Di Alice Nebbia
Illustre pediatra ed oncoematologo, il dottor Momcilo Jankovic inizia la sua carriera presso la Clinica de Marchi e, successivamente, prosegue presso l’Ospedale San Gerardo di Monza come responsabile del Day-Hospital di Ematologia Pediatrica, oggi riconosciuto reparto d’eccellenza a livello mondiale. Una carriera professionale vissuta con impegno e dedizione, che porta il dottor Jankovic a vincere l’Ambrogino d’Oro. Una missione, la sua, quella di accompagnare i giovani nel percorso verso la guarigione con amore, rispetto, ascolto e, con il sorriso: il «Dottor Sorriso» come lo ricordano sempre i suoi bambini e ragazzi.
Dottor Jankovic, dal punto di vista medico, cosa spinge un paziente a guarire?
«Per prima cosa, nel percorso di guarigione, è opportuno fare una distinzione tra bambini, adolescenti e adulti. Posso affermare che fino al primo anno di vita, i bambini sono protetti dagli anticorpi materni; la mamma allatta il bambino e lui fa il suo percorso. Da uno a sei anni, il bambino è fisiologicamente immunodepresso, non ha anticorpi e si ammala più facilmente; questo è il periodo in cui il pediatra lavora di più. Dai sei ai dodici anni il bambino è immunocompetente e il pediatra quasi non interviene. Intorno ai dodici/diciotto anni, complice anche un maggior invecchiamento cellulare, il giovane diventa più attento alla sua salute e alla sua fisicità, ma è più fragile. In un percorso di malattia, in questa delicata fase, il giovane, se coinvolto in maniera convincente e positiva ad apprezzare le bellezze che la vita offre, riesce a riacquistare, con consapevolezza e vigore, lo slancio verso la guarigione. Un altro aspetto rilevante è la distinzione tra guarigione fisica e guarigione sociale. Quest’ultima, soprattutto nei giovani, presenta ancora una limitazione di comprensione da parte della società, soprattutto in ambito assicurativo o lavorativo».
Che cosa avviene invece negli adulti?
«Il processo di guarigione per gli adulti è diverso rispetto a quello degli adolescenti. In fase adulta, si parla spesso di blocco del processo tumorale, ma non di eradicazione come avviene invece nei giovani. Pertanto gli adulti sono sottoposti, soprattutto per i tumori solidi, a terapie croniche, con le quali si trovano a dover convivere per molti anni».
per gli adulti è diverso rispetto a quello degli adolescenti. In fase adulta, si parla spesso di blocco del processo tumorale, ma non di eradicazione come avviene invece nei giovani. Pertanto gli adulti sono sottoposti, soprattutto per i tumori solidi, a terapie croniche, con le quali si trovano a dover convivere per molti anni».
Una mente attiva unita a un pensiero positivo e propositivo sono, per alcuni ragazzi, molle determinanti nel percorso verso la guarigione. Cosa ne pensa?
«Mente e corpo sono due entità strettamente legate ed entrambe sono importanti nel processo verso la guarigione. Da medico, però, posso affermare che la mente conta molto, ma non può far guarire di più il paziente, può farlo guarire meglio, contribuendo a fargli tollerare e accettare meglio le cure. Altra cosa che io reputo importante è la serenità, il cercare di mostrare una prospettiva favorevole al malato, anche con l’aiuto di attività come l’arteterapia, la clownterapia, la musicoterapia e la terapia dello sport. Tutte queste iniziative favoriscono il rilascio di sostanze attive che agiscono nel sistema immunitario variando alcuni parametri vitali e contribuendo positivamente al percorso verso la guarigione».
La malattia mette a dura prova la psiche. Come è possibile andare incontro a una persona che non riesce a vedere uno spiraglio?
«Gli psicologi possono dare una grossa mano, ma la differenza la fa la modalità con cui tu, medico, interagisci con questi pazienti. Essere concreti e decisi. Non lasciar spazio alla retorica. E poi aver tempo, pazienza e perseveranza. Il risultato non lo ottieni subito, ma lo guadagni solo se sei vicino al paziente, prendendolo per mano e accompagnandolo nel suo percorso. In questo modo fai sentire a lui la tua vicinanza e la tua presenza».

L’amore: l’amore verso qualcosa, o verso qualcuno può essere determinante per raggiungere la guarigione?
«Sì. A questo proposito ricordo un episodio significativo della mia vita professionale. Un ragazzo malato che, nonostante le mie rassicurazioni, voleva lasciar perdere tutto. È stata la sua fidanzata, conosciuta tra le corsie dell’ospedale, a farlo andare avanti, a fargli credere ancora nella scienza. Entrambi si sono appoggiati e vicendevolmente supportati. Anche l’amore della famiglia e dei propri cari è fondamentale. Dico sempre che i pazienti sono gli attori principali nel percorso verso la guarigione, ma i veri eroi sono le persone che li circondano e contribuiscono con il malato a centrare l’obiettivo della guarigione, quello a cui tutti noi tendiamo».
Coltivare la spiritualità, cercare la fede non solo nei momenti difficili, ma anche nei momenti di gioia… qual è la sua opinione?
«È un argomento soggettivo. Io sono cattolico e credo in questo. Molti ragazzi malati mi hanno chiesto di andare a Lourdes, a Medjugorje o da Papa Francesco e io li ho sempre incoraggiati. Come medico, però, non posso dirti che la fede faccia guarire di più. La fede ti incoraggia, è qualcosa di sovraterreno al quale una persona può appoggiarsi in un particolare momento della sua vita, ma questo te lo dico come essere umano».
L’alimentazione che ruolo gioca?
«Non credo che un cibo piuttosto che un altro determini l’insorgere di una patologia grave, quanto piuttosto le modalità con cui ci nutriamo. Evitare le esagerazioni, assumere tutto in maniera corretta e bilanciata, rispettando tempi e orari. Inoltre, escludere determinati cibi, soprattutto per i giovani, crea anche delle depressioni. Ho visto un bambino gioire quando gli avevo concesso di mangiare un hamburger: una volta, l’importante che non diventasse il suo pasto quotidiano al mattino e alla sera!».
Un’ultima domanda, riprendendo la prima, ma capovolgendo la prospettiva… che cosa la spinge a curare?
«Come medico il mio pensiero limitativo è di non poter far guarire tutti; quello non limitativo, e cercare di far star bene tutti. Le buone percentuali di guarigioni nei ragazzi affetti da leucemia, i miglioramenti quantitativi e qualitativi che ci sono stati nel percorso di cura, sono stati per me motivo di conforto. Ragazzi che poco prima di morire mi hanno ringraziato, facendomi capire che nonostante tutto io avevo centrato quell’obiettivo d’attenzione e d’ascolto. Tutto questo mi ha dato un’enorme forza per proseguire senza interruzione il mio cammino, per oltre quarant’anni».