Immagine in evidenza: foto di Stefania Spadoni
Di Alessandro Cozzi
Stiamo dunque vivendo l’esperienza dell’aggressione: il COVID 19 ci ha attaccati, ci ha sorpresi e ci ha molto spaventati. Siamo fragili, fisicamente e psicologicamente, il che è brutto e faticoso da accettare.
La Casa di Reclusione di Opera vive giorni di vera clausura. Non vi si tiene alcuna attività e persino le visite dei parenti sono sospese. Tutto chiuso. Sperimentiamo una debolezza che accomuna tutti e inquieta.
C’è un aspetto dell’epidemia che «fuori» non si avverte, ma che per chi sta qua ha grande rilevanza.

L’interruzione di ogni iniziativa ha comportato il divieto di accesso per tutti i volontari. Non entrano più suore, frati, le persone della Caritas, o di Sesta Opera, o di Incontro e Presenza che tanto aiuto portano a molti. Non ci sono coloro che animano corsi e laboratori per cui niente scuola di livello; niente disegno, niente lezioni di inglese; niente teatro né cineforum; niente scrittura creativa né gruppi di lettura; niente biblioteca; niente prove dell’orchestra o del coro; niente tutor universitari; niente catechesi, o altri momenti di spiritualità. Anche la redazione del periodico In Corso d’Opera è ferma.
Quanto è pesante!
Volendo, come dice il proverbio, possiamo cercare di cogliere come non tutto il male venga per nuocere, perché emerge in ciò tutta l’importanza di quei volontari. Quanto sia preziosa la loro presenza qui; come ci manchino quando mancano.

Così nasce un grazie sincero e sentito verso tutti coloro che vengono, aiutano, spendono tempo ed energie – troppo spesso senza grandi ricompense, nemmeno da noi che li diamo un poco per scontati-.
Invece, no. Sono un dono grande.
L’epidemia prima o poi passerà, ma speriamo che al di là dei dolori e dei disagi che porta, ci lasci questa certezza: vi sono molto persone impegnate, serie, generose in questa nostra società che, a volte, mostrando il suo lato peggiore, ci nasconde il bene che c’è in tanti.
Forse, ci voleva un virus per riscoprirlo.