Le storie dietro il permesso di soggiorno

Di Sarah Kamsu

Da piccola accompagnavo mia mamma in questura per fare il permesso di soggiorno.

Al freddo, al gelo, col caldo afoso di agosto: ogni 9 mesi era così, la corsa al rinnovo.

Sveglia presto perché alle 5 quei posti sono già affolati, la fila è interminabile. E così si faceva prima. Andare allufficio immigrazione mi ha fatto ricordare quei momenti. 

Arriviamo sul cornicione troviamo Eli.

Eli, 37 anni, viene dalla Colombia, è qua in Italia da 2 anni per amore, ora fa la badante a una signora anziana, ma il lavoro per cui ha studiato è da commercialista.

Essere immigrati dice lei è «lasciare il Paese dove sei riconosciuta e arrivare in un altro dove non ti senti niente. Sono passata da essere il leader di un’azienda e a fare la badante». 

Sappiamo che l’Italia non sempre riconosce i titoli di studi stranieri, soprattutto extracomunitari e questo è un problema. Molte persone arrivano in Italia e non possono esercitare il proprio mestiere, è come se il loro passato venisse cancellato, i loro studi, il loro status. E sono costrette a cominciare da zero.

Dora è peruviana, fa la donna delle pulizie «Al lavoro sono costretta ogni volta a chiedere permessi, arrivo qua so a che ora entro, ma mai a che ora finisco, spesso digiuno perché dentro non ci sono le macchinette, né acqua. In Perù gli stipendi sono bassi, l’istruzione non è di qualità».

Lui, albanese, 23 anni, è qui da quando ne aveva 5, è qui all’ufficio per ritirare la carta di soggiorno a tempo illimitato, ha studiato qui informatica, ora lavora in una ditta di carico-scarico, per lui i documenti sono un iter faticoso e non vede l’ora di avere la carta illimitata.

Ogni anno torna in Albania, abbraccia i suoi parenti, la sua terra nativa. Dice che non vivrebbe senza famiglia, senza amore e senza una speranza per il futuro.

Quando ascolto queste storie, tante, diverse, cosi ricche, tutte con una volontà di riscatto e di essere protagonisti del proprio oggi, comprendo perfettamente la sensazione di inettitudine di chi ha lasciato il nido.

Possiamo solo metterci nei panni di chi lascia tutto per un futuro diverso, migliore si spera. Meritiamo tutti un happy ending, che per alcuni sarà superare un esame universitario, per altri un esito positivo di esame del sangue, per alcuni ritirare finalmente il permesso di soggiorno, ognuno coi propri desideri, i propri grandi sogni, i piccoli traguardi. 

A tutti loro auguro di sentirsi accolti in Italia, di poter avere i documenti e contribuire al meglio al benessere del nostro Paese.