Dagli USA a Milano, andata e ritorno per indossare un abito Caraceni

Di Paola Gurumendi

Dopo aver maturato grande esperienza nella sartoria aperta a Roma da uno dei suoi fratelli, Augusto Caraceni negli anni Trenta si trasferisce a Parigi dove riscuote notevole successo vestendo i personaggi più in vista dell’epoca. Nel 1939, a causa dello scoppio della II° Guerra Mondiale, rientra in Italia dove nel 1946 riapre la sua sartoria a Milano, in Via Fatebenefratelli n°16. Nello stesso anno il giovane figlio Mario inizia ad affiancarlo e ad apprenderne l’arte. Nel 1972 dopo la morte di Augusto, il figlio dedica la sartoria alla sua memoria e così nasce l’attuale intestazione: A. CARACENI. Dal 1972 al 1998 l’attività prosegue e prospera conquistando una clientela internazionale, grazie alla determinazione e all’impegno di Mario che ne mantiene alta la tradizione. E quando nel 1998 quest’ultimo si ritira, la conduzione dell’azienda passa alla figlia Rita Maria in qualità di amministratore e al genero Carlo Andreacchio come tagliatore. Carlo fin da bambino ha la passione per la sartoria e inizia presto il mestiere, mentre la sera studia ragioneria per accontentare i genitori, che non vedevano di buon occhio la sua scelta e avrebbero preferito per lui un buon lavoro in banca. «Una sera mi trovavo con degli amici al Palazzo del Ghiaccio dove conobbi Rita Maria. Iniziammo ad uscire insieme, ma non pensavo che con l’amore la mia vita sarebbe cambiata del tutto». Destino vuole infatti, che la sua amata fosse proprio la figlia del suo idolo di sempre, Mario Caraceni. E cosi che dopo essersi sposati, a soli 28 anni, il suocero gli offre di lavorare per lui e inizia per il Maestro un percorso lavorativo di successo che dura ancora oggi, costruito grazie agli insegnamenti ricevuti e soprattutto alla sua grande passione. Dal 2004 anche i figli, Massimiliano e Valentina, lo affiancano in questa attività che li affascina sin da bambini, per proseguire la tradizione familiare ed essere pronti a ricevere il testimone quando sarà il momento. È bastato entrare nel laboratorio di Via Fatebenefratelli per respirare quell’aria un po’ magica di passione e mestiere, circondati da pregiatissime stoffe, tavoli di legno e tante, tantissime, fotografie. Ad accoglierci sono proprio il Maestro Carlo Andreacchio e il figlio Massimiliano che iniziano a raccontarci con simpatia la storia della sartoria e la loro passione. Ci viene spiegato che il tessuto incide al 70% sul risultato finale, e la maggior parte proviene dall’Inghilterra. Per realizzare una giacca si prendono 26 misure diverse e sono necessarie circa 50 ore di lavoro manuale. In sartoria troviamo 32 dipendenti, alcuni sono stranieri, alcuni sono giovani studenti che svolgono un periodo di stage. Generalmente le donne si occupano dei pantaloni, gli uomini invece delle giacche. Il 60% della clientela è straniera: dal laboratorio passano le persone più varie, alcuni attraversano gli oceani con voli andata e ritorno esclusivamente per farsi fare un abito! Carlo ci racconta diversi aneddoti e curiosità, alle volte qualche cliente chiede modifiche dettate dalle mode del momento, ma per Caraceni è importante mantenere il proprio stile, e soprattutto la grande qualità che lo contraddistingue. Spesso si fanno delle prove speciali. Per esempio per i concertisti sono indispensabili prove per vedere che il capo sia perfettamente adeguato ai movimenti con lo strumento. Dopo una chiacchierata istruttiva e divertente iniziamo la visita al laboratorio. Entriamo nella stanza del taglio, il primo passo per la realizzazione di un abito. Qui lavorano il Maestro Carlo, Massimiliano e un altro ragazzo. Ci illustrano strumenti, metodi e i diversi tagli del tessuto. Ci avviciniamo al tavolo di Massimiliano e con grande sorpresa scopriamo che usa dei grossi bulloni per fermare il tessuto mentre viene tagliato! Passiamo poi alla stanza destinata alla lavorazione dei pantaloni, prettamente femminile; poi a quella della stiratura, proseguendo con gli spazi dedicati alle giacche e alle operazioni di finitura. In questo storico laboratorio vengono realizzati circa 350 completi all’anno. Fin dal primo momento percepiamo la tranquillità e il bellissimo rapporto tra Carlo Andreacchio e suo figlio Massimiliano. E non perdiamo occasione per rivolgere qualche domanda anche a lui che, solo trentunenne, ha già alle spalle un’esperienza lavorativa di 12 anni. Ci racconta che non si è mai sentito costretto a seguire le orme del papà, anzi è stato lui a scegliere questo lavoro, e ha sempre cercato di svolgerlo nel modo migliore. Si definisce un ragazzo normale, con un suo stile. Lavora con il completo ogni giorno e si sente a suo agio, ma è anche molto sportivo. Compra scarpe da tennis e spesso ad accompagnarlo nei giri di shopping è proprio suo padre. Massimiliano non ha mai ricevuto trattamenti privilegiati in quanto figlio del Maestro, anzi, anche lui ne ha passate tante, infatti Carlo preferisce lasciarlo sbagliare, così che possa imparare dai suoi errori. «Mio padre mi ha trasmesso la praticità del lavoro, mi ha insegnato i suoi segreti nel campo del taglio nel quale posso dire che è un vero esperto». La complicità tra i due ci sorprende e ci comunica un senso di famiglia che ci fa sentire a casa fin da subito. Questo diventa evidente anche nella scelta delle loro tre parole. Per il Maestro: «Umiltà». E lo sentiamo immediatamente, infatti è una persona squisita, molto portata a parlare, a sorridere e a scherzare con i giovani; «Vivere» una vita piena di sfide e di soddisfazioni sia in campo affettivo che lavorativo, ma anche di consapevolezza nel sentirsi fortunato per fare il lavoro che ama, potendo seguire ogni giorno la sua passione; «Famiglia», parola fondamentale nella sua vita e che permea tutto quello che ci ha raccontato e svelato poco a poco, in questo pomeriggio insieme. Per Massimiliano le tre parole sono: «Libertà» – di fare ciò che gli piace e che sceglie di fare; di essere un ragazzo normale, con desideri, idee e ricerca nel vestire. «Umiltà», la stessa del padre, che comunica a chi gli sta vicino con il suo comportamento: quello di un ragazzo che ha voglia di continuare a crescere e a imparare dal Maestro anche oltre il contesto lavorativo. E infine «Famiglia»: ovvero mantenere un legame profondo con la tradizione e con le proprie radici.