Le riflessioni dei cronisti del Bullone su questi giorni di dolore e sull’incognita del dopo Coronavirus. Che cosa ci lascerà? Non sarà più come prima. Cambieranno le relazioni e la convivenza. Nasceranno modi diversi per instaurare rapporti umani

Di Gloria Mantegazza
Domenica 26 aprile 2020. In conferenza stampa, il presidente del Consiglio annuncia le prime direttive per la fase di ripartenza del Paese. Vengono predisposte le nuove misure di sicurezza per la riattivazione di alcuni settori della società e per le libertà personali. «Il rischio che si rialzi la curva del contagio esiste, ma dobbiamo ricominciare», afferma Giuseppe Conte. Da dove ripartire? Si parla della produzione. E dello sport. Nessun accenno al settore dell’istruzione, così come ad altre categorie. Se la riapertura è rischiosa, d’altronde, bisogna iniziare dalle cose importanti… Mi chiedo: come si può ripartire, senza un’accurata riflessione su ciò che abbiamo vissuto?. Sono passati due mesi dall’inizio del lockdown. Durante l’emergenza chi ha potuto si è messo in disparte, con rispetto e senza troppe lamentele. L’intera comunità è rimasta in attesa, con il fiato sospeso e con la speranza che ogni tassello si sarebbe sistemato a tempo debito. In questi mesi però, il tessuto sociale, già debole prima del virus, si è lacerato e sono emerse molte fragilità, individuali e comunitarie. Questa pandemia ha scardinato sicurezze e abitudini, ma ci ha anche un po’ cambiati; il dolore, la solidarietà e il bene comune sono valori che abbiamo riassaporato. Ora questa fase due si avvicina e ci vuole una resa dei conti. La risposta del «ora non c’è tempo» non può più andare bene. Ascoltando la diretta, mi sono soffermata a riflettere. Una prima considerazione: siamo tutti nella stessa tempesta, ma non siamo tutti sulla stessa barca. Non doveva arrivare il covid 19 a ricordarci le disuguaglianze sociali, ma questa situazione ha brutalmente fatto riemergere le diverse condizioni socio-economiche della popolazione. Penso, ad esempio, all’accesso all’istruzione, importante motore di crescita e cambiamento. Da insegnante mi chiedo come i bambini stiano vivendo questo momento, soprattutto quelli che già in precedenza avevano bisogno di un sostegno. Bambini di famiglie in condizioni difficili rischiano ora un elevato distanziamento sociale, inteso non solo a livello fisico. Eppure sono loro il futuro della nostra comunità. E non solo i bambini, ma le fasce più deboli della popolazione si trovano in difficoltà. Nella programmazione di questa fase dove sono finite queste persone?. Il confinamento in sistemi fragili è una condizione nociva per i più deboli e il senso collettivo di bene comune non può prescindere dalla loro tutela. Possiamo superare questa dura prova, ma sarà debole se non puntiamo su una maggior solidarietà e sullo sviluppo di uno Stato sociale forte in grado di riformare una società più equa. Secondo aspetto: è importante come si vive, ma anche come si muore. In questa crisi abbiamo perso il senso del sacro.

Abbiamo lasciato le persone morire da sole, nei migliori casi con il conforto di uno sconosciuto, e i familiari delle vittime confinate in casa, impedendo loro di assistere al sacro rituale di separazione ed elaborazione del lutto. In questi mesi lo Stato ha creato autocertificazioni per situazioni necessarie anche se rischiose, e ha deciso che l’argomento non rientrava tra queste ultime. Reagendo forse alla situazione con la dovuta velocità, ci siamo persi nei passaggi più profondi della nostra umanità. Queste morti non possono ridursi solo a numeri. Credo che la morte in sé non abbia ancora, nella nostra società, il giusto spazio nei dialoghi come nei processi. L’elaborazione di una fase dolorosa, tuttavia, è un processo molto importante che richiede uno spazio dedicato, perché permette alla mente di affrontare e superare la drammaticità di un evento, per imparare a conviverci ed evitare che riesploda emotivamente con forza incontrollabile. In conclusione, ho voluto introdurre questi due argomenti perché credo che la loro analisi e una direzione propositiva associata, possano servire come base per ricucire questo tessuto. Dobbiamo ripartire però da una maggiore umanità, altrimenti vedremo nascere una nuova comunità produttiva, ma fragile.
