Cos’è la Fibrosi Cistica? Incontro con Matteo Marzotto ed Edoardo Hesemberger

Immagine in evidenza di: Stefania Spadoni

Di Cinzia Farina

Matteo Marzotto, è un imprenditore e manager italiano. Nel gennaio del 1997 è tra i fondatori della Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica Onlus, della quale, nell’aprile 2018, viene eletto presidente. Ci racconta di quando ha perso la sorella maggiore, Annalisa, che per lui era come una madre, proprio in quel 1989, che è stato un anno storico per la fibrosi cistica, perché «si definisce la proteina CFTR mutata e inizia questa corsa sul funzionamento del canale del cloro».

La fibrosi cistica è una malattia molto particolare che influisce pesantemente sulla qualità di vita dei ragazzi, ma è soprattutto difficile perché dal punto di vista numerico è da considerare quasi una malattia rara e, da un punto di vista potenziale, è invece la patologia genetica più diffusa, nel senso che si stima che circa il 5% della popolazione nativa italiana, sia portatore sano della malattia. La fibrosi cistica è una malattia multiorgano, quindi l’effetto dello studio potrebbe essere cruciale per molte malattie effettivamente rare, e larga parte di quel 5% (quindi 2 milioni e mezzo circa di nativi italiani) è inconsapevole di averla. Due persone che progettano una famiglia e che non sanno di essere portatori sani della malattia, hanno molta probabilità (circa il 25%) di generare un bambino malato. 

I fondatori dell’Associazione sono il Presidente onorario Vittoriano Faganelli (che è stato presidente fino a un anno fa) e che ha avuto due figli malati su tre; il figlio Paolo che è il vicepresidente; il ricercatore decano della malattia Gianni Mastella, che ha avuto un nipote malato di fibrosi cistica, seppur in forma lieve; l’imprenditore Giordano Veronesi e Matteo Marzotto.

XVII campagna nazionale per la ricerca
sulla Fibrosi cistica – Nella foto: Edoardo Hesemberger e Matteo Marzotto

La ricerca mondiale si è fermata a individuare circa 2.000 mutazioni, delle quali due in Centro Europa, nord Europa e una in Nord America, sono quelle prevalenti dei caucasici. Fino a tre anni fa si pensava fosse quindi, una malattia solo dei nativi bianchi, invece adesso scopriamo che ci sono delle forme di fibrosi cistica anche in altre genie.

Matteo Marzotto ci racconta di essere figlio della persona che ha avviato tutte le attività che oggi si ritrovano in Italia sulla fibrosi cistica: infatti il padre, Umberto Marzotto, ha fondato l’Associazione veneta che poi si è ricreata nelle altre regioni italiane, «confederandosi» nella Lega Italiana Fibrosi Cistica, detta LIFC, che si occupa delle questioni socio-sanitarie della malattia, cioè di aspetti della vita quotidiana sia del malato che della sua famiglia.

Vittoriano Faganelli e Gianni Mastella hanno fatto una mappatura e con una piccola dotazione che veniva da una banca di territorio a Verona, hanno dato vita alla Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica nel gennaio del 1997. L’estate precedente avevano chiesto a Matteo Marzotto se anche a lui fosse interessato partecipare. Dal momento in cui la sorella era mancata, il padre aveva smesso di parlare di fibrosi cistica, a parte fare un finanziamento molto generoso alla University of Minnesota, dov’era mancata Annalisa, dando al figlio le «chiavi» di questa sorta di fondazione in America. Quando Gianni Mastella e Vittoriano Faganelli gli hanno proposto di costituire una fondazione in Italia, Matteo Marzotto è partito per gli USA, e ha messo quella somma in dotazione alla Fondazione italiana. Nel giro di un paio d’anni hanno capito alcune cose sul funzionamento del meccanismo del terzo settore in Italia, e hanno iniziato a comunicare la ricerca contro la fibrosi cistica, in particolare a «comunicare la fibrosi cistica», malattia che ancora oggi è semisconosciuta

Fino al 2000 Matteo Marzotto evidenzia che sono stati abbastanza fermi nell’organizzare una comunità scientifica, cioè si sono dati la regola di non dotarsi di un proprio laboratorio interno, ma di utilizzare le migliori pratiche sul mercato, conoscendo i migliori ricercatori italiani, i migliori laboratori in cui questi ricercatori lavorano o possono lavorare e conoscendo le migliori specialità rispetto ai progetti di ricerca. «Noi ormai lavoriamo tra 900 e 1.000 ricercatori in un network continuo e con circa 220 laboratori sparsi in Italia, privati, o parte di istituti sanitari pubblici». Quello che la Fondazione (FFC) ha fatto è stato cercare di far parlare della malattia e poi della ricerca connessa, avviando la raccolta fondi, e parallelamente, istituire un network di ricercatori con cui ragionare su quali progetti di ricerca fosse utile puntare e quindi nella ricerca di base, nella ricerca clinica e nella genetica. Quest’ultima è diventata il possibile canale di soluzione della malattia. La Fondazione ha cercato di essere presenti nei tre settori, tenendo conto che la genetica (con tutta la tecnologia che si sta studiando) potrebbe essere la branca che porterà alla cura della malattia, o comunque che ne può diminuire gli effetti, fino a farla diventare una malattia cronica con la quale si possa invecchiare.

«Quando è mancata mia sorella l’attesa di vita media era inferiore ai 18 anni. Oggi è superiore ai 40 (circa 43 anni in Italia). Ciò è dovuto a molti motivi, ovviamente non solo per Fondazione, che fa una piccola parte, ma anche per l’interscambio scientifico continuo».

Gli italiani sono delle eccellenze mondiali e la Fondazione ha agito e continua ad agire come un catalizzatore di competenze. Una delle attività più importanti della Fondazione è quella di dare il via allo sviluppo e al finanziamento di progetti o di parte di essi: ogni anno il 15 dicembre viene emanato un bando per la presentazione di studi di ricerca sulla fibrosi cistica, con aree definite entro le quali devono collocarsi i progetti, che devono essere orientati a cure innovative per la malattia. Fra le 40/45 proposte ricevute ogni anno da FFC, ne vengono «scremate» una trentina, che vengono validate da un comitato scientifico e da un gruppo di scienziati internazionali. «Oggi, per scelta strategica, preferisco fare meno progetti, nei quali però, Fondazione abbia un ruolo ancora più forte, cioè che li finanzi nella loro interezza, o quasi».

Nella foto: Matteo Marzotto Ph:Stefania Spadoni

«Anni fa non sarebbe stato possibile parlare di aspettativa di vita media, perché nelle occasioni pubbliche in cui si andava a sensibilizzare, bisognava usare termini e toni molto diversi da quelli che si possono usare negli Stati Uniti. Questo è un fatto culturale. Oggi l’Italia da questo punto di vista sta cambiando in meglio. Quello che è avvenuto in questi anni sono numeri, a noi non dispiace raccontare che in 25 anni si sono guadagnati 25 anni di vita. L’obiettivo più prossimo è che la fibrosi cistica diventi una malattia con cui si invecchia».

La Fondazione ha saputo mantenere sulla corsia di sinistra la sua mission, che è quella di fare ricerca e di mettere al centro dell’attività la direzione scientifica, e sulla corsia di destra, una certa capacità di comunicare, di raccogliere fondi e specialmente la capacità di sapere usare le risorse in modo trasparente, onesto ed efficace. 

Vengono mandati contenuti al network di persone sul territorio, che consiste nelle delegazioni, cioè in gruppi di familiari dei ragazzi FC o di amici di persone FC che si consociano, organizzano eventi e raccolgono fondi. 

Numerose riviste scientifiche, tra cui la prestigiosa Naturehanno pubblicato progetti di grande interesse promossi da FFC, che stanno combattendo la malattia su più fronti, tra questi Task Force for Cystic Fibrosis,ha individuato un composto promettente, la cui sperimentazione sull’uomo potrebbe cominciare già nel 2021.

EDOARDO

Edoardo, ragazzo affetto da fibrosi cistica, ci racconta che se dal test risultasse che una persona ha il 25% di possibilità di avere un figlio che contrae la malattia, innanzitutto potrebbe ottenere delle risposte a riguardo, cosa che fino a 20 anni fa era molto difficile. Dopodiché può aprire il sito della Fondazione (www.fibrosicisticaricerca.it) e rendersi conto che ogni anno vengono investiti dei fondi nella ricerca; che la vita media continua ad aumentare e che il modo di trattare la fibrosi cistica è sempre più efficace. Sul sito si possono anche trovare testimonianze di persone come Edoardo, che dice ad esempio, quanto lo sport è l’aria pulita facciano bene. «Quindi appena il figlio nasce, se dovesse essere affetto da fibrosi cistica, quel genitore avrebbe già l’informazione che il figlio dovrà fare molto sport per stare meglio e che sarebbe preferibile trascorrere del tempo fuori dalla città. Sono tutte cose che oggi rendono molto più facile una scelta. È un male come tanti altri. La differenza vera è che 20 anni fa non era così, i miei genitori non avevano idea di essere portatori sani e nessuno inizialmente sapeva bene di cosa si trattasse. Ancora oggi sono più stupito da quelli che sanno esattamente in che cosa consista questa malattia, piuttosto che quelli che non lo sanno». 

Il discorso sull’informazione è molto difficile. «Se noi ci incontriamo all’Università, io posso andare avanti per mesi senza che tu ti accorga di nulla, perché se mi incontri per strada, non vedi dal di fuori che sono malato. È una cosa con cui mi ritrovo io a casa quando sono solo con me stesso».

Quindi che cos’è la fibrosi cistica? È una malattia che il danno principale lo fa ai polmoni. I polmoni sono quelli che costringono ai ricoveri in ospedale e a tanti antibiotici. Per curarli c’è la fisioterapia respiratoria, l’aerosol, pratiche che si fanno tutte le mattine, tutte le sere e anche a metà giornata. «A questo si aggiunge poi l’attività fisica che è come fare fisioterapia respiratoria; quindi nella mia vita se sto abbastanza bene come oggi e posso ritenermi fortunato, è perché ho fatto tanto sport e non ho mai saltato una terapia. E comunque mi ritrovo a dover fare ricoveri in ospedale. Due settimane ogni sei mesi quando va bene, quando va male un po’ di più, con i tubi, gli antibiotici in vena e la voglia di non vedere niente e nessuno». In 20 anni l’aspettativa di vita è raddoppiata. È un obiettivo che i malati guadagnano un centimetro alla volta, magari dimenticandosi per un momento della loro condizione, salvo poi dover prendere una cinquantina di pillole e fare la fisioterapia respiratoria, ma quello fa parte del gioco. Magari un giorno, però, incontrano qualcuno che ha il raffreddore e starnutisce loro addosso e allora devono farsi due settimane in ospedale. Un altro problema è che, essendo la fibrosi cistica una malattia multiorgano, il farmaco che serve per il polmone danneggia gli altri organi. È un compromesso.

Edoardo con quel suo inconfondibile sorriso conclude dicendo: 

«Nei miei momenti più difficili penso al fatto che c’è la Fondazione che potrebbe trovare una soluzione e che se tu non sei più lì a goderti il risultato, sarebbe un vero peccato. È a questo che penso per non mollare».