Le riflessioni dei cronisti del Bullone su questi giorni di dolore e sull’incognita del dopo Coronavirus. Che cosa ci lascerà? Non sarà più come prima. Cambierà il modo di fare lezione. La distanza e la tecnologia modificheranno i rapporti professore-studente.
Di Elisa Tomassoli
Ore 10.34: il servizio non è al momento disponibile. Ore 11.47: al momento la nostra piattaforma non consente l’accesso al materiale didattico. Ore 12.35: nome utente non riconosciuto. Ore 13.00: accesso avvenuto con successo, ma proprio mentre riesco finalmente a riprodurre la lezione di Legislazione dei beni culturali, mia madre mi ricorda che è ora di pranzo; quindi, con il poco autocontrollo rimastomi, chiudo il portatile, lo spingo verso il fondo della scrivania, e abbandono la stanza. Questo è solo uno dei tanti esempi di tentativi (falliti) di approccio con la didattica online: sebbene io faccia parte della cosiddetta «generazione 2.0», il mio rapporto con la tecnologia è sempre stato conflittuale; ma, chi l’avrebbe detto che durante una pandemia globale a salvare il sistema formativo sarebbe stata proprio la tecnologia?
Dal momento in cui è stato emanato il Decreto per la chiusura delle scuole, l’intero sistema educativo italiano è stato privato di ciò che da secoli era stata la modalità canonica d’insegnamento, ovvero la lezione frontale, ma ha saputo prontamente affrontare questa emergenza utilizzando una modalità di apprendimento telematica; applicazioni come Google Classroom, Microsoft Teams o Skype esistevano già ben prima della didattica online, ma sono state valutate come particolarmente efficaci per il completamento dei programmi formativi. I vantaggi di questo nuovo approccio all’insegnamento sono innumerevoli: la riduzione dei costi, la possibilità di creare un piano di studio «flessibile», senza dover rispettare orari di lezione (talvolta incompatibili con le attività quotidiane), e potendo studiare secondo il proprio ritmo; devo ammettere che poter interrompere la registrazione per avere tempo di scrivere gli appunti in modo più corretto, molte volte mi ha anche aiutato a comprendere meglio il contenuto dell’insegnamento, poiché spesso a lezione si è così focalizzati sul non perdersi neanche una parola del docente, che non si capisce appieno il significato di ciò che si sta scrivendo. Tuttavia, dall’altro lato della medaglia, la didattica online non permette un confronto reale con il docente, e troppo spesso la lezione è finalizzata solamente al completamento di un programma, perdendo la dimensione di confronto e di approfondimento della materia, e un momento di potenziale arricchimento culturale si riduce a una mera comunicazione di contenuti.
Inoltre, se i sistemi tecnologici si sono rivelati particolarmente all’avanguardia e pronti a fronteggiare quest’emergenza, non si può dire lo stesso dei docenti, che non erano preparati a dover utilizzare nuove piattaforme informatiche: infatti, secondo un’indagine dell’Autorità delle comunicazioni, il 47% dei docenti utilizza tecnologie digitali quotidianamente, mentre il 27% settimanalmente, ma solo nell’8,6% dei casi gli insegnanti utilizzano tali piattaforme per attività progettuali a distanza; pertanto, è evidente che il futuro della formazione scolastica richieda una competenza molto più approfondita nel settore informatico. Come studentessa posso dire che questa metodologia può essere efficace, ma sento anche la mancanza delle aule affollate, delle ore passate tra i corridoi dell’università in cerca di un banco su cui poter studiare, dei momenti di tensione quando il professore fa una domanda alla classe; mi mancano i caffè con i compagni, perfino le ore in attesa al polo studenti, perché, a mio parere, la scuola non deve essere finalizzata solo all’apprendimento nozionistico, ma deve anche permettere agli studenti un confronto con realtà differenti, integrandosi con chi è diverso, e accettando anche che un brutto voto non sia per forza un fallimento, ma una nuova possibilità per capire che ognuno di noi non è definibile con un numero.
