Di Mante
Contàgio s. m. [dal lat. contagium, der. di contingĕre «toccare, essere a contatto, contaminare», comp. di con- e tangĕre «toccare»] – 1. La trasmissione di una malattia infettiva dalla persona malata ad una sana… 2. fig. Influsso dannoso che l’esempio o il pensiero di alcuni possono esercitare su altri… .
[Treccani]
«Trasmissione. Contaminazione. Influsso dannoso». Parole entrate a far parte del mio vocabolario quasi un anno fa, e la carica emotiva che ci sta dietro, è per me devastante. Dopo mesi di analisi a marzo dell’anno scorso mi hanno diagnosticato una tubercolosi multi-resistente ai farmaci, bacillifera e contagiosa. Quando il medico dopo aver visto la mia TAC mi ha detto di mettermi la mascherina, ho realizzato che la tosse che avevo da settimane era sintomo di qualcosa di serio. Dopo due mesi di isolamento in ospedale, una terapia iniziata con 17 pastiglie al giorno e la prospettiva di almeno due anni di cure, oggi posso dire che poteva andarmi molto peggio.
Sento così la voglia di raccontare, dopo un anno, il bagaglio di riflessioni che mi porto dietro, alla luce del fatto che anche il mondo continua ad ammalarsi, insieme alle persone, e continua a illudersi che disastri, calamità, guerre e malattie abbiano confini ben precisi.
Partiamo da un livello macro. L’inizio di quest’anno ha visto il mondo piegato su più fronti. Quello politico: l’uccisione dell’iraniano Soleimani per mano degli USA; i droni, i missili e le milizie di Teheran pronti a vendicarne la morte; l’abbattimento di un aereo ucraino; Trump che fa pressioni sull’Europa per isolare l’Iran; il possibile supporto israeliano all’attacco; il rischio di una guerra. E quello ambientale: il potente e devastante incendio in Australia; il problema dei rifiuti e ultimo, l’epidemia di coronavirus cinese. Questo è quello che noi vediamo, in questo momento, da lontano. C’è il forte rischio che la politica e la natura possano rivoluzionare e piegare l’attuale assetto mondiale, e non in una direzione migliore.

Ma ce ne stiamo preoccupando? Come funziona il rapporto tra riflessione e azione? Ci preoccupiamo di una cosa in base a quanto questa ci è vicina? Un atteggiamento di menefreghismo, di noncuranza, nei confronti di un argomento o dall’altro lato, un comportamento più consapevole e attento si basano su queste dinamiche di vicinanza/lontananza?
Ritorniamo ora al micro, la mia storia, più vicina. Chi è passato dall’esperienza di una malattia grave, sa che un aspetto curioso dell’ammalarsi è il passaggio dalla quasi completa estraneità e ignoranza dell’argomento, alla più alta competenza in materia. A me è successo: nel giro di un anno sono diventata un’esperta di tubercolosi, dal non avere idea di cosa significasse, ho imparato quali ceppi esistono al mondo, le aree geografiche coinvolte, i livelli di gravità etc..
Interessarsi a determinati aspetti della vita è sempre diverso che passarci dentro, questo è chiaro. Uno dei lati più duri per me è stata la «possibilità del contagio». In questo senso, la mia malattia ha scardinato tutto, certezze, confini e parametri. Ho viaggiato tanto, ho scoperto mondi e culture diverse, e non mi pento di nessun confine oltrepassato. Poi sono tornata a casa, e insieme alle bellissime esperienzemi sono portata, dentro di me, anche questo batterio. E così, come si trasmettono i nuovi saperi, ho coinvolto in questa vicenda le persone che mi stanno vicine. Più di una volta mi sono chiesta: perché questa cosa non poteva rimanere solo mia? Perché non potevo prendermi solo io la responsabilità e le conseguenze delle mie scelte? Nessuna vita è facile. Io per anni ho trascorso la mia facendomi forza per superare i problemi. Raramente ho chiesto aiuto per non coinvolgere gli altri nelle mie sofferenze. Che ingenua, come se tutto ciò fosse controllabile!
E ora le ho coinvolte nel peggiore dei modi.

Voglio raccontare questo perché ho la percezione che molte delle cose che stanno accadendo nel mondo abbiano un denominatore comune: siano considerate lontane rispetto alle nostre vite. Così lontane da non preoccuparci ancora. Credo che dovremmo allenarci, invece, a sentirle più vicine. Perché poi quando arrivano, se uno non è pronto, sono faticose. Di che cosa abbiamo bisogno ancora per renderci conto che tutto è interconnesso? Potremmo prevenire, ma non ci riusciamo. La prevenzione, nella malattia come nella vita, richiede un processo mentale complesso. Allora non faremo nessun passo verso ciò che succede intorno a noi, fino a che dei missili non cadranno sui nostri tetti? O finché un incendio non ci entrerà dritto in casa? Così come nella malattia, dove arriviamo a provare enormi sofferenze quando questa ci è già troppo vicina. Dobbiamo necessariamente arrivare a pagare un prezzo così alto? Non che mi disperi, credo che il dolore porti con sé un effetto di collaterale bellezza e crescita inequiparabili. Chissà però se è possibile passare da altre vie di comprensione.
Quello che porto qui allora sono solo la mia esperienza e le domande che mi pongo. Mi piace credere che l’antidoto a questo dilemma vicino/lontano siano proprio le storie. Trovare persone coinvolte ,fermarsi e ascoltarle.
Le storie accorciano le distanze tra il macro e il micro, tra chi ha dovuto sbattere la faccia contro il dolore e chi invece non ne è stato colpito. Ognuno di noi ha una storia da raccontare, e il bello delle storie è che anche girando tutto il mondo non ne trovi una uguale all’altra. Le storie hanno la potenza di modificare e avvicinare lo sguardo, di «umanizzare» le vicende, sono lo spazio tra quel sentore lontano e la catastrofe che ti piomba accanto. Avvicinare le cose a sé, sentirle così vicine da voler cambiare qualcosa in noi, è però una propensione che richiede fatica e allenamento costanti. Il menefreghismo si contagia, così come l’attenzione e la cura verso ciò che ci circonda. Con questo non voglio dire di sposare tutte le cause, ognuno sceglie le proprie, però credo sia importante coltivare una maggior cura nei confronti di noi stessi e degli altri, e allenare lo sguardo a un maggior senso di vicinanza. Noi possiamo scegliere una parte, il resto è la vita. Io ci voglio provare, questa è la sfida che la malattia ha risvegliato in me.
Contàgio s. m. [dal lat. contagium, der. di contingĕre «toccare, essere a contatto, contaminare», comp. di con- e tangĕre «toccare»]