilmente agiamo per un bene comune.

Penso che sia sempre importante avere chiare le priorità della nostra vita e della nostra società: salute e sopravvivenza (in questa epoca), il bene comune, cioè gli interessi dei più rispetto a quelli di alcuni, il rispetto della libertà, ma anche in questo caso dopo aver assecondato la salute ed infine il benessere, che però non è fatto solo dall’economia, ma da quell’insieme di regole e opportunità che fanno sì che la maggior parte della gente possa avere una vita serena.

E poi ci dovrebbe essere una parola, dismessa e vilipesa che è ACCONTENTARSI, cioè saper essere contenti di ciò che sia ha o che si può fare.

Bill