La storia di Alice Ripari

Di Alice Ripari

Ciao a tutti, sono Alice Ripari, nata nel 1993, seconda di tre figlie.

Ho vissuto un’infanzia felice, sono stata una bambina allegra, vivace, sempre in movimento e attenta a tutto ciò che mi accadeva intorno, sempre disponibile a mettermi in gioco.

Del periodo delle scuole elementari serbo piacevoli ricordi, poi, all’età di 11 anni tutto è cambiato.

Ho sempre sofferto di una forte miopia, ereditata da mia nonna; durante una visita di controllo, però, il mio oculista si accorse che qualcosa, nonostante la correzione delle lenti, mi impediva di vedere come avrei dovuto, così mi fece fare molti esami per approfondire la situazione. Il 22 dicembre del 2004, dopo una risonanza magnetica, l’esito immediato: una massa premeva sul nervo ottico, o meglio, avevo un tumore ipotalamico.

Ma io ancora non sapevo nulla…

La prima fase venne gestita dai miei genitori; dopo diversi consulti, contattarono, grazie all’indicazione di un’amica medico, il dottor Genitori al Meyer di Firenze, che prospettò un intervento in endoscopia per capire come procedere, in quanto si trattava di un tumore inoperabile, vista la sua posizione. 

A fine dicembre seppi della mia malattia e del ricovero al Meyer, dove mi venne diagnosticato un Astrocitoma Pilocistico, tumore benigno, ma che comprometteva seriamente la mia vita; in quei giorni di ospedale mi sentivo «protetta» da mia madre e da mia zia, che era venuta con noi per non lasciarci sole, e dai medici ed infermieri che mi hanno ben guidata a capire che cosa mi stava succedendo. Ho trovato infatti, persone professionalmente competenti, ma anche umanamente attente, belle persone che ancora oggi sono per me punto di riferimento.

Inizialmente, essendo la figlia «mezzana», tra mia sorella maggiore che è disabile e a cui ovviamente vengono date molte cure e una sorella più piccola, forse vivevo la mia nuova situazione come una possibilità di ricevere attenzioni. Nel momento in cui mi sono resa conto di questa mia sensazione, mi sono subito sentita in colpa, ma i miei mi hanno rassicurata, perché davvero in queste situazioni ogni reazione «è lecita», «ci sta tutto».

Alice Ripari

La nostra forza è stata proprio quella di «raccontarci» e, accompagnati da tutti i nostri familiari, abbiamo cercato di vivere quel momento senza farci sopraffare dall’angoscia per il futuro.

Dopo l’intervento a Firenze, ho iniziato dieci cicli di chemioterapia all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano; non sapevo cosa aspettarmi, ma ben presto scoprii gli aspetti spiacevoli delle cure! Fu un periodo difficile, ogni tre settimane avevo l’infusione e per una settimana stavo male; per me, che fino a poco tempo prima non avevo nessun sintomo, affrontare intervento e cure non è stata una cosa semplice, cercavo di dormire il più possibile per assentarmi, scappare, non sentire… 

Frequentavo pochissimo la scuola ed essendo in prima media, faticavo ad instaurare rapporti nel nuovo ambiente e con nuovi compagni. 

Dovevo anche fare i conti con i cambiamenti legati al mio corpo: sono infatti sempre stata magrissima, agile, energica (mi chiamavano «schizzo»), ma in un anno di chemio mi sono ritrovata con 15 chili in più e senza capelli.

In realtà la perdita dei capelli l’ho vissuta come «un possibile cambio di look», infatti  li ho tagliati gradualmente, «accompagnando» loro, me e la mia famiglia, alla caduta; però ingrassare, gonfiarsi a causa del cortisone e dei farmaci, mi ha trasfigurata. Non mi sono sentita più io.

Finito l’anno di chemio, ho cercato di riprendere la scuola e la mia vita, ma ho avuto due brusche interruzioni a causa di due episodi di coma e numerosi interventi per riequilibrare la situazione. Tutto questo ha reso complicato ritornare ogni volta alla quotidianità: sono riuscita però a diplomarmi al Liceo Artistico e a laurearmi in Pittura e, da un anno, in Terapeutica Artistica, presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.

Sono felice di queste conquiste, anche se ancora oggi ritengo di non riuscire a vivere una vita completamente «normale»; spesso la stanchezza mi assale, mi sento «piccola», forse per mancata esperienza sotto tanti punti di vista: fatico a relazionarmi con i miei coetanei, è per me uno sforzo anche solo provarci, mi sento spesso inadeguata e perciò non riesco a costruire rapporti significativi. 

Dopo gli interventi subiti, una delle conseguenze spiacevoli è stato rendermi conto di avere problemi con la memoria a breve termine; questa consapevolezza mi procura disagio nella relazione con gli altri, perché spesso risulto inaffidabile o «tonta», e ciò mi genera un’ansia che certo non aiuta. 

Con queste mie fragilità e la mia eccessiva sensibilità, spesso ho bisogno di essere sostenuta e guidata, ma accettare questo, non sempre è facile.

Cerco quindi di vivere giorno per giorno, anzi, attimo per attimo, apprezzando ogni piccola occasione, ogni traguardo, come questo di scrivere e condividere la mia storia.

La cronicità della malattia, la sua costante presenza e imprevedibilità, rende difficile mantenere un equilibrio, ma la fede che mi ha sempre sostenuta dà significato e senso a quello che mi accade, dà tranquillità e gioia per ciò che riesco a fare; sono grata per gli amici che mi pensano, mi stanno vicino e mi incoraggiano, per la «grande» famiglia che mi accompagna in ogni momento. 

L’Arte poi, mi ha sempre aiutata consapevolmente e non, a superare e a rielaborare le diverse fasi della mia vita; è con uno sguardo d’artista che mi soffermo sul nome del mio tumore: Astrocitoma, un nome che porta con sé la radice «Astro», stella, e allora mi piace pensare di avere un corpo luminoso dentro di me!

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