Inutile commedia competitiva

Di Bill Niada

Spesso mi sento a disagio quando sono in mezzo alla gente. Mi sembra di essere un UFO, di non aver argomenti, di sentirmi un pesce fuor d’acqua.

Soprattutto in quelle riunioni dove ci sono solo uomini, o in cui gli argomenti sono prettamente maschili. Si tende a parlare di politica, di lavoro, di crescite economiche, di performance personali, siano sociali, culturali, sportive o professionali. Ognuno ha qualcosa di sensazionale da raccontare dei propri risultati, delle proprie capacità «speciali e uniche». Accade un balletto in cui ognuno deve prevalere, mettendo in scena se stesso, perseguendo ambizioni fasulle, decantando virtù e imprese più o meno stupefacenti. In un crescendo e una tenzone in cui ognuno racconta il meglio di sé. Una sorta di messa in scena di una commedia competitiva, in cui si parla e si mostrano una vita e un comportamento straordinari, dentro a una realtà e a una visione condivisa. Che però è apparente, se non totalmente falsa.

Perché è proprio questo che mi mette a disagio (oltre a dover mostrare sempre parti sensazionali di se stessi, senza lasciar trasparire la semplicità, l’umiltà, le debolezze e le fragilità che tutti abbiamo), cioè che tutti gli argomenti, le capacità o gli interessi vertono su cose che non sono vere. O meglio, rappresentano una realtà distorta dalla società, dalle sue richieste e da ciò che si impone per sentirsi fighi e prestigiosi. Ed è proprio qui il difetto o il danno maggiore, perché la società di oggi si basa su presupposti proiettati principalmente sugli interessi individuali (siano persone, aziende, comunità), che ne fanno sia il suo male, che il male degli esseri umani che la compongono e la condividono.

Nulla di ciò che facciamo o che raccontiamo rappresenta qualcosa che effettivamente fa il nostro bene o il benessere comune. Si continua a vivere basandoci su presupposti errati che generano danni e problemi a se stessi e alla comunità in cui si vive. Ciascuno agisce e si agita per un obiettivo personale, quasi sempre legato a una realtà effimera e compromettente, senza andare al nocciolo della nostra essenza e di quelle che sarebbero le nostre necessità reali per vivere bene ed essere felici.

Si parla e ci si pavoneggia di risultati economici, quando l’economia così come è concepita, è deleteria. Si parla di cultura per mettersi in mostra, senza tener presente gli altri, o ciò che serve per stare bene insieme. Si parla di politica senza tenere d’occhio la storia e quello che ci ha insegnato, senza distillare l’utile dal pericoloso. Si parla di salute senza prendere in considerazione cosa ci fa male e ci fa ammalare. Si parla di sport in modo sempre più sensazionalistico e artificiale. Si affronta l’educazione dei giovani, da punti di vista distanti chilometri dalle loro reali esigenze, perché possano diventare degli adulti saggi. Più saggi di noi adulti.

Nessuno ha la forza di guardare oltre, di avere una visione in prospettiva, collettiva, a lungo termine, oppure di guardare dentro di sé per capire e comunicare ciò che realmente lo fa sentire bene e vivere meglio con altri.

E così succede che mostriamo sempre la parte più superficiale ed effimera di noi stessi, in accordo con quello che pensiamo ci venga richiesto per essere accettati, che però non è ciò di cui ha bisogno la società per svilupparsi in modo armonico con la Natura e con noi esseri umani.

E quindi me ne sto in silenzio ad ascoltare e a sorridere.