Intervista a Paolo Barilla

Intervista al vice presidente dall’azienda Barilla

Di Andrea Pravadelli

In visita negli stabilimenti Barilla di Parma, abbiamo avuto il piacere di conoscere l’azienda insieme a Paolo Barilla

Il colosso della pasta e dei prodotti da forno nacque nel 1877 a Parma da una piccola panetteria-pastificio, si espanse poi negli anni fino ad affermarsi sul mercato italiano e successivamente anche su quello mondiale. Durante gli anni 70 la famiglia Barilla decise di vendere la società che finì in mani americane e la riacquistò alcuni anni dopo. Sull’onda del boom economico degli anni 80 l’azienda si espande nuovamente e vede la luce il marchio Mulino Biancoal quale ne seguiranno molti altri insieme ad una forte espansione verso i mercati esteri.

Durante la nostra visita abbiamo ripercorso i passi di questa storia che non solo è il percorso di Barilla in quanto azienda, ma lo è anche della famiglia Barilla. Lo è altresì della nostra storia poiché si tratta di un marchio forte economicamente e radicato nelle abitudini di molti italiani, parte della tradizione culinaria per la quale siamo famosi nel mondo e grazie alla quale secondo il dottor Paolo Barilla, ci siamo meglio integrati in culture diverse. Attraverso la nostra abilità in cucina siamo riusciti a lasciare un marchio indelebile nelle culture che abbiamo incontrato durante i grandi flussi migratori, tanto da variare le abitudini alimentari di intere nazioni facendo diventare la nostra cucina un vero e proprio cult. Non si tratta solo di un piatto di pasta, ma di un simbolo di cultura, tradizione e qualità che caratterizza il nostro popolo in grado di reinventarsi. La cucina per noi è un motivo di unione ed un’indiscussa eccellenza nella quale portiamo la bandiera a tavola. 

Paolo Barilla
Foto di: Davide Papagni

Il cibo è un elemento forte nella nostra cultura, al punto da contraddistinguerci come popolo, ha per noi un valore imprescindibile che tiene uniti ed è un motivo di orgoglio. Così quello di questa azienda diventa un compito sul quale pesa una tradizione di cui farsi carico ed essere ambasciatrice e per questo diventa maggiormente importante l’approccio con il quale viene guidata.

«L’azienda», dice Paolo Barilla, «mi è stata donata», motivo per il quale, ancora oggi, segue la filosofia del fondatore portando alti gli stessi valori e la volontà di far sì che il cibo sia accessibile a tutti. Un concetto nato quando le necessità erano differenti, quando il cibo aveva un valore diverso e assicurarlo sulle tavole di tutte le famiglie poteva essere difficoltoso, ma che ancora oggi guida l’azienda e che probabilmente ha permesso di arrivare all’accessibilità cui siamo abituati.  


«Un’azienda deve avere un significato, deve saper pensare e non solo fare delle cose»

Paolo Barilla

Un concetto tangibile, mentre ci parla e si ha la sensazione che quello di Barilla sia un modello di azienda in cui la volontà di fare profitto sia chiara, ma non a discapito di chi lavora, di chi compra, o del territorio. Il prodotto acquista quello stesso valore perché non è più solo il mezzo per arrivare a un obiettivo prettamente economico, ma comunica una filosofia sulla quale l’intera azienda vuole poggiare. Nelle parole e nella passione del dottor Barilla, del fondatore si percepisce la vicinanza alla tradizione di cui si fa carico, volendo però innovare verso una concezione nuova di produzione e di prodotto, in cui i paradigmi di un’azienda sono cambiati.

Si tende a sottovalutare l’importanza del contatto verso la realtà del mondo che viviamo, eppure ogni compagnia, offrendo un servizio o un prodotto, che nel caso del cibo è anche un bene primario, è di conseguenza parte integrante della società.  Ha quindi la facoltà di decidere verso dove indirizzare il cliente; deve «sviluppare una propria idea di cosa vuol fare e come vuole influenzare la vita delle persone», perché la visione dell’azienda determina la visione del compratore.  

Ciò che è risaltato da questo incontro è proprio la responsabilità sociale che un’azienda di queste dimensioni ha, senza che però si dimentichi che in quanto azienda ha lo scopo di produrre, cioè deve «saper crescere, ma anche saper sviluppare».  

Katia Dessous
Foto di: Davide Papagni

Creare un prodotto significa quindi soddisfare delle necessità che oggi sono molto diverse da quelle che si affrontavano 50/60 anni fa e che non sono più bisogni primari, ma si basano su «50 anni di benessere acquisito» e dunque la domanda diventa «qual è la qualità di un prodotto». La qualità che una volta significava «sconfiggere il passato» e cioè eliminare i mali della carestia e della malattia, oggi significa «garantire un futuro».  In questo ambito, ci spiega Paolo Barilla, che il loro è un impegno costante come ad esempio il marchio Gran Cereale che si impegna nei prossimi tre anni a compensare la CO2 emessa dalla loro filiera. Inoltre, sempre Gran Cereale,ci dice Katia Dessous,si impegna nella salvaguardia di boschi e nella salvaguardia di aree verdi. 

Prosegue il dottor Barilla dicendo che lavorare, sapendo di farlo, su qualcosa di bello, migliora il lavoro e che seppure al supermercato, sopra agli scaffali, non si veda tutto il percorso di un determinato prodotto, crearlo sulla base di questi principi ne garantisce la «qualità».  Durante il nostro incontro la qualità è risultato un fattore fondamentale e le scelte fatte da Barilla sono volte a preservarla. Nonostante ciò rimangono aperti i dibattiti che riguardano temi come l’utilizzo della chimica nell’agricoltura, che sembra essere legato più alla legislazione emessa da chi è competente e l’azienda decide di non opporsi. 

Il nostro è stato dunque un incontro piacevole che ci ha permesso di conoscere molto di questa azienda, che ha permesso poi a chi tra di noi più giovane, di avvinarsi a una grande azienda e viverla per una mattina. Le parole del dottor Paolo Barilla sono state utili e si è avvertito in lui l’interesse verso grandi temi, la sua passione per quello che fa e che certamente guida la compagnia. Ancora a spiccare il suo lato umano e la sua lungimiranza. 

Voglio ringraziarlo personalmente.