Di Donata Pianon
Quante volte vi succede di parlare di quello che sta succedendo nel mondo, in Iran, in Libia, con i vostri amici? Quante volte sentite dire «non ho seguito tanto», «non ho capito tanto bene»? Quante volte vi viene voglia di colmare le lacune e approfondire queste vicende e questioni di attualità? Nel mio mondo, tra giovani italiani, studenti e lavoratori, mi accorgo che il numero di persone disattente e disinformate è in netta maggioranza rispetto a quelli che seguono le notizie con dedizione. Avere una libera e informata opinione su ciò che succede intorno a noi, soprattutto al di fuori dell’Italia, riguardo a scenari internazionali, è diventato insolito o incostante.
I modelli di consumo dell’informazione sono particolarmente cambiati rispetto a cinquant’anni fa, con un aumento di numero di mezzi accessibili, tra cui l’uso significativo del web e dei social media. I dati del Rapporto sul consumo di informazione pubblicato da AGCOM nel 2018, mostrano che una media dell’80/85% di italiani tra i 14-34 anni accede ad Internet per informarsi. Se da un lato questo aumento di mezzi può indicare una maggiore esposizione all’informazione, dall’altro può favorire una perdita di attenzione e profondità nei confronti delle notizie e aumentare il rischio di disinformazione e malainformazione.

Questo cambio e aumento di mezzi di (dis)/(mala)informazione rinforza un ambiente controversamente individualista che caratterizza la società di oggi. Mentre il mondo sembra rimpicciolirsi, attraverso il fenomeno della globalizzazione e il progresso tecnologico e scientifico, la voglia di isolarsi e distaccarsi sembra aumentare. Mentre la tecnologia aumenta le possibilità di connettersi con il mondo, il nostro modo di usare il telefono o uno schermo diventa sempre più isolante e superficiale. Diventa più facile voltarsi dall’altra parte rispetto a ciò che succede al di fuori di noi, concentrarsi sui problemi ed eventi personali, mentre il resto è percepito troppo distante e poco coinvolgente – una sfera aggiuntiva che produce una sensazione di indifferenza o di attenzione superflua. La reazione che sento più spesso dire è che le notizie passano troppo velocemente, in modo caotico e poco chiaro; che informarsi richiede troppo tempo; che le notizie sono sempre negative. Questi motivi, comuni e concreti, si agglomerano insieme ad altri in un concentrato di distacco e disattenzione dalle informazioni.
E come fare a riconquistare l’attenzione di noi italiani, di noi giovani, nei confronti di ciò che succede nel mondo a cui apparteniamo? Come ripristinare il senso di collettività e bene comune in un mondo così globalizzato ma così complesso, veloce ed individualista?

A parer mio, il primo passo per trovare una soluzione a questa questione sta nel riconoscere che ogni notizia o evento che succede nel mondo, rappresenta un insieme di storie umane ed esperienze concrete ed individuali che troppo spesso vengono riassunti e semplificati in statistiche, discorsi politici o tensioni diplomatiche. Sviluppare queste storie umane al fianco di analisi oggettive favorisce sia l’aumento di interesse e coinvolgimento del lettore, che può interpretare e immedesimarsi in una situazione concreta, sia una migliore comprensione dei fatti, spiegati non solo da un punto di oggettivo, che a volte può essere percepito troppo astratto e distaccato. Storie vere, basate su fatti realmente accaduti, inoltre partecipano a combattere la diffusione di fake news e malainformazione. Storie come quella di Carola Rackete, che ha sfidato le leggi oppressive del governo italiano sugli sbarchi e ha rinforzato i dati che evidenziano come la situazione nei centri di detenzione in Libia e il flusso migratoria verso l’Europa rimangano critici. Storie come quella di Nadia Murad, 27enne irachena yazida, Premio Nobel per la pace, che ha notevolmente aiutato ad esporre il genocidio degli yazidi nel 2014, ed evidenziato il problema della tratta di essere umani in situazioni di conflitto. Attraverso le loro parole, i loro occhi, questioni come le tensioni in Libia o violenze dell’ISIL non solo vengono spiegate meglio, ma aumentano anche di importanza per un lettore. In un mondo globalizzato e rimpicciolito, dove ciò che succede da una parte del mondo in un modo o nell’altro ha delle conseguenze da un’altra parte, il cosiddetto effetto farfalla, l’attenzione verso il mondo e le persone che ci circondano diventa sempre più significativa. E per non perdersi nella molteplicità dei mezzi di informazione e nella velocità delle notizie, bisogna ricordarsi che non si parla mai solo di fatti, ma di storie e di vite umane.